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così i quiz INVALSI disorientano i bambini PDF Stampa E-mail
Scritto da Paola Trivella   
Martedì 14 Maggio 2013 20:27

Così i quiz INVALSI disorientano i bambini

Domande confuse nei test per gli alunni delle elementari

13/05/2013

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Il Messaggero

Infuriano le polemiche sui test Invalsi e chi li difende usa un argomento perentorio: i critici sono insegnanti corporativi che si oppongono alla “valutazione oggettiva” per fare il comodo proprio. Vi sono persone del genere (come in ogni campo), ma molti si oppongono guardando al merito, su cui i paladini dei test sono elusivi. Proviamo a vedere su esempi cosa si sta confezionando per valutare i nostri bambini.

IL METRO

Un insegnante mi invia, con commenti pertinenti, due test di matematica recentemente “somministrati”. Nel test D2 si propone in modo obliquo di effettuare la sottrazione 150 – 40 attraverso il calcolo dell’altezza di una bambina. Vi sono tanti modi di proporre una sottrazione ma questo è il più bizzarro di tutti. Provate a chiedere a un bambino intelligente. La prima cosa che vi dirà – «con quella chiarezza e profondità di pensiero che solo i bambini piccoli possono avere, i bambini o i grandi filosofi il cui vigore speculativo si apparenta alla semplicità e alla forza del sentimento infantile» (Vasilij Grossmann in “Vita e destino”) – è: dove mai si è visto un metro simile? Non solo è scomodo, ma è innaturale, perché si cresce dal basso verso l’alto. Inoltre, se proprio si vuol procedere dall’alto al basso, basta applicare alla testa della bambina un metro a striscia e stenderlo in giù. Si dirà che l’intento è di provocare un calcolo in un “modello” astratto di una situazione reale. Ma così si presuppone un concetto difficile, che è alla base del delicato rapporto tra geometria e aritmetica: che i numeri si rappresentano sulla retta in modo equivalente in un verso o nell’altro, e che la scelta del punto di origine è arbitraria. Chi ha ideato il test propone al bambino un calcolo aritmetico attraverso una situazione concreta irrealistica costruita su concetti formali non esplicitati. Chi è costui? Una persona dalle idee didatticamente confuse o un sadico, che pensa la matematica come un’enigmistica a trappole?

LE PALLINE

Nel test D19 l’approccio è rovesciato. Invece di provocare il bambino con concetti formali impliciti, ci si inchina all’immagine di un essere puramente intuitivo, incapace di astrazione. Il test vuole individuare se il bambino ha chiara l’idea di probabilità e la traduce in quella di “facile”. Commenta giustamente l’insegnante che chi ha ideato il test rivela la sua incompetenza matematica – la parola “facile” in matematica è priva di significato – e linguistica: perché mai un bambino di 7 anni dovrebbe considerare sinonimi “facile” e “probabile”? È noto che nel linguaggio comune si usa dire: «È facile che piova». Ma ciò non ha nulla a che vedere con il concetto quantitativo di probabilità che è notoriamente molto più ristretto di quelli analoghi del senso comune. Questo è un test di matematica, ma di matematica non c’è nulla, bensì una confusione che allontana dalla comprensione del concetto matematico, anche perché il disegno è sbagliato: le palline nere e bianche sono a gruppi separati, mentre una corretta valutazione di probabilità richiede che siano mescolate. Un bambino dotato della profondità di pensiero di cui si diceva, e che abbia visto in televisione che, al lotto, prima di estrarre le palline si agita l’urna, penserà che vi sia qualcosa dietro questa separazione e che la domanda contenga un trabocchetto. Nonostante si muovano in direzioni opposte questi test hanno un tratto comune: un’idea di “bambino” preconfezionata da ideologie tecnocratiche.

L’ASTRAZIONE

È un bambino astratto, visto nella pura attività di apprendimento formalizzata in queste ideologie. È un po’ come in economia l’homo oeconomicus, l’uomo considerato astrattamente nella mera funzione di produzione e scambio di merci: il puer discens, il “bambino apprendente”. Inutile dire che queste astrazioni non funzionano, né in economia né nell’insegnamento. È con simili test che l’Invalsi pretende di conseguire una valutazione “rigorosa” e “oggettiva” degli apprendimenti in quanto ente valutatore del sistema? Ogni commento è superfluo, salvo la conferma che nulla può sostituire la funzione, educativa e valutativa, di un buon insegnante. Tante cose si possono fare in classe, anche proporre problemi a trabocchetto, ma in un processo didattico basato sul dialogo, non sottoponendo il bambino a test che generano una profonda antipatia per la matematica.

LA VALUTAZIONE

E la valutazione? Certo, gli insegnanti debbono migliorare e farsi valutare. Ma a questo non servono test sui loro allievi, bensì processi di formazione e valutazione in ingresso e in servizio, costruiti (con l’ausilio di commissioni ispettive) entro la “comunità educante” (in collaborazione tra scuola e università) e non affidati al controllo incontrollato di enti burocratici di stato.

Giorgio Israel

 
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