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dispersione scolastica alle superiori PDF Stampa E-mail
Scritto da Paola Trivella   
Domenica 01 Febbraio 2015 10:57

fonte: la scuola di mafalda

il dossier “dispersione nella scuola secondaria superiore statale” di tuttoscuola

Lo scorso 23 aprile 2014 nell'ambito dell’indagine conoscitiva sulle strategie per contrastare la dispersione scolastica, la Commissione Cultura ella camera ei Deputati ha svolto l’audizione di Giovanni Vinciguerra, direttore responsabile di Tuttoscuola, e di Mario G. Dutto, esperto del settore (la registrazione audio-video completa dell’evento è disponibile sul sito della Camera dei Deputati al seguente link: http://webtv.camera.it/evento/6304).




Sul tema della disersione scolastica:
il testo completo del dossier “Dispersione nella Scuola secondaria superiore statale” di Tuttoscuola (giugno 2014): [clicca qui] di cui pubblichiamo l'Introduzione
- i dati dell'emergenza dispersione [clicca qui]

[Introduzione al dossier Dispersione di Tuttoscuola] Negli ultimi 15 anni quasi 3 milioni di ragazzi italiani iscritti alle scuole superiori statali non hanno completato il corso di studi. Rappresentano il 31,9% dei circa 9 milioni di studenti che hanno iniziato in questi tre lustri le superiori nella scuola statale, e di questi è come se l’intera popolazione scolastica di Piemonte, Lombardia e Veneto non ce l’abbia fatta. Praticamente uno su tre si è “disperso”, come si dice nel gergo sociologico.
E dispersione fa rima con disoccupazione. Li ritroviamo infatti quasi tutti, questi ragazzi, tra i Neet (Not in Education, Employment, or Training) ovvero i giovani tra i 15 e i 29 anni (proprio 15 classi di età) che non studiano, non lavorano, non fanno formazione o apprendistato. L’Istat li valuta in 2,2 milioni, pari al 23,9% di quelle classi di età.
Sono cifre “da guerra mondiale”. E’ una [tragedia] sociale, un’emorragia che ogni anno indebolisce il corpo sociale del paese e ne riduce la capacità di competere come sistema nazionale nella società della conoscenza, che non sembra però essere vissuta come una vera emergenza. Tra rassegnazione e, forse, sottovalutazione di un fenomeno che condiziona e spesso pregiudica il futuro lavorativo e gli standard di vita di una fascia significativa della popolazione, e quindi la capacità di produrre reddito e PIL dell’intero paese. Infatti quei quasi 3 milioni di ragazzi partono con il freno a mano tirato nel loro percorso e con un bagaglio di opportunità molto ridotto rispetto ai coetanei che completano gli studi e continuano all’università: se è difficile trovare lavoro per chi ha raggiunto solo il diploma secondario superiore (il 28% rimane disoccupato), figurarsi quali sono le prospettive di coloro che neanche ci arrivano (non a caso ben il 45% di coloro che sono in possesso della
sola licenza media sono disoccupati).
Per non parlare dei costi sociali enormi dell’abbandono scolastico: il corso di studi “interruptus” comporta che la costosa organizzazione del servizio per quei ragazzi si riveli sostanzialmente inutile. O meglio l’investimento che è stato sostenuto ha avuto un basso ritorno, perché presupponeva il completamento del corso e il conseguimento di un titolo attestante determinate abilità e competenze, obiettivo non raggiunto. E il disagio sociale che ne consegue scatena effetti collaterali, dal livello di criminalità ai costi del welfare (sussidi di disoccupazione, etc).
Di fronte a questo quadro il Parlamento ha sentito l’esigenza di avviare un’indagine conoscitiva sulle strategie per contrastare la dispersione scolastica, a partire dal
monitoraggio sui costi e sui risultati della miriade di iniziative, progetti e progettini contro la dispersione adottati da anni sul territorio, senza una regia, senza un programma strutturato e pianificato, senza appunto un controllo dei risultati e senza quindi la possibilità di trarne una lesson learned sulle pratiche più efficaci e sui modelli da implementare.
L’emorragia intanto continua, anche se con un’intensità un po’ inferiore al passato  (nel 2000 la dispersione nella scuola secondaria superiore statale sfiorava il 37%, rispetto al 28% di oggi). E il corpo del paese, che avrebbe bisogno di energie fresche e vigorose, quali possono apportare le nuove leve, si indebolisce. Da un anno di corso all’altro, una media di 40 mila studenti abbandonano la scuola statale, quasi sempre a seguito di una bocciatura.
Ben venga il piano di ristrutturazione degli edifici scolastici voluto dal governo, e l’attenzione verso la scuola che esso sta ponendo in termini di priorità. Ma i dati di questo dossier, che fotografano il disagio giovanile che ne è in buona parte la causa ma che così si alimenta e si ingrandisce come conseguenza, dovrebbero essere attaccati alle pareti della sala del consiglio dei ministri, ed essere oggetto di analisi e discussioni per trovare le medicine adatte – senza incidere sul livello di qualità complessivo del sistema formativo – a partire ad esempio dall’idea di ridurre le bocciature – che sono l’anticamera dell’abbandono della scuola – e fare corsi di recupero e attività integrative sfruttando gli spazi e i tempi della “scuola aperta” (una delle sei idee per rilanciare la scuola avanzate nel precedente dossier di Tuttoscuola, che qui riprendiamo ed approfondiamo). In questo dossier Tuttoscuola presenta un quadro aggiornato dei risultati raccolti tramite il monitoraggio condotto ininterrottamente negli istituti statali per un ventennio sul numero totale degli studenti delle superiori di tutti gli anni di corso, dalla prima alla quinta, per ogni tipologia di scuola, anche a livello regionale.
L’obiettivo è quello di misurare con precisione la consistenza e l’andamento nel tempo del fenomeno della dispersione scolastica negli istituti statali d’istruzione secondaria superiore. In questo contesto il termine ‘dispersione’ è utilizzato con specifico riferimento al numero effettivo degli studenti che si perdono uscendo del tutto dal percorso scolastico statale.
Per fare questo tipo di monitoraggio Tuttoscuola ha messo a confronto i dati di partenza (1° anno di corso) con quelli di arrivo (5° anno di corso) al termine di un quinquennio. Lo ha fatto per tutti i quinquenni dell’ultimo ventennio, registrando per diversi anni dati oggettivi preoccupanti (nel complesso uno studente ogni tre ha abbandonato), attenuati da una recente moderata tendenza alla riduzione del fenomeno.
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