I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza inItalia 6° Rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia 2012-2013 Fondazione ABIO Italia onlus ACP – Associazione Culturale Pediatri Fondazione ACRA - CCS AGBE Agedo - Associazione di genitori, parenti e amici di omosessuali AGESCI – Associazione Guide e Scout Cattolici Italiani Ai.Bi. - Associazione Amici dei Bambini ALAMA - Associazione Laziale Asma e Malattie Allergiche Ali per giocare - Associazione Italiana dei Ludobus e delle Ludoteche ALISEI AMANI - Associazione di volontariato Anfaa - Associazione Nazionale Famiglie Adottive e Affidatarie Anffas Onlus – Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale Associazione Antigone Archè - Associazione di Volontariato Onlus Archivio Disarmo - Istituto di Ricerche Internazionali Arciragazzi ASGI - Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione Associazione Bambinisenzasbarre Batya - Associazione per l’accoglienza, l’affidamento e l’adozione CAM - Centro Ausiliario per i problemi Minorili Camina Caritas Italiana CbM - Centro per il bambino maltrattato e la cura della crisi famigliare Centro per la Salute del Bambino onlus Centro Studi Hansel e Gretel Centro Studi Minori e Media Cesvi CIAI - Centro Italiano Aiuti all’Infanzia CIES - Centro Informazione e Educazione allo Sviluppo CISMAI - Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso dell’Infanzia Cittadinanzattiva CNCA - Coordinamento Nazionale delle Comunità d’Accoglienza CND - Consiglio Nazionale sulla Disabilità Comitato Giù Le mani dai bambini onlus Comitato italiano per l’Unicef Onlus Coordinamento Genitori Democratici onlus Coordinamento La Gabbianella onlus CSI - Centro Sportivo Italiano CTM onlus Lecce Dedalus Cooperativa Sociale ECPAT Italia Fondazione Fabiola De Clercq-ABA onlus FEDERASMA Onlus - Federazione Italiana delle Associazioni di Sostegno ai Malati Asmatici e Allergici Associazione Figli Sottratti Geordie Associazione onlus Associazione Giovanna d’Arco Onlus Associazione Gruppo Abele Onlus Gruppo Nazionale nidi e infanzia IBFAN Italia Il Corpo va in città Intervita onlus IPDM - Istituto per la Prevenzione del Disagio Minorile IRES - Istituto di Ricerche Economiche e Sociali IRFMN - Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri L’Abilità - Associazione Onlus Fondazione L’Albero della Vita onlus L’Altro diritto onlus La Gabbianella ed altri animali La Leche League Italia Onlus Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie M.A.I.S. - Movimento per l’Autosviluppo l’interscambio e la Solidarietà MAMI - Movimento Allattamento Materno Italiano Onlus On the Road Associazione onlus Opera Nomadi Milano Osservazione onlus - Centro di ricerca azione contro la discriminazione di rom e sinti OVCI la Nostra Famiglia Fondazione PAIDEIA Pralipé Cooperativa Sociale onlus Fondazione Roberto Franceschi Onlus Save the Children Italia Saveria Antiochia Omicron SIMM - Società Italiana di Medicina delle Migrazioni SINPIA - Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza SIP - Società Italiana di Pediatria SOS Villaggi dei Bambini onlus Terre des Hommes Unione Nazionale Camere Minorile (UNCM) UISP - Unione Italiana Sport per Tutti Valeria Associazione Onlus VIS - Volontariato Internazionale per lo Sviluppo Associazione 21 Luglio Il 6° Rapporto CRC stato realizzato con il coordinamento di Arianna Saulini (Save the Children Italia) e Vittoria Pugliese (Save the Children Italia) I testi sono stati elaborati da: Yasmin Abo Loha (Ecpat Italia), Federica Aguiari (UNICEF Italia), Silvia Aimone (Batya), Dora Aliprandi (Associazione ABA), Olga Anastasi (UNCM), Francesca Arancio (Save the Children Italia), Christoph Baker (Unicef), Laura Basilio (L’altro Diritto), Teresa Bertotti (CISMAI), Luciano Bertozzi (Archivio Disarmo), Luca Bicocchi (Save the Children Italia), Chiara Biffi (CIAI), Adriana Bizzarri (Cittadinanzattiva), Daniela Bucci (CND – FISH), Antonio Borgogni (Il Corpo va in città), Rita Campi (IRFMN), Lorenzo Campioni (Gruppo Nazionale Nidi e Infanzia), Daniela Cannistraci (Anffas), Vincenzo Castelli (Ass. On the Road), Massimo Celli (ALI per Giocare Associazione Italiana dei Ludobus e delle Ludoteche), Grazia Cesaro (UNCM - Camera Minorile Milano), Elise Chapin (UNICEF Italia), Antonio Clavenna (IRFMN), Benedetta Colombo (UNCM), Sergio Conti Nibali (ACP), Diego Cipriani (Caritas Italiana), Valeria Confalonieri (IRFMN), Antonella Costantino (SINPIA), Andrea Crivelli (Fondazione L’Albero della Vita), Chiara Curto (UNICEF Italia), Rosalia Da Riol (SIP), Jacopo Dalai (Arché), Mirta Da Pra Pocchiesa (Gruppo Abele), Rosalia Da Riol (SIP ), Enrica Dato (Ai.Bi. Associazione Amici dei Bambini), Lino D’Andrea (Arciragazzi), Maria Grazia Del Buttero (UNCM - Camera Minorile Milano), Ginevra Demaio (Centro Studi e Ricerche IDOS/Immigrazione Dossier Statistico), Cristiana De Paoli (Save the Children Italia), Carlo Devillanova (Fondazione Roberto Franceschi Onlus), Marta Fiasco (UNICEF Italia), Carla Forcolin (La Gabbianella e altri animali), Sandra Frateiacci (ALAMA, FEDERASMA Onlus), Monica Garraffa, (MAMI), Francesca Garofalo (La Leche League Italia Onlus), Jole Garuti (Ass. Saveria Antiochia Omicron), Federica Giannotta (Terre des Hommes Italia), Pier Giorgio Gosso (ANFAA), Emanuele Grisanti (CSI), Leopoldo Grosso (Gruppo Abele), Michele Imperiali (Anffas), Antonella Inverno (Save the Children Italia), Daniela Invernizzi (Fond. ACRA-CCS), Simona La Placa (SIMM), Carlo Lai (Associazione Giovanna d’Arco onlus), Marcello Lanari (SIP), Laura Landi (UNCM - Camera Minorile Salerno), Monica Lanzillotto (Associazione Geordie Onlus), Anna Lucchelli (Agesci), Renato Lucchini (SIP), Giovanni Lumini (ALI per Giocare Associazione Italiana dei Ludobus e delle Ludoteche), Cotrina Madaghiele (Associazione Giovanna d’Arco onlus), Liviana Marelli (CNCA), Roberto Maurizio (Fondazione Paideia), Luca Meschi (Arché), Luisa Mondo (IBFAN Italia), Luca Muglia (UNCM), Angela Nava (Coord. Genitori Democratici), Francesca Nicodemi (ASGI), Donata Nova Micucci (ANFAA), Lucrezia Mollica (La Gabbianella e altri animali), Tullia Musatti (Gruppo Nazionale Nidi Infanzia), Ornella Obert (Gruppo Abele), Paolo Palmerini (CIAI), Alessandra Pavani (Fondazione L’Albero della Vita), Giulia Perin (ASGI), Juri Pertichini (Arciragazzi), Tiziana Petrachi (UNCM), Franca Pieroni (L’Abilità), Franco Pittau (Centro Studi e Ricerche IDOS/Immigrazione Dossier Statistico), Stefano Piziali (Intervita), Luca Poma (Comitato Giù le Mani dai Bambini), Paolo Pozza (Ass. Figli Sottratti), Caterina Pozzi (CNCA), Tiziana Petrachi (UNCM), Franca Pieroni (L’Abilità), Emma Pizzini (SIMM), Vittoria Pugliese (Save the Children Italia), Laura Rancilio (Caritas Ambrosiana), Gloriana Rangone (CISMAI), Marina Raymondi (CIAI), Lucia Re (L’Altro Diritto), Daniela Ridolfi (Associazione Giovanna d’Arco onlus), Alice Rinchi (AGBE – Associazione Genitori Bambini Emopatici), Matteo Rebesani (Save the Children Italia), Elena Rozzi (ASGI), Lia Sacerdote (Ass. Bambinisenzasbarre), Debora Sanguinato (VIS), Arianna Saulini (Save the Children Italia), Carla Scarsi (La Leche League Italia Onlus), Cristoforo Senatore (UNCM – Camera Minorile Salerno), Francesca Silva (CIAI), Regina Sironi (ABIO), Roberta Speziale (Anffas), Giorgio Tamburlini (Centro per la salute del bambino), Samantha Tedesco (SOS Villaggi dei Bambini onlus), Anna Teselli (IRES), Giacomo Toffol (ACP), Frida Tonizzo (ANFAA), Viviana Valastro (Save the Children Italia), Stefano Vicari (SIP), Alessandro Volpi (Intervita), Nazzarena Zorzella (ASGI). Si ringrazia Elena Scanu Ballona per il supporto dato alla revisione dei testi. Il Gruppo CRC ringrazia: Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento per le Pari Opportunità Ufficio per gli affari generali, internazionali e gli interventi in campo sociale e l’Osservatorio per il contrasto della pornografia e pedofilia minorile; Ministero dell’Università, dell’Istruzione e della Ricerca; Ministero dell’Interno ed in particolare il Dipartimento per le Libertà Civili e per l’Immigrazioni, Direzione Centrale per le Politiche dell’Immigrazione e dell’asilo – Organismo Centrale di Raccordo per la protezione dei minori comunitari non accompagnati (OCR); Ministero della Giustizia – Ufficio II Contenzioso Diritti Umani D.A.G. e Dipartimento della Giustizia Minorile Direzione Generale per l’attuazione dei provvedimenti giudiziari; Ministero degli Affari Esteri – Direzione Generale per gli Affari politici e di Sicurezza – Ufficio II e la Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo – UTC; Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Direzione Generale per l’Immigrazione e delle Politiche per l’Integrazione (Divisione 4); Ministero della Salute – Dipartimento della programmazione e dell’ordinamento del servizio sanitario nazionale, Direzione Generale del sistema informativo e statistico sanitario; Ministero per la Coesione Territoriale; Conferenza delle Regioni Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza per le informazioni e i dati forniti ai fini dell’aggiornamento del presente Rapporto. La stampa della pubblicazione è stata realizzata grazie al contributo di: ABA Fond. Fabiola De Clercq, ACP, ACRA, A.G:B.E., Agedo, AGESCI, Ai.Bi., ALAMA, ANFAA, ANFFAS Onlus, Archè Onlus, Istituto ricerche internazionali Archivio Disarmo, Arciragazzi, Associazione Bambinisenzasbarre Onlus, Ass. Giovanna D’Arco, Batya, Unione Nazionale Camere Minorili, Caritas Italiana, Cesvi, CIAI, Cittadinanzattiva CNCA, Comitato italiano per l’UNICEF, Coordinamento Genitori Democratici, Coord. La Gabbianella, CSI, ECPAT Italia, Fondazione ABIO Italia Onlus, Fondazione Paideia, Geordie Onlus, Gruppo Nazionale Nidi e Infanzia, Intervita Onlus, IRES, Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, IPDM, L’albero della Vita, L’altro diritto Onlus, La Gabbianella e Altri animali onlus, Save the Children Italia, Saveria Antiochia Omicron, SINPIA, SIMM, SOS Villaggi dei Bambini Onlus, Terre des Hommes, UISP, VIS, Ass. 21 luglio. Il disegno in copertina è stato realizzato all’interno del laboratorio per bambini “Il giraffario”, nell’ambito del Festival Segni d’infanzia, 2006 (Mantova) Gruppo CRC c/o Save the Children Italia via Volturno 58, 00185 Roma e-mail: coordinamento@gruppocrc.net sito web: www.gruppocrc.net Grafica e Stampa a cura di Arti grafiche Agostini Chiuso in tipografia il 6 maggio 2013. Glossario Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza (CNDA) È stato istituito con Legge 451/1997 e riordinato dal DPR 103/2007. Il Centro si occupa della raccolta e diffusione di normativa, dati statistici e pubblicazioni scientifiche, nonché di effettuare analisi della condizione dell’infanzia. La gestione delle attività connesse allo svolgimento delle funzioni del Centro nazionale è affidata, in rapporto convenzionale, all’Istituto degli Innocenti di Firenze. Maggiori informazioni sul sito www.minori.it Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza È stata istituita con Legge 451/1997, recentemente emendata dalla Legge 112/2009. La Commissione ha compiti di indirizzo e di controllo sull’attuazione degli accordi internazionali e della legislazione relativi ai diritti ed allo sviluppo dei soggetti in età evolutiva. Riferisce alle Camere, con cadenza almeno annuale, sui risultati della propria attività e formula osservazioni e proposte sugli effetti, sui limiti e sull’eventuale necessità’ di adeguamento della legislazione vigente, in particolare per assicurarne la rispondenza ai diritti previsti dalla CRC. Per maggiori informazioni si veda www.parlamento.it Verifica i progressi compiuti dagli Stati che hanno ratificato la CRC nell’attuazione dei diritti in essa sanciti, Comitato ONU attraverso la presentazione e relativa discussione a Ginevra di Rapporti periodici governativi e dei Rapporti sui diritti dell’infanzia Supplementari delle Ong. e dell’adolescenza Per maggiori informazioni www.ohchr.org/english/bodies/crc/ Acronimo di Convention on the Rights of the Child la cui traduzione ufficiale in italiano è “Convenzione sui diritti del fanciullo”, ma nel testo si preferisce utilizzare la denominazione di uso corrente “Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza”. Maggiori informazioni su www.gruppocrc.net/La-CRC CRC Istituito con Legge 112/2011 l’Autorità garante ha il compito di assicurare la promozione e la piena tutela dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, collaborando a tal fine con tutti i soggetti che, in ambito nazionale e internazionale, operano in questo settore. Maggiori informazioni su www.garanteinfanzia.org/ Garante nazionale infanzia e adolescenza Il Gruppo di Lavoro per la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (Gruppo CRC) è un network di associazioni italiane che opera al fine di garantire un sistema di monitoraggio indipendente sull’attuazione Gruppo CRC della CRC e delle Osservazioni finali del Comitato ONU in Italia. Maggiori informazioni sul sito www.gruppocrc.net È stato istituito con Legge 451/1997, ed è attualmente regolato dal DPR 103/2007. Ogni due anni predispone il Piano Nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva (Piano Nazionale Infanzia). Inoltre ha il compito, ogni 5 anni, di redigere lo schema del Rapporto governativo alle Nazioni Unite sull’applicazione della CRC. Maggiori informazioni su www.minori.it/osservatorio Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza Documento pubblico con cui il Comitato ONU rende noto il proprio parere sullo stato di attuazione della CRC nel Paese esaminato, sottolineando i progressi compiuti, evidenziando i punti critici ed esortando il Governo, attraverso le Raccomandazioni, ad intervenire ove necessario. Le Osservazioni rivolte dal Comitato ONU all’Italia sono disponibili su www.gruppocrc.net/OsservazioniConclusive- del-Comitato-ONU Osservazioni Conclusive Piano Nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo in età evolutiva (Piano Nazionale Infanzia) È previsto dalla Legge 451/1997, con l’obiettivo di conferire priorità ai programmi riferiti ai minori e di rafforzare la cooperazione per lo sviluppo dell’infanzia nel mondo. Il Piano individua, altresì, le modalità di finanziamento degli interventi da esso previsti nonché le forme di potenziamento e di coordinamento delle azioni svolte dalle pubbliche amministrazioni, dalle regioni e dagli Enti Locali. Il Piano Nazionale, viene predisposto ogni due anni dall’Osservatorio, sentita la Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza, ed approvato dal Consiglio dei Ministri. Il Testo dei tre Piani adottati fino ad oggi è disponibile su www.gruppocrc.net/PIANO-NAZIONALE-D-AZIONE-PER-L-INFANZIA Rapporto di aggiornamento annuale sul monitoraggio della CRC in Italia elaborato dal Gruppo CRC e Rapporto CRC pubblicato ogni anno in occasione della ratifica della CRC in Italia (27 maggio). I Rapporti CRC pubblicati sono disponibili sul sito del Gruppo CRC www.gruppocrc.net Rapporto sullo stato di attuazione della CRC che in base all’art. 44 della CRC gli Stati sono tenuti a sottoporre al Comitato ONU, entro 2 anni dalla ratifica della CRC e successivamente ogni 5 anni. Rapporto governativo Per maggiori informazioni e per visionare i Rapporti governativi italiani www.gruppocrc.net/I-Rapportigovernativi Rapporto Supplementare Rapporto sullo stato di attuazione della CRC preparato dalle Ong per il Comitato ONU, in cui si prendono in considerazione le tematiche affrontate nel Rapporto governativo, seguendo le linee guida predisposte dal Comitato ONU. Il 1° Rapporto Supplementare del Gruppo CRC è disponibile sul sito www.gruppocrc.net Nota metodologica La suddivisione in capitoli rispecchia i raggruppamenti tematici degli articoli della CRC suggerita dal Comitato ONU nelle “Linee Guida per la redazione dei Rapporti Periodici”. Il Comitato ONU ha infatti raggruppato i 41 articoli contenuti nella prima parte della CRC, in cui sono sanciti i diritti, in 8 gruppi tematici. Le Osservazioni Conclusive indirizzate dal Comitato ONU al Governo italiano nel 2011 in merito all’attuazione della Convenzione (CRC/C/ITA/CO/3-4) sono un utile strumento di lavoro per l’opera di monitoraggio intrapresa dal Gruppo CRC, in quanto indicano la direzione che il Governo dovrebbe tenere per uniformare la politica e la legislazione interna sull’infanzia e l’adolescenza agli standard richiesti dalla CRC. Per questo motivo all’inizio di ogni paragrafo sono riportate le raccomandazioni relative alla tematica trattata. INDICE Premessa .............................................................pag. 7 CaPItolo I MIsurE GENEralI DI attuazIoNE DElla CrC IN ItalIa 1. Le politiche sociali per l’infanzia e l’adolescenza..................................pag. 8 2. Le risorse destinate all’infanzia e all’adolescenza ................................pag. 13 3. L’impegno per l’infanzia e l’adolescenza nella cooperazione internazionale .............. pag. 16 4. Il Piano Nazionale Infanzia ................................................pag. 19 5. Istituti di Garanzia a tutela dell’infanzia e dell’adolescenza .........................pag. 22 6. Coordinamento a livello istituzionale e tra istituzioni e ONG ........................pag. 26 7. La Raccolta dati........................................................pag. 28 8. La legislazione italiana: la procedura minorile civile e penale........................pag. 30 9. Il Terzo Protocollo Facoltativo alla CRC........................................pag. 34 CaPItolo II PrINCIPI GENEralI DElla CrC 1. La partecipazione dei bambini e delle bambine, dei ragazzi e delle ragazze (Art. 12, I comma) pag. 36 2. L’ascolto del minore in ambito giudiziario (Art. 12, II comma)........................pag. 39 CaPItolo III DIrIttI CIvIlI E lIbErtà 1. Diritto registrazione e cittadinanza...........................................pag. 41 2. Il diritto della partoriente a decidere in merito al riconoscimento del proprio nato ed il diritto del minore all’identità...........................................pag. 43 3. Il diritto del minore alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione .................pag. 45 4. Il diritto di associazione..................................................pag. 48 5. Il diritto del fanciullo di non essere sottoposto a tortura o a pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti: Le punizioni fisiche e umilianti.............................pag. 51 6. Il diritto del fanciullo di non essere sottoposto a tortura o a pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti: Mutilazioni genitali femminili ..............................pag. 53 CaPItolo Iv aMbIENtE faMIlIarE E MIsurE altErNatIvE 1. I figli di genitori detenuti .................................................pag. 57 2. Minori privi di un ambiente familiare .........................................pag. 60 I. Affidamenti familiari...................................................pag. 60 II. Le comunità di accoglienza per i minori.....................................pag. 63 3. La Kafala.............................................................pag. 67 4. L’adozione nazionale e internazionale.........................................pag. 69 5. Sottrazione internazionale di minori..........................................pag. 73 CaPItolo v salutE E assIstENza 1. Nascere e crescere in Italia ................................................pag. 75 2. Ambiente e salute infantile................................................pag. 78 3. Bambini e adolescenti in condizioni di povertà in Italia ............................pag. 81 4. Allattamento ..........................................................pag. 83 5. La tutela dei diritti dei bambini in ospedale....................................pag. 85 6. Salute mentale.........................................................pag. 88 7. Bambini e adolescenti, salute e disabilità .....................................pag. 92 8. Accesso ai servizi sanitari per i minori stranieri .................................pag. 94 CaPItolo vI EDuCazIoNE, GIoCo E attIvItà CulturalI 1. Introduzione: l’istruzione al tempo della crisi ...................................pag. 98 2. I servizi per bambini in età 0-6 anni: servizi educativi e di cura per la prima infanzia e le scuole dell’infanzia .................................................pag. 100 3. Il diritto all’istruzione per i bambini e gli adolescenti con disabilità .................. pag. 104 4. Il diritto all’istruzione per i minori stranieri.................................... pag. 106 5. Somministrazione dei farmaci a scuola e assistenza sanitaria scolastica ............... pag. 108 6. La dispersione scolastico formativa ..........................................pag. 111 7. Il diritto alla sicurezza negli ambienti scolastici................................. pag. 114 8. L’Educazioni ai diritti umani............................................... pag. 116 9. Il diritto al gioco ...................................................... pag. 118 10. Sport e minori ....................................................... pag. 121 CaPItolo vII MIsurE sPECIalI PEr la tutEla DEI MINorI 1. Minori stranieri non accompagnati – Il diritto alla protezione e all’accoglienza ........... pag. 125 2. L’attuazione del Protocollo Opzionale alla CRC sul coinvolgimento dei minori nei conflitti armati in Italia .......................................pag. 127 3. Minori in stato di detenzione o sottoposti a misure alternative...................... pag. 130 4. Lo sfruttamento economico: il lavoro minorile in Italia............................ pag. 133 5. Il consumo di droghe e alcol tra i minori .....................................pag. 135 6. Il turismo sessuale a danno di minori .......................................pag. 139 7. La pedo-pornografia.................................................... pag. 140 8. Il fenomeno della prostituzione minorile in Italia................................ pag. 144 9. Abuso, sfruttamento sessuale e maltrattamento dei minori......................... pag. 146 10. Minori di minoranza etniche: I minori rom, sinti e camminanti...................... pag. 150 Pubblicazioni del Gruppo CrC........................................ pag. 154 Premessa C C on la pubblicazione del 6° Rapporto di aggiornamento, il Gruppo CRC prosegue il monitoraggio dell’attuazione, nel nostro Paese, della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (CRC) e dei suoi Protocolli Opzionali. Negli oltre dieci anni di lavoro, la partecipazione al Gruppo CRC è stata allargata a nuove associazioni (le associazioni del Gruppo CRC sono 82), che hanno reso possibile estendere a nuove tematiche il monitoraggio sui diritti dell’infanzia. I Rapporti CRC hanno un’ampia distribuzione su tutto il territorio nazionale e rappresentano un punto di riferimento – per i contenuti aggiornati e i riferimenti puntuali a norme e prassi – non solo per le associazioni ma anche per le istituzioni e gli operatori del settore. La loro pubblicazione annuale testimonia la costanza e l’impegno assunto dalle associazioni nel garantire un aggiornamento puntuale dell’attuazione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza nel nostro Paese, anche quando i diversi livelli istituzionali non sempre sono riusciti a mantenere i diritti dell’infanzia al centro dell’agenda politica. Il Rapporto CRC, attraverso le raccomandazioni poste alla fine di ogni paragrafo, fornisce alle istituzioni competenti indicazioni concrete e soprattutto attuabili per promuovere un cambiamento. Il 6° Rapporto CRC viene pubblicato all’inizio della XVII legislatura con un nuovo Governo appena insidiato. Auspichiamo che ogni istituzione possa, nel proprio ambito di intervento, cogliere l’importanza e l’urgenza delle criticità sollevate ed adoperarsi al fine di risolverle, anche facendosi carico delle raccomandazioni riportate nel Rapporto. Il Gruppo CRC si impegna a promuovere il dibattito sulla tutela e promozione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e favorire i cambiamenti raccomandati nel presente Rapporto al fine di risolvere in tempi brevi alcune delle criticità più rilevanti e urgenti del nostro Paese. Arianna Saulini Coordinatrice Gruppo CRC Capitolo I MIsurE GENEralI DI attuazIoNE DElla CrC IN ItalIa 1. lE PolItIChE soCIalI PEr l’INfaNzIa E l’aDolEsCENza 8. Il Comitato ONU è preoccupato che il trasferi- mento dei poteri dagli enti di governo centrali a quelli regionali, fino agli organi più decentrati, pos- sa portare a un’applicazione non uniforme della Convenzione a livello locale [omissis]. Il Comitato è preoccupato inoltre per la mancanza presso la Conferenza stato-regioni di un gruppo di lavoro per il coordinamento della pianificazione e dell’applica- zione delle politiche riguardanti i diritti dei minori. 9. Nel ribadire che il governo centrale è responsabi- le dell’applicazione della Convenzione, dell’eserci- zio di una funzione guida e del supporto necessario ai governi regionali in questa materia, il Comitato raccomanda che l’Italia: Sviluppi meccanismi efficaci per garantire un’appli- cazione coerente della Convenzione in tutte le re- gioni, rafforzando il coordinamento tra il livello na- zionale e regionale e adottando standard nazionali quali ad esempio i livelli essenziali per l’erogazione dei servizi sociali (Livelli Essenziali delle Prestazio- ni Sociali – LIVEAS). CRC/C/ITA/CO/3-4,punti 8 e 91 Il Gruppo CRC segue sin dal suo avvio l’andamento delle “politiche sociali per l’infanzia e l’adolescenza” e, dopo 12 anni di monitoraggio, è giocoforza constatare la scomparsa di tali politiche, intese come quadro coerente di leggi, norme, procedure, imputazioni di ruoli e responsabilità, risorse. Se infatti ancora nel 2009/2010 il Rapporto Governativo continuava ad indicare come “politiche” e “risorse” per l’infanzia e l’adolescenza il “Fondo Nazionale Infanzia” (FNI), ancora oggi così nominato nella Legge di Stabilità 20132, corre l’obbligo di sottolineare come esso sia ormai solo ciò che rimane del Fondo istituito con la Legge 285/19973 e sia valido solo per le 15 cit 1 Osservazioni Conclusive indirizzate all’Italia dal Comitato ONU e pubblicate il 31 ottobre 2011, traduzione a cura del Centro Nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza, disponibile su www.minori. it e su www.gruppocrc.net/Osservazioni-Conclusive-del-Comitato-ONU 2 www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/ originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2012-12-29&atto. codiceRedazionale=012G0252 3 www.camera.it/parlam/leggi/97285l.htm tà cosiddette riservatarie4; tale Fondo, peraltro, a sua volta era previsto nel primo Piano Nazionale Infanzia5 (PNI), che recepiva le Raccomandazioni del 1995 del Comitato ONU sull’Infanzia e l’Adolescenza all’Italia6, destinando risorse certe per i diritti dei minorenni e assicurando il coordinamento nazionale delle leggi e norme loro riferite; il tutto in un sistema “quadro” che comprendeva anche la Legge 451/1997, vera e propria norma di applicazione della CRC nel nostro Paese7. Lo stesso PNI, dopo il combinato disposto della modifica del Titolo V della Costituzione e della Legge 328/2000, è divenuto de facto solo un documento di orientamento, essendosi decentrate le competenze sociali alle Regioni. Il richiamo alla genesi del quadro di queste politiche in Italia, rivela l’attuale inesistenza delle politiche minorili, in un contesto di default del sistema di welfare. Tentiamo di seguito di fornire ulteriori elementi conoscitivi di un panorama complesso, anche considerando che nessuna Istituzione sembra poter dare contezza della sua frammentarietà, a parte l’accenno nel Rapporto sull’attuazione del PNI del 29/2/20138 il quale riporta: “… numerosi e frammentari interventi legislativi che, fino ad oggi, si sono susseguiti nel diritto minorile” impongono di “mettere ordine nel complesso panorama rappresentato dalla normativa vigente nel nostro Paese sui temi dell’infanzia”9. Importanti, per tale panoramica, sono invece i dati e le informazioni forniti al Gruppo CRC dalla Conferenza delle Regioni e dal Ministero della Coesione Territoriale, per la parte di loro competenza. 4 Dal 2003, con l’implementazione della Legge 328/2000, il 70% del FNI (poco più di 100 milioni di euro sui circa 150 milioni del FNI), cioè la “quota per Regioni”, passò per competenza nel FNPS indistinto di competenza delle Regioni in base al dettato della Legge 328/2000 e della Modifica del Titolo V della Costituzione del 2001. Si veda oltre il paragrafo “Risorse per l’infanzia e l’adolescenza”. rispetto all’ulteriore taglio intervenuto anche per la quota delle 15 città riservatarie. 5 Si veda www.gruppocrc.net/IMG/pdf/PIANO_AZIONE_97_98.pdf 6 Si veda www.gruppocrc.net/IMG/pdf/CRC_concl_obs_1995.pdf 7 La Legge 451/1997 istituisce il Centro Nazionale di Documentazione, l’Osservatorio e la Commissione Parlamentare Infanzia e Adolescenza; prevede il Piano Nazionale Infanzia e Adolescenza e disciplina il processo di definizione delle politiche minorili, attraverso apposita pianificazione nazionale. 8 Si veda www.minori.it/minori/rapporto-di-monitoraggio-del-piano-nazionale- per-linfanzia 9 Ibidem, pag. 169. Ripercorrendo le tappe dell’evoluzione e dei cam biamenti intervenuti in questi anni, si citano: Legge 328/2000. Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. Prevedeva la definizione, mai avvenuta, dei LIVEAS – Livelli Essenziali delle prestazioni sociali – che avrebbero garantito per i servizi standard nazionali comuni e omogenei, consegnando alle Regioni la responsabilità e la competenza per la pianificazione e la programmazione dei servizi stessi, a fronte di un Fondo nazionale politiche sociali (FNPS). In tale contesto, nel FNPS confluirono tutte le risorse precedentemente definite come “leggi di settore”. L’assenza di LIVEAS (e di monitoraggio, tranne che per l’attuazione della Legge 285/1997 in 15 cittàº10) non permette di sapere se e come sia stata mantenuta la progettualità a favore dell’infanzia e l’adolescenza a livello regionale, anche se il monitoraggio sui 10 anni di attuazione della Legge 285/1997 evidenzia che la quota parte di servizi avviatisi a livello regionale non è stata successivamente accorpata nei sistemi ex Legge 328/2000. La progressiva e costante diminuzione delle risorse destinate alle politiche sociali nel corso degli anni11 ha comportato la regressione qualitativa delle politiche e delle azioni per l’infanzia e l’adolescenza, che tendono all’esclusiva riproposizione di interventi “per il contrasto al disagio”12. Per il 2012 sono state previste risorse alle Regioni per tutti i servizi sociali (quindi non solo quelli per l’infanzia e l’adolescenza) inferiori a quanto inizialmente era assegnato al FNPS come quota parte derivante dal FNI13. Fino al 2010 il Gruppo CRC ha posto il focus sulla necessità di definire i LIVEAS, in quanto pur in un sistema decentrato, la responsabilità diretta di adempiere agli obblighi derivanti 10 Il monitoraggio della Legge 285/1997 è molto strutturato, seppur solo con focus sulle 15 città. Si veda www.minori.it/presentazionearea285 11 Cfr. Rapporti CRC dal 2004 al 2012 (www.gruppocrc.net) e di seguito il par. “Risorse per l’infanzia e l’adolescenza”. 12 Si vedano a tal proposito le relazioni sull’attuazione della Legge 285/1997 (www.minori.it). 13 Ibidem. dalla CRC è propria del Governo, come evidenziato dal Comitato ONU14. Lo Stato centrale ha quindi la responsabilità di garantire l’uniforme godimento dei diritti da parte di tutti i minorenni sul territorio nazionale, con particolare attenzione ai gruppi più vulnerabi li. Questa preoccupazione, ripresa anche nelle Osservazioni conclusive del Comitato ONU all’Italia del 201115, risulta ancora più profonda alla luce di quanto avvenuto dal 2010-2011, ossia il sostanziale azzeramento dei fondi per le politiche sociali. Nel 2009 è stato pubblicato il libro Bianco sul futuro del modello sociale16, che di fatto spostava la centralità del welfare verso il sostegno alle famiglie e in un’ottica di sussidiarietà centrata sul mercato sociale e la libera scelta dei cittadini, con elementi perequativi anche svolti dal volontariato. Con la Legge 42/200917 , istitutiva del Federalismo fiscale, si è dato ulteriore impulso alla Riforma del Titolo V, in coerenza in particolare con il dettato dell’art. 117 che riconosce tre livelli di sussidiarietà verticale: Stato Centrale, Regioni, Enti Locali, ciascuno con competenze distinte e/o “concorrenti”: lo Stato con la definizione di standard comuni a tutto il territorio nazionale e di strumenti impositivi sul versante fiscale, affinché per loro parte Regioni ed Enti Locali possano reperire le risorse per il finanziamento dei servizi ai cittadini (quindi anche ai bambini, ai ragazzi e alle famiglie) con larga autonomia, anche fiscale; tale Legge ha dato vita a numerosi filoni di riforma e Leggi Delega al Governo, quasi tutti disattesi o solo parzialmente definitisi (Delega Fiscale e Assistenziale, Riforma dell’ISEE). 14 “[...] il decentramento del potere, attraverso la devoluzione e la delega del Governo, non riduce in alcun modo la responsabilità diretta del Governo dello Stato parte di adempiere ai propri obblighi verso tutti i bambini entro la propria giurisdizione, indipendentemente dalla struttura dello Stato” e “[...] lo Stato che ratifica [...] la Convenzione rimane responsabile di garantire la totale attuazione della Convenzione nei territori entro la propria giurisdizione. In qualsiasi processo di devoluzione, gli Stati parte devono garantire che le autorità locali abbiano le risorse finanziarie, umane e di altro tipo necessarie per adempiere efficacemente alle responsabilità di attuazione della Convenzione [...]”.Si veda Comitato ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Commento Generale n. 5, Misure generali di attuazione della Convenzione sui diritti dell’infanzia, punti 40 e 41. 15 CRC/C/ITA/CO/3-4, par. 8/9b. 16 www.lavoro.gov.it/NR/rdonlyres/376B2AF8-45BF-40C7-BBF0F9032F1459D0/ 0/librobianco.pdf 17 www.parlamento.it/parlam/leggi/09042l.htm Questi aspetti, tra gli altri, hanno contribuito ad una ulteriore ristrutturazione del welfare, che da “decentrato” (Legge 328/2000) è divenuto in prospettiva “federale” e legato al binomio servizi/bisogni piuttosto che alla garanzia di diritti universali; il tutto mediato da eventuali fondi perequativi e soprattutto dai “Livelli Essenziali di prestazioni concernenti i diritti civili e sociali18”. Lo strumento principale di perequazione a livello centrale divenne pertanto la definizione di standard comuni per tutto il territorio nazionale, in qualche modo “generalizzando” il precedente concetto dei LIVEAS. È importante sottolineare che dalla Legge 42/2009 in poi è necessario far riferimento ai “Livelli” per l’applicazione del principio costituzionale dell’uguaglianza di tutti i cittadini sul territorio nazionale. Questo processo di “federalizzazione” e gli altri descritti erano in previsione per il 2011-2013; in questo periodo sarebbero dovute coesistere sia risorse trasferite dallo Stato alle Regioni, via via in diminuzione (FNPS e altri fondi), sia l’attivazione del Federalismo fiscale, che avrebbe portato, dal 2014, al sostanziale azzeramento della maggior parte dei trasferimenti alle Regioni, con l’attivazione della loro autonoma capacità impositiva fiscale. Ignorati prima del 2011, nonostante successive dichiarazioni di interesse da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali19, non si registra un interesse operativo per l’individuazione dei Livelli Essenziali. Ricordiamo inoltre che le Deleghe Fiscale e Assistenziale non sono andate in porto, anche per l’opposizione delle rappresentanze sociali, che lamentavano l’abbandono del principio dell’universalità dei diritti e, in alcuni casi, per la verifica dell’inconsistenza dei supposti risparmi al sistema di welfare20; parimenti non è stata conclusa la riforma dell’ISEE. Ciò che non si è invece arrestata, dal 2010 in poi, è la 18 Costituzione italiana, art. 117 lettera m). 19 Cfr. Sottosegretario alle Politiche Sociali Cecilia Guerra, posizione espressa al Convegno “Cresce il Welfare, cresce l’Italia”, intervista disponibile su www.gruppoabele.org/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/ IT/IDPagina/2719. 20 Si veda ad esempio la ricerca del 2011 svolta dal Forum Nazionale del Terzo Settore: (www.forumterzosettore.it/?action=comunicati&id=488 Il testo integrale è disponibile su: www.redattoresociale.it/RedattoreSocialeSE_ files/Speciali_Documenti/371884.doc politica di tagli alle risorse sociali, derivanti sia da scelte politiche21, sia dalle emergenze poste dalla crisi finanziaria mondiale. I trasferimenti previsti alle Regioni per il welfare sono stati ulteriormente contratti22, determinando dal 2011 anche altre conseguenze, tra cui: la drammatica diminuzione di risorse verso gli Enti Locali23 e il sostanziale invito agli stessi ad operare “virtuosamente” con il taglio della spesa sociale24; il taglio dei trasferimenti a Regioni ed Enti Locali (rispetto a quelli precedentemente previsti, già significativamente minori di quelli del triennio fino al 2011)25; il sostanziale azzeramento per il 2012 del FNPS (tagliato del 98% dal 2009 al 2012)26; l’aumento dell’IVA a causa della “clausola di salvaguardia”27; la revisione del modello ISEE (con il quale i cittadini possono accedere a servizi, agevo 21 Ad esempio la cancellazione dell’ICI. 22 Si veda il successivo paragrafo su “Le risorse destinate all’infanzia e all’adolescenza”. 23 Gli Enti Locali hanno subito, dal 2009, il taglio delle risorse dell’ICI, storicamente dedicate ai servizi e all’assistenza (prima infanzia, anziani, servizi socio-educativi per minorenni, ecc.), che sarebbero dovute essere integrate in toto dallo Stato, dopo la cancellazione dell’imposta per la prima casa, ma che non sono mai state risarcite in misura totale. Successivamente, gli EELL hanno visto un irrigidimento delle procedure per il calcolo dei parametri del “Patto di Stabilità” (la possibilità di spesa e indebitamento dei Comuni); infine, dal 2011, è stata reintrodotta l’imposta sulla prima casa – ora IMU – il cui primo 4% va direttamente allo Stato, salvo la possibilità per i Comuni di disporre aumenti e quindi utilizzare la differenza di fondi; solo dal 2013, e in misura del 50%, le risorse saranno ridestinate ai Comuni. 24 La Legge 111/2011, art. 20 (manovra estiva 2011 di contrasto alla crisi economica) considera un elemento di virtuosità da parte dei Comuni l’azione di recupero dei costi dei servizi a domanda individuale come ad esempio i Nidi. 25 Legge 111/2011; Legge 148/2011. 26 Per l’andamento della spesa sociale negli anni, si veda il paragrafo sulle risorse sociali, e in generale i dossier e le prese di posizione assunte dalla Conferenza delle Regioni: www.regioni.it; è interessante segnalare che nel 2012 non vi è stata l’intesa fra Governo e Conferenza delle Regioni a fonte di un stanziamento FNPS di 10 milioni. 27 Decreto-Legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito con modificazioni dalla Legge 214/2011 (in SO n. 276, relativo alla G.U. 27/12/2011, n. 300). L’aumento dell’IVA è pertinente in questo contesto, perché nell’ambito delle “politiche per l’infanzia e l’adolescenza”, anche nei precedenti Rapporti CRC si erano riportate linee guida generali che tendevano a spostare il focus delle opportunità per i minorenni sul versante delle politiche attive per le famiglie, prevedendo uno spostamento del welfare dalla contribuzione diretta (fondi e servizi) agli sgravi e facilitazioni fiscali ed economiche alle famiglie. Tutto ciò, definito nel Libro Bianco sul Welfare, fa invece i conti con la reale tendenza che vede un aumento indiscriminato dei costi di beni e servizi per tutti (con l’aumento dell’IVA) e l’accantonamento dei progetti di azione sulla leva fiscale indiretta (gli sgravi alle famiglie) posti dalle “clausole di salvaguardia”. lazioni e sgravi anche in relazione all’infanzia e all’adolescenza)28. Tutte le stime indicano un taglio significativo di servizi (chiusura, esternalizzazione, mancato rinnovo dei contratti precari, generale riduzione delle risorse), e un aumento in valore assoluto della contribuzione dei cittadini, sia attraverso la leva fiscale (IMU, ad esempio) sia attraverso le tariffe per i servizi a domanda diretta sia, infine, per i rincari generalizzati dovuti all’IVA, agli aumenti derivanti connessi ai costi di trasporto/carburante lievitati nell’anno, etc. Quei Comuni che hanno scelto di non tagliare i servizi hanno ripianato la carenza dei Fondi nazionali con fondi propri e/o con l’aumento dell’IMU, con immediati rischi di sperequazione territoriale, labilità dei finanziamenti, aggravio delle spese fiscali per le famiglie. In questo panorama si segnalano alcuni elementi di sviluppo e in qualche misura in controtendenza: a) la Commissione Politiche Sociali della Con ferenza delle Regioni ha elaborato, fin dall’ottobre 2011, un documento di “Macro- Obiettivi di servizio”, che si pongono come prodromici ai Livelli Essenziali, pur insisten do sulle caratteristiche (di costo e struttura- li) di quei servizi alla persona ricorrenti e fra di loro paragonabili tra le diverse Regioni. Per titoli, essi attengono a: 1. Servizi per l’accesso e la presa in carico da parte della rete assistenziale; 2. Servizi e misure per favorire la permanenza a domicilio; 3. Servizi per la prima infanzia e a carattere comunitario; 28 La vicenda della revisione dell’ISEE si riporta come fatto emblematico dell’estrema complicazione del sistema: inizialmente prevista come delega al Governo (Decreto Salva-Italia del 2011, art. 5), è stato in seguito necessario concordarla con le Regioni, a causa di sentenze del Consiglio di Stato che impedivano da una parte variazioni unilaterali da parte degli EELL, dall’altra anche decisioni unilaterali dello Stato. Tale revisione, non scevra di forti critiche da parte di alcune associazioni e parti sociali (ad esempio sul tema del rapporto fra ISEE personale e familiare/concorso alle spese di cura perché si ravvedevano in essa caratteristiche non già di maggiore efficienza, ma di tagli ai diritti, specie per i disabili) è stata infine bloccata il 24 gennaio 2013 nella sua formulazione finale dal veto della Lombardia, la quale ha peraltro in atto una discussione che introduce di fatto un ISEE regionale, al momento in via di sperimentazione in 15 Comuni. 4. Servizi a carattere residenziale per le fragilità; 5. Misure di inclusione sociale e di sostegno al reddito (incluse anche le misure economiche erogate a livello nazionale). Circa i Macro-Obiettivi, si sottolinea comunque che essi sono ancora frutto di una logica prestazionale connessa all’erogazione di servizi; è distante il traguardo dei Livelli Essenziali connessi ai diritti, come peraltro riconosciuto dalla stessa Conferenza delle Regioni. Il tema dei Livelli Essenziali è invece stato oggetto di approfondimento ed è materia di lavoro da parte delle associazioni del Terzo Settore, nel corso di Conferenze Nazionali29 e con gruppi permanenti di lavoro30 che dal 2013 operano in collaborazione con il Garante Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza ed esperti31. a) Nel 2012, pur nella ristrettezza di risorse, è stato rifinanziato il Fondo per la Famiglia32; b) La legge di Stabilità 2013/2015 conferma sostanzialmente il finanziamento ex Legge 285/1997 alle 15 città riservatarie e il Fondo per la Famiglia per il triennio, aumenta le detrazioni IRPEF per i figli a carico e, solo per il 2013, ripristina il FNPS, anche se in misura di poco superiore alla metà di quanto auspicato dalla Conferenza delle Regioni, che chiedeva la riassegnazione almeno dei Fondi 200933. Da rilevare anche il fatto che i fondi FNPS 2013 saranno utilizzati dalle Regioni secondo lo schema introdotto dai Macro-Obiettivi di Servizio di cui sopra. c) Un elemento innovativo è l’operatività del Ministero della Coesione Territoriale nel corso del 2012, che ha avviato il suo lavoro con una Relazione alle Commissioni Bilancio 29 Si veda la Conferenza “Cresce il Welfare, cresce l’Italia” del marzo 2012 (www.cresceilwelfare.it), promossa da numerose organizzazioni del Terzo Settore in cui si sono incontrati esperti, studiosi, esponenti del terzo settore e del Governo www.fishonlus.it/iniziative/cresce-ilwelfare- cresce-litalia/conferenza-2012/#presentazione. 30 Si veda la rete Batti il Cinque su www.cnca.it/attivita/campagne-ereti dove è disponibile il documento base sui Livelli Essenziali. 31 Dal febbraio 2013 l’Ufficio del Garante Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza ha avviato un tavolo di lavoro con esperti e la rete Batti il Cinque per la definizione di una proposta di Livelli Essenziali per l’infanzia e l’adolescenza. 32 Per gli importi e i dati si veda il successivo paragrafo sulle “risorse sociali”. 33 Ibidem. di Camera e Senato il 6 dicembre 201134, in cui venivano esplicitati gli obiettivi di “rilancio” dell’uso dei Fondi Strutturali europei 2007/2011 (in grave ritardo) e di impostazione dell’uso delle risorse europee del programma 2014/2020 secondo un’ottica di contrasto agli squilibri territoriali e di sostegno all’innovazione dei servizi e della spesa ordinaria su temi anche riferiti alle persone di minore età (istruzione, contrasto alla dispersione scolastica, servizi per la prima infanzia). A partire dalla fine del 2011, con la definizione del Piano d’Azione e Coesione35 (PAC) e con 3 interventi successivi di riprogrammazione avvenuti durante l’anno 2012, sono state stanziate risorse economiche, principalmente per le 4 Regioni “Convergenza” del Mezzogiorno (Calabria, Campania, Sicilia e Puglia), a favore – tra le altre cose – di interventi per l’istruzione e la promozione dei servizi di assistenza e cura della prima infanzia. Il “PAC Cura” (Piano d’Azione per la Coesione – servizi di cura) ha dato avvio, a marzo 2013, all’attuazione degli obiettivi per la prima infanzia nelle quattro Regioni interessate. Il PAC contempla obiettivi di breve e medio periodo e viene attuato in due fasi distinte nell’impostazione ma in sovrapposizione temporale. La prima fase (2013) fornirà sostegno alla domanda e all’offerta nei servizi di cura attraverso interventi di più rapida attivazione che possano mantenere e, laddove possibile, espandere nell’immediato i livelli di servizio. Nella seconda, il PAC si pone l’obiettivo di contribuire a sciogliere nodi sistemici e strutturali del settore per aumentare i livelli di servizio, portarli dove oggi assenti, migliorarne qualità e sostenibilità anche attraverso una migliore integrazione del servizio pubblico con il privato sociale. Infine, il 27/12/12 sono state presentate le linee generali per l’impostazione del Piano Strategico 2014/202036. Si riporta l’azione del Ministero della Coe34 www.senato.it/documenti/repository/commissioni/comm05/documenti_ acquisiti/La%20coesione%20territoriale%20in%20Italia%20 alla%20fine%20del%202011.pdf 35 www.coesioneterritoriale.gov.it/fondi/piano-di-azione-coesione/ 36 www.coesioneterritoriale.gov.it/wp-content/uploads/2012/12/Metodi- e-obiettivi-per-un-uso-efficace-dei-fondi-comunitari-2014-20.pdf sione territoriale perché da una parte essa aggiorna quanto affermato nei principi del Libro Bianco sul welfare, concentrandosi sul contrasto agli squilibri in un’ottica di sviluppo e crescita coerente con le politiche comunitarie, pur agendo secondo direttrici e in un Ministero diversi; dall’altra, anche in questo caso si rilevano alcune rigidità come l’assenza di coordinamento strutturale fra Ministeri e le rigidità del Patto di Stabilità, che hanno imposto soluzioni creative come il passaggio di fondi non agli EELL ma attraverso filiere ministeriali (Istruzione, Interno). La necessità di tali soluzioni ancora una volta dimostra che l’architettura del decentramento/ federalismo (incompiuto) italiano oggi ostacola e complica l’attuazione di interventi, anche laddove vi siano le risorse economiche. Quanto esposto descrive quello che a nostro parere è il default del sistema di welfare, legato all’attuale architettura istituzionale, alla carenza di risorse, alla coesistenza del welfare all’interno di un Ministero del Lavoro che, nei fatti, porta avanti istanze più sul secondo campo (lavoro) che sul primo (welfare), allo spezzettamento di altre funzioni con Ministeri senza portafoglio (es., il Dipartimento per la Famiglia) e all’assenza di processi di coordinamento sulle misure per le persone di minore età. Gli effetti non sono – come descritto – in alcun caso riconducibili ad un “sistema di politiche”, ma la risultante di processi diversi, non interagenti (o male interagenti), di norme che variano senza un orizzonte comune, con tempistiche diverse tali da rendere incoerenti o inefficaci e/o senza risorse i singoli passaggi. Ciò vale per il sistema sociale in generale e gli effetti su servizi, risorse, norme e leggi per i minorenni e le loro famiglie sono evidenti nell’assenza di piattaforme comuni di sintesi. Questo ci fa affermare che non esistono, nei fatti, politiche integrate e coerenti per l’infanzia e l’adolescenza, ma solo “filiere” indipendenti, che agiscono secondo logiche distinte, che casualmente, ad uno o un altro livello dello Stato, si incontrano e/o agiscono e danno luogo a questa o quella serie di interventi; senza programmazione, senza controllo, senza verifica complessiva. Riteniamo che questa grave situazione debba essere attentamente monitorata, senza ulteriori dilazioni da parte delle istituzioni, prestando particolare attenzione: al progressivo passaggio dal sistema decentrato a quello federale dello Stato; alla definizione dei “Livelli Essenziali di Prestazioni concernenti i Diritti Civili e Sociali”; ad una valutazione di impatto della legislazione nazionale e regionale occorsa in questi ultimi anni e dei suoi effetti sulla spesa delle famiglie, sulla qualità dei servizi, sui diritti dei minorenni. Alla luce di quanto sopra, il Gruppo CRC raccomanda: 1. Al Governo e alla Conferenza delle Regio- ni, in collaborazione con il Garante Na- zionale per l’Infanzia e l’Adolescenza, la definizione urgente dei “Livelli Essenziali di Prestazioni concernenti i Diritti Civili e Sociali”, connessi esplicitamente ai diritti sanciti nella CRC; in particolare, al nuovo Governo, di non disperdere in diversi Mi- nisteri e Dipartimenti le competenze politi- che afferenti agli interventi per le persone di minore età e di creare le condizioni per non rendere secondaria l’azione ministe- riale sul welfare rispetto al lavoro; 2. Al Garante Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza, in concorso con l’Osser- vatorio nazionale, anche attraverso il CNDA, una valutazione di impatto degli effetti delle modifiche della legislazione nazionale e regionale e dei tagli al si- stema di welfare sulle “politiche sociali” per i minorenni; 3. All’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza di tenere conto delle in- dicazioni riportate nel presente Rappor- to (e citate seppur superficialmente nel Rapporto sull’attuazione del PNI) per la redazione del prossimo PNI, in partico- lare per ciò che attiene: a) la disponibilità di fondi ordinari (FNI) e straordinari (inclusione, povertà, istru- zione, etc.); b) l’aggiornamento, razionalizzazione e sistematizzazione del sistema di leggi e norme alla luce delle modificazioni dell’architettura dello Stato (revisione della Legge 451/1997, aggiornamento delle leggi di settore per l’infanzia e l’adolescenza, etc.). 2. lE rIsorsE DEstINatE all’INfaNzIa E all’aDolEsCENza 14. Il Comitato lamenta, nel Rapporto presentato dall’Italia, la mancanza di informazioni relative all’implementazione della sua precedente racco- mandazione (CRC/C/15/add.198, par. 9), concer- nente la richiesta di una analisi specifica di tutti i fondi statali e regionali destinati all’infanzia. In particolare, il Comitato teme i recenti tagli di bilancio che hanno interessato il settore dell’i- struzione e il mancato finanziamento del Piano straordinario per lo sviluppo dei servizi socio- educativi 2010, nonché la riduzione dei fondi per la Politica per la famiglia, per il Fondo nazionale per le politiche sociali e per il Fondo nazionale per l’infanzia e l’adolescenza. Il Comitato espri- me la sua preoccupazione per le disparità a livel- lo regionale nell’assegnazione e nella spesa dei fondi destinati ai minori, compresi i settori della prima infanzia, istruzione e salute. Teme inoltre per il recente deterioramento della valutazione dello Stato parte nelle classifiche internazioni riguardanti la corruzione e per le eventuali con- seguenze sui diritti dei minori. Alla luce della situazione finanziaria in cui si trova attualmente l’Italia, il Comitato sottolinea il rischio che i ser- vizi destinati ai minori possano mancare della tutela e del sostegno necessari. 15. Il Comitato ribadisce la sua precedente rac- comandazione (CRC/C/15/add.198, par. 9) al fine di effettuare un’analisi completa sull’allocazione delle risorse per le politiche a favore dei minori a livello nazionale e regionale. Sulla base dei risultati di tale analisi, lo Stato parte dovrà assi- curare stanziamenti di bilancio equi per i minori in tutte le 20 regioni, con particolare attenzione alla prima infanzia, ai servizi sociali, all’istruzio- ne ed ai programmi di integrazione per i figli dei migranti e delle altre comunità straniere. Il Comitato raccomanda che lo Stato parte affronti con efficacia il problema della corruzione e ga- rantisca che, pur nell’attuale situazione finan- ziaria, tutti i servizi per i minori siano protetti dai tagli. (CRC/C/ITA/CO/3-4, punti 14 e 15) 6orapportodiaggiornamento2012-201314 i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in ItaliaIn coerenza con il precedente paragrafo sul- le politiche per l’infanzia e l’adolescenza, di seguito si focalizza l’attenzione sulle politiche sociali, rimandando a successivi monitoraggi i pur importanti ambiti delle politiche educative e della spesa per il sistema scolastico, sani- tario e di contrasto alla povertà minorile, che è in Italia tra le più alte dei Paesi dell’OCSE. Fanno eccezione e rappresentano una novità le risorse del Piano di Azione e Coesione del Mi- nistero per la Coesione Territoriale. 35,237 Per il triennio 2013/2015 la legge di stabilità38 non prevede Fondi per la prima infanzia. Ven- gono mantenuti i Fondi ex Legge 285/1997, rispettivamente per 39,35 milioni nel 2014 e 38,8 milioni nel 2015. (39) (40) (41) 42 Il FMI quindi non solo non viene aggiornato, ma nel periodo 2008/2015 perde l’11,6%, taglio che si aggiunge al quello avvenuto dal 2001 37 Al taglio del 10% rispetto all’annualità 2010 si è aggiunto nel marzo 2011 un ulteriore taglio lineare del 10% a causa del minore introito circa la previsione di entrate sulla vendita delle frequenze tv. 38 Si veda veda la Legge di stabilità 2013 al sito www.rgs.mef.gov.it/ VERSIONE-I/Finanza-Pu/Legge-di-s/2013, in particolare pag. 153 degli Allegati (tab C) per il Fondo Nazionale Infanzia. 39 Fino all’annualità 2010 il Fondo FNPS era calcolato includendo i cosiddetti “oneri per i diritti soggettivi” (agevolazioni a genitori di figli con disabilità, assegni di maternità, assegno ai nuclei familiari, inden- nità per i lavoratori affetti da talassemia major). Dal 2011 la modalità è cambiata e nella Legge di Stabilità compaiono solo i fondi destinati alle Regioni, alle Province Autonome e la quota assegnata al Ministero per il suo funzionamento istituzionale. 40 Quota parte del FNPS dedicata alle Regioni per i servizi sociali (per tutta la popolazione, non solo minorile). 41 Si riporta la quota realmente assegnata alle Regioni (al netto della parte trattenuta a livello ministeriale), oggetto delle intese Governo/ Conferenza delle Regioni (fonte: Conferenza delle Regioni). 42 Si sottolinea come per il Fondo 2012 la Conferenza delle Regioni non abbia per la prima volta firmato l’intesa con il Governo, esprimen- do dissenso verso il sostanziale azzeramento del FNPS (atto n. 94 del 25 luglio 2012). (oltre il 20% in meno nel periodo 2001/2015). Come si evince dalla tabella, l’andamento del FNPS risponde a quanto previsto in sede di ag- giornamento del Rapporto CRC del 2012, lad- dove si paventava il rischio della cancellazione del Fondo con l’anticipo delle sole misure di taglio al sociale previste con il Federalismo. Per la prima volta nel 2012 la Conferenza del- le Regioni non ha sottoscritto l’intesa con il Governo. Nell’ottobre 2012 il Presidente del- la Conferenza delle Regioni ha sottoposto al Ministro del Welfare il “documento per un’a- zione di rilancio delle politiche sociali”43, nel quale oltre a rimarcare l’importanza dei Livelli Essenziali e del lavoro effettuato dalla Con- ferenza delle Regioni con la definizione dei Macro-Obiettivi di Servizio, veniva richiesto il ripristino del FNPS ai livelli del 2009, con una cifra pari a 520 milioni di euro. È importante sottolineare che non esiste un monitoraggio sistematico della percentuale del FNPS dedica- to alle persone di minore età; una stima della Conferenza delle Regioni indica circa nel 40% la quota parte dedicata a servizi per la prima infanzia, i minorenni e le famiglie. Si sottolinea come il Fondo sia stato parzial- mente ripristinato per il 2013, ma la Legge di Stabilità imputa a questa voce per il triennio solo 44 milioni annui; il rifinanziamento del FNPS è quindi da considerarsi valido per il solo 2013; dal 2014 in poi è, stando ai documenti ufficiali, di nuovo azzerato. Il Fondo per le politiche per la Famiglia (in due 43 Si veda www.regioni.it/download.php?id=273240&field=allegato& module=news Fondi specifici per l’infanzia e l’adolescenza 2008 (mln €) 2009 (mln €) 2010 (mln €) 2011 (mln €) 2012 (mln €) 2013 (mln €) Fondo infanzia e adolescenza (solo 15 città ex 285/97) 43,9 43,9 40,0 35,237 40,0 39,60 Fondo servizi prima infanzia 100,0 100,0 0 0 0 0 Fondo per le politiche sociali (FSN) 2009 2010 2011 2012 2013 (39) € 1.420.580.157 € 1.289,3 ml / / / (40) € 583,9 mln € 435.257.959 € 218.084.045 € 43.722.702 € 344.178.000 (41) € 518.23 Mlm € 380,22 Mln € 178,500 € 10.980.362(42) € 300.000.0000 14 i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in ItaliaIn coerenza con il precedente paragrafo sul- le politiche per l’infanzia e l’adolescenza, di seguito si focalizza l’attenzione sulle politiche sociali, rimandando a successivi monitoraggi i pur importanti ambiti delle politiche educative e della spesa per il sistema scolastico, sani- tario e di contrasto alla povertà minorile, che è in Italia tra le più alte dei Paesi dell’OCSE. Fanno eccezione e rappresentano una novità le risorse del Piano di Azione e Coesione del Mi- nistero per la Coesione Territoriale. 35,237 Per il triennio 2013/2015 la legge di stabilità38 non prevede Fondi per la prima infanzia. Ven- gono mantenuti i Fondi ex Legge 285/1997, rispettivamente per 39,35 milioni nel 2014 e 38,8 milioni nel 2015. (39) (40) (41) 42 Il FMI quindi non solo non viene aggiornato, ma nel periodo 2008/2015 perde l’11,6%, taglio che si aggiunge al quello avvenuto dal 2001 37 Al taglio del 10% rispetto all’annualità 2010 si è aggiunto nel marzo 2011 un ulteriore taglio lineare del 10% a causa del minore introito circa la previsione di entrate sulla vendita delle frequenze tv. 38 Si veda veda la Legge di stabilità 2013 al sito www.rgs.mef.gov.it/ VERSIONE-I/Finanza-Pu/Legge-di-s/2013, in particolare pag. 153 degli Allegati (tab C) per il Fondo Nazionale Infanzia. 39 Fino all’annualità 2010 il Fondo FNPS era calcolato includendo i cosiddetti “oneri per i diritti soggettivi” (agevolazioni a genitori di figli con disabilità, assegni di maternità, assegno ai nuclei familiari, inden- nità per i lavoratori affetti da talassemia major). Dal 2011 la modalità è cambiata e nella Legge di Stabilità compaiono solo i fondi destinati alle Regioni, alle Province Autonome e la quota assegnata al Ministero per il suo funzionamento istituzionale. 40 Quota parte del FNPS dedicata alle Regioni per i servizi sociali (per tutta la popolazione, non solo minorile). 41 Si riporta la quota realmente assegnata alle Regioni (al netto della parte trattenuta a livello ministeriale), oggetto delle intese Governo/ Conferenza delle Regioni (fonte: Conferenza delle Regioni). 42 Si sottolinea come per il Fondo 2012 la Conferenza delle Regioni non abbia per la prima volta firmato l’intesa con il Governo, esprimen- do dissenso verso il sostanziale azzeramento del FNPS (atto n. 94 del 25 luglio 2012). (oltre il 20% in meno nel periodo 2001/2015). Come si evince dalla tabella, l’andamento del FNPS risponde a quanto previsto in sede di ag- giornamento del Rapporto CRC del 2012, lad- dove si paventava il rischio della cancellazione del Fondo con l’anticipo delle sole misure di taglio al sociale previste con il Federalismo. Per la prima volta nel 2012 la Conferenza del- le Regioni non ha sottoscritto l’intesa con il Governo. Nell’ottobre 2012 il Presidente del- la Conferenza delle Regioni ha sottoposto al Ministro del Welfare il “documento per un’a- zione di rilancio delle politiche sociali”43, nel quale oltre a rimarcare l’importanza dei Livelli Essenziali e del lavoro effettuato dalla Con- ferenza delle Regioni con la definizione dei Macro-Obiettivi di Servizio, veniva richiesto il ripristino del FNPS ai livelli del 2009, con una cifra pari a 520 milioni di euro. È importante sottolineare che non esiste un monitoraggio sistematico della percentuale del FNPS dedica- to alle persone di minore età; una stima della Conferenza delle Regioni indica circa nel 40% la quota parte dedicata a servizi per la prima infanzia, i minorenni e le famiglie. Si sottolinea come il Fondo sia stato parzial- mente ripristinato per il 2013, ma la Legge di Stabilità imputa a questa voce per il triennio solo 44 milioni annui; il rifinanziamento del FNPS è quindi da considerarsi valido per il solo 2013; dal 2014 in poi è, stando ai documenti ufficiali, di nuovo azzerato. Il Fondo per le politiche per la Famiglia (in due 43 Si veda www.regioni.it/download.php?id=273240&field=allegato& module=news Fondi specifici per l’infanzia e l’adolescenza 2008 (mln €) 2009 (mln €) 2010 (mln €) 2011 (mln €) 2012 (mln €) 2013 (mln €) Fondo infanzia e adolescenza (solo 15 città ex 285/97) 43,9 43,9 40,0 35,237 40,0 39,60 Fondo servizi prima infanzia 100,0 100,0 0 0 0 0 Fondo per le politiche sociali (FSN) 2009 2010 2011 2012 2013 (39) € 1.420.580.157 € 1.289,3 ml / / / (40) € 583,9 mln € 435.257.959 € 218.084.045 € 43.722.702 € 344.178.000 (41) € 518.23 Mlm € 380,22 Mln € 178,500 € 10.980.362(42) € 300.000.0000 ALTRI FONDI (nella previsione del 2011) 15 i diritti dell’infanzia Italiatranche da 25 e 45 milioni) è stato dedicato ai servizi per la prima infanzia, per le famiglie, per anziani e per l’assistenza domiciliare44 . Per gli anni 2014 e 2015, la Legge di Stabilità 2013/2015 assegna per il Fondo per la Famiglia 21,184 milioni nel 2014 e 21,389 nel 201545; per il Fondo pari opportunità 11,550 milioni nel 2014 e 11,679 nel 201546; per il Fondo per le politiche giovanili, 6,8 milioni nel 2014 e 6,7 nel 201547 . La Legge di Stabilità 2013/2015, inoltre, introduce un aumento delle detrazioni IRPEF per figli a cari- co, che passano da 800 a 950 euro per i maggio- ri di 3 anni e da 900 a 1220 euro per i figli minori di 3 anni; per i figli portatori di handicap si passa da una maggiorazione da 220 a 400 euro. Inoltre la stessa Legge conferma per il 2013 il Fondo di 1 milione per il funzionamento dell’Ufficio del Garante Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza. Infine, da segnalare lo stan- ziamento per il triennio 2013/2015 di fondi per stranieri e rifugiati: 1,6 milioni nel 2013; 4,8 nel 2014; 4,7 nel 2015. Essi non si riferiscono esclusivamente ai minorenni, ma incidono an- che su di essi in riferimento alla presenza tra i rifugiati di MSNA. Come riportato nei precedenti Rapporti, si segna- la che il PNI non prevedeva copertura finanziaria. Non è stato possibile stimare l’impatto sulla spesa delle famiglie delle misure fiscali e degli aumenti di tariffe del biennio 2011/2012, così come dell’incidenza della percentuale di costi spostati su Regioni e EELL in riferimento ai ser- vizi (al di là del dato relativo all’azzeramento del FNPS). L’osservazione quotidiana, le cronache e 44 Si veda www.politichefamiglia.it. 45 Legge di Stabilità 2013, Tabella C, pag. 152. 46 Ibidem. 47 Ibidem, pag. 156. gli appelli derivanti da associazioni di consu- matori e cittadini e di EELL (si cita, fra tutti, l’allarme dell’Unione delle Province in relazione alla mancanza di fondi per la manutenzione de- gli edifici scolastici48) testimoniano la crescente fatica delle famiglie, ma non vi sono stati rife- rimenti a studi completi su questo fenomeno. Per quanto riguarda il Piano di Azione e Coesio- ne (PAC) del Ministero per la Coesione Territoria- le, per le iniziative 2011/2012 l’ammontare è di 974,3 milioni di euro per gli interventi nel com- parto istruzione. A novembre 2012 ne risultavano impegnati circa 700. Per quanto riguarda la spe- sa, al 31 dicembre 2012 si prevedeva di raggiun- gere un ammontare di spesa di circa 280 milioni di euro. Con il Programma per i Servizi di Cura (PAC Cura), avviato a marzo 2013, relativamente all’attuazione degli obiettivi per la prima infanzia nelle quattro Regioni interessate, il primo riparto impegna 120 dei 400 milioni di euro complessi- vamente assegnati dal PAC ai servizi per l’infan- zia; la seconda fase prevede la distribuzione dei restanti 280 milioni di euro tra metà 2013-201549 . Successivamente entreranno in vigore i Fondi re- lativi al Programma 2014/2020 che il Governo sta discutendo a livello europeo al momento della stesura del presente Rapporto50 . Come nei precedenti Rapporti CRC si espri- me fortissima preoccupazione per la costan- te contrazione delle risorse dirette e indirette per l’infanzia e l’adolescenza51, in particolare 48 www.upinet.it/4006/istituzioni_e_riforme/le_province_presentano_ il_manifesto_programmatico_per_la_prossima_legislatura/. 49 Sono disponibili le relazioni circa lo stato di attuazione del PAC su www.coesioneterritoriale.gov.it/fondi/piano-di-azione-coesione/ 50 www.coesioneterritoriale.gov.it/wp-content/uploads/2012/12/Meto- di-e-obiettivi-per-un-uso-efficace-dei-fondi-comunitari-2014-20.pdf 51 Si rimanda al Rapporto CRC del 2011 per l’elenco delle principali norme legate al sociale e al mondo del lavoro che hanno una qualche connessione con le risorse familiari e per i minorenni. ALTRI FONDI (nella previsione del 2011) Fondo per le politiche della famiglia Fondo pari opportunità Fondo politiche giovanili (mln €) (mln € ) (mln € ) 2009 186.600 40.00 79.8 2010 185.300 38.7 48 (*) 2011 51.475 17.156 12.788 2012 70 15 13.432 2013 19,78 10,8 6,2 per l’assenza di strumenti perequativi a livello nazionale in previsione dell’attuazione del Federalismo fiscale (che siano LIVEAS o Livelli Essenziali di Prestazioni52). Tali preoccupazioni sono state peraltro autorevolmente riprese, come si ricordava, anche dalle Osservazioni Conclusive e Raccomandazioni all’Italia elaborate dal Comitato ONU. Tutti i dati sulla spesa sociale, direttamente e indirettamente riferita all’infanzia e all’adolescenza, sono in costante ribasso, con addirittura la cancellazione del Fondo Nazionale Politiche Sociali (anche se rifinanziato in via eccezionale per il 2013) e in presenza del “groviglio” di norme e legislazioni concorrenti in modo disarmonico sulla materia. Il risultato finale è la perdita netta di servizi e opportunità per l’infanzia e l’adolescenza e per le famiglie, la diminuzione di standard qualitativi (anche considerando i criteri di “virtuosità” di EELL che si basano sul contenimento della spesa, continuando quindi a considerare “un costo” l’investimento sociale ed educativo per i minorenni, così facendo tra l’altro incappando nelle rigidità del Patto di Stabilità che impedisce spesso di usare fondi anche quando presenti), la sofferenza del Terzo Settore, chiamato anch’esso ad assicurare costi sempre più bassi, che incidono sulla qualità dei servizi e della retribuzione di operatori socioeducativi, il blocco di assunzioni per gli operatori sociali pubblici, etc. Alla luce di quanto descritto e riportato, il Gruppo CRC raccomanda: 1. Al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e delle Politiche giovanili di ripri- stinare i Fondi afferenti in maniera diret- ta e indiretta all’infanzia e all’adolescen- za (FNI, FNPS, Fondi per la Famiglia, le Pari Opportunità e Politiche Giovanili) al livello medio del 2009, in coerenza con quanto richiesto dalla Conferenza delle Regioni, e il Fondo specifico per i servizi per la prima Infanzia – in collegamen- to con i Programmi Strutturali dei Fondi Europei – nonché prevedendo un Piano straordinario di contrasto alla povertà minorile; 52 Si veda il paragrafo “Le politiche sociali per l’infanzia e l’adolescenza”. 2. Al Garante Nazionale per l’Infanzia e l’A- dolescenza, in collaborazione con il Cen- tro nazionale di documentazione e ana- lisi per l’infanzia e l’adolescenza e con l’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza di redigere entro il 2013 un rapporto articolato concernente lo stato complessivo delle risorse per l’in- fanzia e l’adolescenza nel nostro Paese, integrando gli effetti delle leggi e mano- vre economiche nazionali con quelle a livello regionale e degli EELL; 3. Al Governo e al Parlamento, secondo le funzioni ascritte dalla Legge 451/1997, di assicurare adeguate e certe risorse al prossimo Piano Nazionale Infanzia e Adolescenza. 3. l’IMPEGNo PEr l’INfaNzIa E l’aDolEsCENza NElla CooPErazIoNE INtErNazIoNalE 23. Alla luce dei vincoli finanziari imposti a molti paesi, il Comitato incoraggia l’Italia ad adope- rarsi per correggere il calo degli aiuti pubblici allo sviluppo e a riconfermare una tendenza alla crescita, al fine di raggiungere l’obiettivo con- cordato internazionalmente dello 0,7 percento del PIL entro il 2015. Incoraggia inoltre l’Italia a fare del rispetto dei diritti dei minori una priorità di primo piano per gli accordi di cooperazione internazionale sottoscritti con i paesi in via di sviluppo e a impegnarsi per aumentare il sup- porto fornito alle organizzazioni internazionali che li tutelano, in particolare l’UNICEF. A questo scopo, il Comitato invita a tenere presente le Osservazioni conclusive del Comitato sui diritti dell’infanzia per il paese destinatario. CRC/C/ITA/CO/3-4, punto 23 Nonostante alcuni importanti risultati ottenuti nel corso degli ultimi due anni, si rileva ancora oggi una forte discrasia fra l’impegno dell’Italia nella promozione e protezione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e le politiche in tema di Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS). La nomina del nuovo Ministro per la Cooperazione Internazionale e l’Integrazione è già stata salutata nel precedente Rapporto CRC come un segnale positivo nella direzione di una più 6orapportodiaggiornamento2012-201317 i diritti dell’infanzia collocazione delle tematiche della Coo- perazione all’interno dell’attività di governo del Paese. Pur in assenza di una chiara ripartizio- ne di deleghe con il Ministro degli Affari Esteri e in mancanza di un portafoglio dedicato alla Cooperazione, la nomina del Ministro ha effetti- vamente contribuito ad un rilancio della coope- razione all’interno dell’agenda politica italiana. Un primo segnale in questo senso è stato il Forum della Cooperazione, tenutosi a Mi- lano nell’ottobre 2012, che ha visto un alto coinvolgimento istituzionale (hanno parteci- pato sei Ministri, il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Presidente della Repubblica con un videomessaggio) e di partecipazione generale (2000 persone iscritte). Nell’occasio- ne, il Governo ha sostenuto la centralità della cooperazione nella politica estera italiana53 . Segnali più concreti sono stati l’aumento di fondi destinati alla cooperazione che, pur re- stando lontani dagli obiettivi fissati in sede internazionale, mostrano comunque un’inver- sione di tendenza che è importante registra- re. Tale inversione sarà però visibile solo a partire dal 2013. I dati ufficiali per l’APS nel 2012, frutto delle decisioni di economia e fi- nanza del 2011, segnano ancora una flessio- ne: per l’Italia il rapporto Aiuto Pubblico allo Sviluppo/Reddito Nazionale Lordo (APS/RNL) nel 2012 è dello 0,13%54, con una flessione del 34,7% rispetto al 2011, dovuto alla ridu- zione degli aiuti ai rifugiati e delle iniziati- ve di riduzione del debito. Questo risultato posiziona il nostro Paese al penultimo posto per contributo relativo nell’insieme dei Pae- si DAC, seguiti solo dalla Grecia. Il traguardo dello 0,7% del PIL entro il 2015 sembra anco- ra difficile da raggiungere, ma con i provvedi- menti del 2012 si interrompe la serie negativa che dal 2009 ha caratterizzato i dati sulla Co- operazione. Nella legge finanziaria del 2012 sono stati allocati 227 milioni di euro per la cooperazione internazionale rispetto agli 86 milioni del 2011. Secondo una recente anali- 53 Ministro Riccardi, Discorso conclusivo Forum Cooperazione, ottobre 2012. Disponibile su www.forumcooperazione.it/forum/events/2012/it/ Documenti%20Forum/Discorso%20di%20chiusura%20Forum%20An- drea%20Riccardi%2c%20Ministro%20per%20la%20Cooperazione%20 Internazionale%20e%20l%27Integrazione.pdf 54 Dati OCSE/DAC per il 2012. www.oecd.org/dac/stats/ si del Ministro della Cooperazione, “la legge di stabilità 2013 ha portato le previsioni del livello di APS per il 2013 allo 0,15-0,16 per cento del RNL (corrispondenti a 2,3-2,4 mi- liardi di euro)”55. Questi dati comprendono il contributo della Cooperazione decentrata che, analizzato separatamente, presenta invece un quadro di crisi molto grave delle risorse di- sponibili per la Cooperazione tra territori, nel quale si è passati da un contributo aggrega- to di Regioni e Province di circa 70 milioni di euro l’anno nel periodo 2006-2009, ad un contributo ridotto a circa un terzo nel triennio successivo56 . All’interno di questo quadro resta ancora diffi- cile identificare con chiarezza le risorse destina- te specificatamente all’infanzia, mancando una chiara pianificazione dell’allocazione delle risor- se ed essendo molto difficoltoso il reperimento di informazioni chiare relative al loro utilizzo. Secondo i dati forniti quest’anno dal MAE57 , il totale deliberato con meccanismi a dono in favore di iniziative sull’infanzia58 registra una netta diminuzione in termini assoluti nell’ultimo triennio. Su tali fondi, per la percentuale gestita da Organizzazioni Non Governative si registra una importante ulteriore diminuzione. Anno Totale Infanzia (€) Di Cui Ong (€) Ong/Tot 2010 41.988.179 13.615.638 32% 2011 36.353.371 16.305.427 45% 2012 27.337.931 7.221.659 26% Tabella 1. Totale per anno deliberato per iniziative in favore dell’infanzia a valere sui capitoli 2180, 2181, 2182, 2183, 2184. La colonna ONG si riferisce solo al capitolo 2181. Dati forniti dal Ministero degli Affari Esteri. 55 Stima dell’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS) per il 2013, Mini- stero Cooperazione, marzo 2013. www.cooperazioneintegrazione.it/ media/21557/metodologia_aps_e_stime_aps_2013_sintesi.pdf 56 Stime a cura dell’Osservatorio Interregionale Cooperazione allo Sviluppo – OICS, presentate alla Scuola Superiore Pubblica Ammini- strazione, Workshop 24 gennaio 2013, in “Presentazione della Coope- razione internazionale delle Regioni e degli Enti Locali”. 57 Per motivi legati alle modalità di estrazione dei dati da parte del Ministero degli Affari Esteri – DGCS, i dati forniti quest’anno sono basati su un archivio più esteso di delibere rispetto a quelli forniti in occasione della preparazione del precedente Rapporto CRC. Per que- sto motivo e non avendo a disposizione altri dati, le cifre riportate in questo rapporto non risultano immediatamente conciliabili con quelle fornite nelle scorse edizioni. 58 In mancanza di una classificazione tematica degli interventi di Cooperazione, l’elaborazione del MAE è stata realizzata tramite una ricerca per parole chiave all’interno dell’archivio delle delibere. 17 i diritti dell’infanzia collocazione delle tematiche della Coo- perazione all’interno dell’attività di governo del Paese. Pur in assenza di una chiara ripartizio- ne di deleghe con il Ministro degli Affari Esteri e in mancanza di un portafoglio dedicato alla Cooperazione, la nomina del Ministro ha effetti- vamente contribuito ad un rilancio della coope- razione all’interno dell’agenda politica italiana. Un primo segnale in questo senso è stato il Forum della Cooperazione, tenutosi a Mi- lano nell’ottobre 2012, che ha visto un alto coinvolgimento istituzionale (hanno parteci- pato sei Ministri, il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Presidente della Repubblica con un videomessaggio) e di partecipazione generale (2000 persone iscritte). Nell’occasio- ne, il Governo ha sostenuto la centralità della cooperazione nella politica estera italiana53 . Segnali più concreti sono stati l’aumento di fondi destinati alla cooperazione che, pur re- stando lontani dagli obiettivi fissati in sede internazionale, mostrano comunque un’inver- sione di tendenza che è importante registra- re. Tale inversione sarà però visibile solo a partire dal 2013. I dati ufficiali per l’APS nel 2012, frutto delle decisioni di economia e fi- nanza del 2011, segnano ancora una flessio- ne: per l’Italia il rapporto Aiuto Pubblico allo Sviluppo/Reddito Nazionale Lordo (APS/RNL) nel 2012 è dello 0,13%54, con una flessione del 34,7% rispetto al 2011, dovuto alla ridu- zione degli aiuti ai rifugiati e delle iniziati- ve di riduzione del debito. Questo risultato posiziona il nostro Paese al penultimo posto per contributo relativo nell’insieme dei Pae- si DAC, seguiti solo dalla Grecia. Il traguardo dello 0,7% del PIL entro il 2015 sembra anco- ra difficile da raggiungere, ma con i provvedi- menti del 2012 si interrompe la serie negativa che dal 2009 ha caratterizzato i dati sulla Co- operazione. Nella legge finanziaria del 2012 sono stati allocati 227 milioni di euro per la cooperazione internazionale rispetto agli 86 milioni del 2011. Secondo una recente anali- 53 Ministro Riccardi, Discorso conclusivo Forum Cooperazione, ottobre 2012. Disponibile su www.forumcooperazione.it/forum/events/2012/it/ Documenti%20Forum/Discorso%20di%20chiusura%20Forum%20An- drea%20Riccardi%2c%20Ministro%20per%20la%20Cooperazione%20 Internazionale%20e%20l%27Integrazione.pdf 54 Dati OCSE/DAC per il 2012. www.oecd.org/dac/stats/ si del Ministro della Cooperazione, “la legge di stabilità 2013 ha portato le previsioni del livello di APS per il 2013 allo 0,15-0,16 per cento del RNL (corrispondenti a 2,3-2,4 mi- liardi di euro)”55. Questi dati comprendono il contributo della Cooperazione decentrata che, analizzato separatamente, presenta invece un quadro di crisi molto grave delle risorse di- sponibili per la Cooperazione tra territori, nel quale si è passati da un contributo aggrega- to di Regioni e Province di circa 70 milioni di euro l’anno nel periodo 2006-2009, ad un contributo ridotto a circa un terzo nel triennio successivo56 . All’interno di questo quadro resta ancora diffi- cile identificare con chiarezza le risorse destina- te specificatamente all’infanzia, mancando una chiara pianificazione dell’allocazione delle risor- se ed essendo molto difficoltoso il reperimento di informazioni chiare relative al loro utilizzo. Secondo i dati forniti quest’anno dal MAE57 , il totale deliberato con meccanismi a dono in favore di iniziative sull’infanzia58 registra una netta diminuzione in termini assoluti nell’ultimo triennio. Su tali fondi, per la percentuale gestita da Organizzazioni Non Governative si registra una importante ulteriore diminuzione. Anno Totale Infanzia (€) Di Cui Ong (€) Ong/Tot 2010 41.988.179 13.615.638 32% 2011 36.353.371 16.305.427 45% 2012 27.337.931 7.221.659 26% Tabella 1. Totale per anno deliberato per iniziative in favore dell’infanzia a valere sui capitoli 2180, 2181, 2182, 2183, 2184. La colonna ONG si riferisce solo al capitolo 2181. Dati forniti dal Ministero degli Affari Esteri. 55 Stima dell’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS) per il 2013, Mini- stero Cooperazione, marzo 2013. www.cooperazioneintegrazione.it/ media/21557/metodologia_aps_e_stime_aps_2013_sintesi.pdf 56 Stime a cura dell’Osservatorio Interregionale Cooperazione allo Sviluppo – OICS, presentate alla Scuola Superiore Pubblica Ammini- strazione, Workshop 24 gennaio 2013, in “Presentazione della Coope- razione internazionale delle Regioni e degli Enti Locali”. 57 Per motivi legati alle modalità di estrazione dei dati da parte del Ministero degli Affari Esteri – DGCS, i dati forniti quest’anno sono basati su un archivio più esteso di delibere rispetto a quelli forniti in occasione della preparazione del precedente Rapporto CRC. Per que- sto motivo e non avendo a disposizione altri dati, le cifre riportate in questo rapporto non risultano immediatamente conciliabili con quelle fornite nelle scorse edizioni. 58 In mancanza di una classificazione tematica degli interventi di Cooperazione, l’elaborazione del MAE è stata realizzata tramite una ricerca per parole chiave all’interno dell’archivio delle delibere. La riflessione sulle risorse destinate all’infanzia nelle attività di Cooperazione allo sviluppo non può però limitarsi ad un esercizio di contabilità. Al di là dei valori assoluti, il dato che emerge è la mancanza di un indirizzo preciso rispetto al ruolo dell’infanzia nella cooperazione. È fondamentale porsi degli interrogativi sull’efficacia degli interventi realizzati. Su questo tema molto resta da fare e ad oggi si deve constatare che non esiste un vero sistema di valutazione complessiva dell’efficacia dell’utilizzo delle risorse destinate alla Cooperazione in generale, tanto- meno delle risorse specifiche per l’infanzia59. Rispetto all’assetto istituzionale, il processo di revisione della Legge 49/1987 sulla Cooperazione ha conosciuto nel corso del 2012 un nuovo impulso che ha portato alla definizione di una nuova proposta di legge60. Al processo di revisione della proposta sono state chiamate a partecipare le principali rappresentanze delle ONG Italiane, che hanno quindi avuto l’importante occasione di far riflettere le proprie istanze nella nuova legge. La proposta è arrivata ad uno stadio avanzato dell’iter di approvazione, che tuttavia è stato interrotto a causa della fine della legislatura. La campagna elettorale di inizio 2013 è stata caratterizzata da una sostanziale assenza dei temi della Cooperazione e della Cooperazione per l’infanzia in particolare, dal dibattito politico. La società civile non ha esitato a richiamare l’attenzione dei partiti politici con un’importante campagna di sensibilizzazione che chiedeva un posizionamento dei candidati al Parlamento rispetto alle principali questioni della Cooperazione61. Il clima di grande incertezza politica nel quale si trova oggi il Paese non costituisce un buon presupposto per il compimento di quella riforma che da troppo tempo resta incompiuta, lasciando la Cooperazione italiana in un assetto ormai superato dagli eventi storici, dagli attori principali e dalle stesse istituzioni. Paradossalmente, sono le stesse istituzioni che operano dal livello locale della Coopera 59 Ministro Cooperazione e Integrazione, ottobre 2012, Libro Bianco Cooperazione Italiana. 60 Testo Unificato predisposto dal Comitato ristretto per i disegni di legge n. 1744, 2486, disponibile su www.senato.it/japp/bgt/showdoc/ frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=16&id=00671095&part=doc_dcallegato_ a&parse=no 61 www.ilcandidatochemanca.it/ zione decentrata a quello multilaterale delle grandi organizzazioni internazionali fino alla Commissione europea, nella totale assenza di un quadro di riferimento che dia opportuna collocazione alle preziose risorse in gioco. L’accreditamento nel luglio 2012 dell’Italia alla gestione dei fondi UE in ambito della cooperazione delegata costituisce un ulteriore elemento, ultimo solo in ordine temporale, che impone di affrontare con la massima urgenza una profonda e completa revisione del sistema della Cooperazione. Questa mancanza di riferimenti nazionali si riflette direttamente nella scarsa incisività del Paese nella definizione delle politiche dell’Unione europea. Il budget della Commissione europea, rivisto nel Summit dei Governi europei l’8 Febbraio 2013, è stato tagliato rispetto alla versione proposta dalla Commissione, nei capitoli relativi allo sviluppo e all’aiuto umanitario, capitoli tra i maggiormente colpiti. Come evidenziato dal Children’s Rights Action Group62, le risorse per l’infanzia nel budget della Commissione per il periodo 2014-2020 riflettono la volontà politica di esercitare la propria leadership nei confronti delle sfide globali di questi tempi e “l’investimento sull’infanzia è economicamente sensato”. Letto in quest’ottica, il taglio di oltre il 15% nei capitoli dove sono allocate le risorse per l’infanzia globale, a fronte di una riduzione del 3% delle risorse per l’agricoltura, ad esempio, riflette chiaramente una visione politica degli Stati membri che la società civile non può che denunciare con decisione, anche alla luce delle recenti raccomandazioni che la stessa Commissione europea ha formulato agli Stati, tra cui l’Italia, rispetto all’adozione ed applicazione di “politiche volte a eradicare la povertà e l’esclusione sociale dei minori”63. Il nostro Paese sconta il suo scarso impegno sul tema della Cooperazione, quindi, anche in ambito europeo, dove le ingenti risorse trasferite al bilancio comunitario non vengo 62 www.eurochild.org/fileadmin/ThematicPriorities/ChildrensRights/ CRAG/CRAG_MFF_statement_November_2012.pdf 63 Commissione europea, Raccomandazione 2013/112/UE “Investire nell’infanzia per spezzare il circolo vizioso dello svantaggio sociale”, 20 febbraio 2013, Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea L 56 del 2 marzo 2013 (http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ: L:2013:059:FULL:IT:PDF). no impiegate su temi rilevanti come lo sviluppo. Si perde così l’opportunità di influenzare le politiche di Cooperazione allo sviluppo ed aiuto umanitario in ambito europeo, prospettiva che potrebbe caratterizzare la già evocata riforma del sistema Cooperazione64. In senso generale possiamo affermare che l’infanzia rimane assente, come tematica, dalle principali discussioni sulla Cooperazione in Italia. Nonostante l’impegno profuso nella redazione nel 2011 delle Linee Guida della Cooperazione Italia sui Minori65, esse hanno avuto un seguito limitato ed oggi non siamo in grado di valutarne il loro reale impiego nelle politiche di Cooperazione internazionale. Non sappiamo se i marker identificati siano stati applicati a processi di valutazione o almeno ciò non è stato reso pubblico. Dal punto di vista delle priorità tematiche, l’infanzia rimane al margine, tanto che pur identificando nell’Educazione uno dei settori di intervento nelle nuove Linee guida 2013-1566, e nonostante già nelle raccomandazioni 2011 del Comitato ONU fosse contenuta l’indicazione di dare priorità ai diritti dei minori negli accordi di Cooperazione, in almeno due programmazioni recenti per Etiopia e Burkina Faso67, la tematica dei minori rimane sostanzialmente assente. Le raccomandazioni formulate dal Gruppo CRC nel precedente rapporto sono rimaste disattese. Si ritiene pertanto necessario rinnovarle nella sostanza. In particolare si raccomanda: 1. Al Parlamento italiano, di finalizzare al più presto una riforma completa del si- stema della Cooperazione italiana nella quale la promozione e protezione dei di- ritti dell’infanzia e dell’adolescenza abbia un ruolo adeguato; 64 Lucia D’Onofrio, “Governance del Processo di Cooperazione Internazionale, Linee di analisi comparata tra sei paesi europei, Settore legislativo del Ministro per la cooperazione internazionale e l’integrazione”, giugno 2012. www.cooperazioneintegrazione.it/media/21425/ governancecoopintern.pdf 65 Ministero degli Affari Esteri, Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo, “Linee Guida della Cooperazione Italiana sui Minori”, 2011. www.cooperazioneallosviluppo.esteri.it/pdgcs/Documentazione/ PubblicazioniTrattati/2011-12-12_LineeGuidaMinori2012.pdf 66 www.cooperazioneallosviluppo.esteri.it/pdgcs/documentazione/ PubblicazioniTrattati/LL.GG.CD.19.12.12.pdf 67 MAE-DGCS, Uff IV, Quadro Paese Burkina Faso 2013-2015, Sintesi Programma Paese Etiopia 2013-2015. 2. Al Governo, di presentare un’allocazione chiara di risorse finanziarie destinate alle politiche legate all’infanzia e all’adole- scenza all’interno delle azioni di Coopera- zione italiane sia in fase di pianificazione che a consuntivo, tramite una piattaforma pubblicamente accessibile sul modello di OpenCoesione68; 3. Al Governo, di coinvolgere attivamente il Garante Nazionale per l’Infanzia e l’A- dolescenza nello sviluppo delle strategie politiche di cooperazione internazionale. 4. Il PIaNo NazIoNalE INfaNzIa 10. Pur prendendo atto dell’adozione del Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evo- lutiva 2010-2011, il Comitato esprime preoccupa- zione rispetto alla mancata implementazione del Piano, non essendo state assegnate risorse, oltre al fatto che il processo di assegnazione dei fondi a livello regionale può ritardare ulteriormente la sua attuazione. Il Comitato è inoltre preoccupato perché il Piano di azione non prevede un sistema specifico di monitoraggio e valutazione. 11. Il Comitato raccomanda all’Italia di assegna- re senza ulteriori ritardi i fondi necessari per la realizzazione del Piano di azione a livello nazio- nale e di incoraggiare il più possibile le regioni a stanziare le somme necessarie per le attività previste a livello regionale. Il Comitato chiede che lo Stato parte riesamini il Piano di azione nazionale, includendovi un sistema specifico di monitoraggio e valutazione. Raccomanda inoltre che lo Stato parte si faccia carico dell’integra- zione, nel Piano di azione nazionale attuale e in quelli successivi, delle misure di follow-up con- tenute nelle presenti osservazioni conclusive. CRC/C/ITA/CO/3-4, punti 10 e 11. Come noto, il Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva (di seguito Piano Nazionale Infanzia) è lo strumento di indirizzo con cui l’Italia risponde agli impegni assunti per dare attuazione ai contenuti della CRC e dei suoi Protocolli Opzionali69. 68 Per approfondimenti si veda www.opencoesione.it/ 69 Per maggiori informazioni si veda www.gruppocrc.net/PIANO-NAZIONALE- D-AZIONE-PER-L-INFANZIA Il Terzo Piano Nazionale Infanzia (2010 – 2011) è stato approvato il 21 gennaio 2011 con Decreto del Presidente della Repubblica. L’ultimo Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza70 ha avuto come mandato esclusivo quello di monitorare l’attuazione del Piano. L’Italia è quindi attualmente di nuovo senza un Piano Nazionale Infanzia. Il monitoraggio del Piano Nazionale Infanzia, raccomandato anche dal Comitato ONU, ha costituito un importante elemento di novità per la modalità (con il coinvolgimento di tutto l’Osservatorio) e la quantità di dati raccolti. Nello specifico, gli obiettivi del monitoraggio sono stati: valorizzare i risultati raggiunti e gli interventi effettuati a livello nazionale, regionale e loca le in relazione ai bisogni e ai fenomeni emer genti segnalati nel Piano Infanzia; rilevare dati quantitativi e qualitativi che per mettano di avere indicazioni utili per un’ana lisi delle condizioni dell’infanzia e dell’ado lescenza; identificare esperienze significative e aree di maggiore criticità in relazione alla diversa tipologia delle azioni individuate nel Piano; dare un supporto alle attività decisionali, a qualsiasi livello le stesse siano collocate. Per la realizzazione del monitoraggio, sono stati costituiti in seno all’Osservatorio tre sottogruppi che si sono divisi le azioni da monitorare secondo le quattro direttrici tematiche del Piano: “Consolidare la rete integrata dei servizi e il contrasto all’esclusione sociale”, “Rafforzare la tutela dei diritti”, “Favorire la partecipazione per la costruzione di un patto intergenerazionale” e “Promuovere l’interculturalità”. Scopo degli incontri dei gruppi è stato raccogliere informazioni qualitative e quantitative sugli interventi previsti, esaminare le informazioni disponibili, condividere gli esiti individuando criticità e prospettive di sviluppo e mettere a punto schede di monitoraggio per ognuna delle 39 azioni del Piano. La ri 70 L’Osservatorio nazionale per l’infanzia dell’adolescenza, costituito con il Decreto congiunto della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 31 Maggio 2011 ha concluso il suo mandato alla scadenza, nel novembre 2012. cognizione presso i diversi livelli di governo e operativi (Amministrazioni centrali, Regioni, Garanti/Tutori regionali) si è basata sull’uso di questionari71. Il periodo di riferimento è stato il biennio 2010-2011. Molte sono state le criticità emerse, ed in par ticolare: I tempi di realizzazione del monitoraggio sono stati molto ridotti, in quanto i gruppi di lavoro sono stati avviati nel luglio 2011, iniziando di fatto a incontrarsi dopo la pausa estiva e hanno dovuto terminare i lavori in un anno, stante la scadenza del mandato a novembre 2012. La complessità del compito ha fatto registrare un’oggettiva difficoltà a completare il lavoro nei tempi disponibili, soprattutto in relazione ad alcune azioni che integrano attività, riferimenti, competenze ed informazioni afferenti a più Ministeri, a più livelli di governo ed a più aree di problematicità. Difficoltà cronica e strutturale nel recuperare e comparare i dati necessari ad effettuare il monitoraggio; in particolare si è evidenziata una difficoltà nella lettura dei dati forniti da Ministeri, Regioni e Amministrazioni in generale, rispetto alla spesa effettivamente sostenuta per l’infanzia e l’adolescenza. Nonostante il questionario richiedesse di indicare le risorse economiche impiegate sia indistinte sia dedicate, la qualità delle risposte a quest’ultima domanda è stata molto difforme e non ha permesso un loro utilizzo per la ricostruzione di un quadro comparativo. I questionari compilati sono stati restituiti da tutte le Regioni e dalle due Province Autonome, ma solo alcune hanno inviato documentazione di approfondimento. Il risultato della ricognizione non è quindi sufficiente a ricostruire un quadro effettivamente esaustivo della gamma di risorse impiegate/attività concretizzatesi sul territorio. Assenza di un collegamento strutturato e quindi di un coordinamento tra l’Osservatorio e le altre figure istituzionali incaricate di monitorare lo stato di attuazione dei diritti dell’infanzia e l’adolescenza (es. Garante Nazionale e Garanti regionali); inoltre, no 71 Per maggiori approfondimenti si veda www.minori.it/minori/rapporto- di-monitoraggio-del-piano-nazionale-per-linfanzia. nostante un questionario ad hoc sia stato inviato ai Garanti o tutori regionali per l’infanzia al momento in carica in alcune Regioni, le informazioni ricavate sono state parziali poiché alcune figure avevano preso servizio in tempi recenti. Nonostante numerose richieste da parte di molti soggetti presenti all’interno dell’Osservatorio72, non è stato ascoltato il parere dei potenziali beneficiari finali del Piano stesso, cioè i bambini e gli adolescenti, depauperando in maniera significativa la completezza dei dati raccolti. Dal monitoraggio sono emersi comunque elementi importanti rispetto all’attuazione del III Piano Nazionale Infanzia e alla situazione in Italia relativamente alle Politiche per l’Infanzia e l’Adolescenza, tra cui si riportano in questa sede le principali73: l’insufficienza delle risorse disponibili, in quanto è trasversale a tutte le azioni una progressiva riduzione delle risorse statali e regionali disponibili per il sistema del welfare, mettendo così in discussione l’intera sostenibilità delle risposte costruite nel corso degli anni; per il prossimo Piano, sarebbe pertanto importante accompagnare l’individuazione e la stesura delle Azioni con l’avvio di un’analisi sistematica e ragionata delle risorse attivabili74. L’assenza di dati uniformi: “Rispetto ad alcune Azioni, vi è una notevole disponibilità di dati, completi ed aggiornati (ad esempio, monitoraggio nazionale Piano Straordinario Nidi, statistiche pubblicate dalla Commissione per le adozioni internazionali), mentre in altre aree il primo problema è stato l’irreperibilità di dati ufficiali ed aggiornati e la non confrontabilità di quelli disponibili”75 (es. bambini fuori famiglia). L’esigenza di coordinamento delle Amministrazioni e degli organismi competenti: 72 In particolare, le Associazioni direttamente coinvolte nella tutela di diritti dei bambini e adolescenti, che hanno in tutti i sottogruppi promosso la necessità di attuare il principio della partecipazione. 73 La seguente parte è tratta da “Rapporto di sintesi sugli esiti del monitoraggio del III Piano biennale nazionale di azioni e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva adottato con il DPR del 21 gennaio 2011”, disponibile su www.lavoro. gov.it/NR/rdonlyres/52486DC1-6482-44A2-B264-FBEB72BD9DD9/0/Pianoinfanzia2011_ Rapportodisintesi.pdf 74 Ibidem pag. 38. 75 Ibidem pag. 38. “Con riferimento specifico ad alcune azioni è emersa la necessità di stabilire forme di raccordo tra i diversi comitati e osservatori attivati su tematiche che riguardano le condizioni di vita di bambini e adolescenti, anzitutto presso i Ministeri competenti sulla base di normative settoriali. La spending review ha prodotto una revisione degli organismi collegiali esistenti: è necessario che la riorganizzazione degli stessi conduca ad accorpamenti e razionalizzazioni nella suddivisione delle competenze, che siano in grado di migliorare i livelli di cooperazione nella programmazione e attuazione di politiche per l’infanzia e l’adolescenza”76. La pluralità di piani, protocolli e linee guida non integrati: “L’approfondimento svolto ha reso evidente l’esistenza di una pluralità di Piani e programmi di azione, attivati attraverso l’accesso a risorse specifiche (es. Piano Coesione del Ministero dell’Istruzione). È necessario che l’Osservatorio disponga di un panorama completo di questi interventi, per favorire una lettura della coerenza rispetto al Piano Infanzia e una efficace circolazione delle informazioni tra tutti gli attori interessati”77. Sono stati rilevati anche una pluralità di protocolli, intese e linee guida: si tratta di strumenti di indirizzo importanti di cui sarebbe opportuno un monitoraggio per verificarne la coerenza rispetto alle norme nazionali ed internazionali e la loro effettiva applicazione. L’esigenza di formazione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza: “Esigenza fondamentale espressa nell’analisi complessiva del piano è introdurre come tematica obbligatoria di studio nella formazione superiore quella dei diritti dei bambini e degli adolescenti onde garantire che tutte le professioni destinate ad avere contatto con l’infanzia condividano una cultura comune basata su una rappresentazione nuova della centralità e del soggetto bambino, e siano dotate di una conoscenza di base sui contenuti della CRC e sulle principali norme che disciplinano compiti di promozione, tutela e protezione”78. La definizione dei livelli essenziali delle prestazioni e diritti dei bambini: “La mancata approvazione 76 Ibidem pag. 39. 77 Ibidem pag. 39. 78 Ibidem pag. 40. dei livelli essenziali di assistenza sociale previsto dalla legge 328/2000, al fine di garantire per i servizi un quadro di standard comuni costituisce un’area di vulnerabilità del sistema, che si coglie aggravata dal progressivo intervento in autonomia da parte delle Regioni. Con la riforma del titolo V della Parte seconda della Costituzione è stata introdotta tra le funzioni dello Stato (art. 117, lettera m) la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; la legge 42/2009 attribuisce a tali strumenti la funzione di equilibrare il sistema federale regionale rispetto alle prestazioni erogate. Nell’attuale fase di trasformazione dello Stato sono in corso di adozione provvedimenti che stanno definendo in maggior dettaglio il disegno complessivo. Il monitoraggio segnala pertanto la necessità di presidiare i diritti dei bambini contro il rischio di trasformazioni che possono rendere il sistema delle prestazioni orientato solo alla riparazione e all’intervento per i più bisognosi, abbandonando finalità preventive e promozionali e in violazione dei contenuti della CRC”79. L’assenza di sedi di confronto stabili tra i differenti livelli di governo: “Come segnalato dal Comitato CRC, un’area di attenzione ulteriore per il Paese riguarda lo sviluppo di meccanismi efficaci per garantire un’applicazione coerente della CRC e delle norme nazionali in tutte le regioni, rafforzando il coordinamento tra il livello nazionale e regionale. L’esigenza di ripristinare o creare ex novo sedi stabili di confronto tra i differenti livelli di governo è stata sottolineata più volte nel corso del monitoraggio allo scopo di favorire forme di collaborazione, il confronto e la gestione del conflitto, la formulazione di orientamenti comuni e lo scambio di esperienze sia in senso verticale che orizzontale tra pari”80. La mancata attuazione dei contenuti degli strumenti giuridici internazionali: “La ricchezza delle norme contenute in molte delle convenzioni sottoscritte e/o ratificate dall’Italia (e in altre che il nostro Paese non ha ancora ratificato, ad esempio il Protocollo facoltativo della Convenzione contro la tortura e altre pene o trat 79 Ibidem pag. 41. 80 Ibidem pag. 42. tamenti crudeli, disumani o degradanti, concluso a New York il 18 dicembre 2002) non trova piena attuazione sia nelle procedure giudiziarie sia nelle pratiche amministrative (si pensi, ad esempio, al tema dell’ascolto del bambino). Indirizzi nazionali potrebbero favorirne il rispetto e l’attuazione da parte degli operatori”81. La situazione attuale è molto critica: l’ultimo Piano Infanzia 2010-2011 non è stato finanziato e ci sono quindi gravi difficoltà nella sua attuazione; ad oggi non vi è né un Piano né un Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza. I risultati di quest’ultimo monitoraggio costituiscono una base indispensabile per la stesura del nuovo Piano e per questo si rende necessario procedere in tempi rapidi alla nomina del nuovo Osservatorio, in modo da accelerare i tempi per la stesura del IV Piano d’Azione e ridurre il ritardo già presente. Pertanto il Gruppo CRC raccomanda: 1. Al Ministero del Lavoro e delle Politi- che Sociali di nominare quanto prima il nuovo Osservatorio nazionale, dotando- lo delle risorse necessarie perché possa elaborare il IV Piano d’Azione senza ul- teriori ritardi; 2. Al Governo di assicurare che per ogni azione del nuovo Piano ci sia la neces- saria copertura economica. 5. IstItutI DI GaraNzIa a tutEla DEll’INfaNzIa E DEll’aDolEsCENza 1. Il Comitato esprime apprezzamento per l’isti- tuzione del Garante nazionale per l’infanzia e l’adolescenza con la Legge del luglio 2011. Pur valutando positivamente la creazione di Garanti regionali in diverse Regioni, il Comitato è preoc- cupato che tali organismi differiscano considere- volmente in termini di mandato, composizione, struttura, risorse e modalità di nomina e che non tutti i Garanti regionali siano competenti nel ricevere ed esaminare ricorsi individuali. Il Comitato si rammarica inoltre, del fatto che l’isti- tuzione di un organismo nazionale indipendente sui diritti umani abbia richiesto tanto temo. 2. Il Comitato raccomanda allo Stato parte di 81 Ibidem pag. 42. garantire che il nuovo ufficio del Garante nazio- nale per l’infanzia e l’adolescenza venga istitu- ito quanto prima e che sia dotato di adeguate risorse umane, tecniche e finanziarie in modo tale da assicurare la propria indipendenza ed ef- ficacia, in conformità ai contenuti del Commento Generale del Comitato n.2 (2002) sul ruolo del- le istituzioni nazionali indipendenti per i diritti umani nella promozione e protezione dei diritti dell’infanzia. Raccomanda altresì allo Stato parte di garantire un’uniforme ed efficiente protezione e promozione dei diritti dell’infanzia in tutte le Regioni, che includa l’assistenza ed il coordina- mento degli attuali Garanti regionali da parte del Garante nazionale. Il Comitato richiama lo Stato parte affinché si acceleri il processo volto ad istituire e a rendere operativo un’Istituzione na- zionale indipendente per i diritti umani, in piena conformità ai Principi di Parigi, allo scopo di ga- rantire un monitoraggio completo e sistematico dei diritti umani, inclusi i diritti dell’infanzia. CRC/C/ITA/CO/3-4, punti 1 e 2. garantire che il nuovo ufficio del Garante nazio- nale per l’infanzia e l’adolescenza venga istitu- ito quanto prima e che sia dotato di adeguate risorse umane, tecniche e finanziarie in modo tale da assicurare la propria indipendenza ed ef- ficacia, in conformità ai contenuti del Commento Generale del Comitato n.2 (2002) sul ruolo del- le istituzioni nazionali indipendenti per i diritti umani nella promozione e protezione dei diritti dell’infanzia. Raccomanda altresì allo Stato parte di garantire un’uniforme ed efficiente protezione e promozione dei diritti dell’infanzia in tutte le Regioni, che includa l’assistenza ed il coordina- mento degli attuali Garanti regionali da parte del Garante nazionale. Il Comitato richiama lo Stato parte affinché si acceleri il processo volto ad istituire e a rendere operativo un’Istituzione na- zionale indipendente per i diritti umani, in piena conformità ai Principi di Parigi, allo scopo di ga- rantire un monitoraggio completo e sistematico dei diritti umani, inclusi i diritti dell’infanzia. CRC/C/ITA/CO/3-4, punti 1 e 2. Nel 2011 è stata approvata la Legge per l’istituzione del Garante nazionale82 e a novembre dello stesso anno è stato nominato il primo Garante Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza83. Il 2012 è stato quindi il primo anno in cui in Italia è stata presente tale figura, anche se si segnala che il regolamento84, che rende operativa tale Autorità, è stato approvato solo a settembre 201285. La Legge di Stabilità 2013/2015 ha però confermato per il 2013 il Fondo di 1 milione per il funzionamento dell’Ufficio del Garante Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza. Nel regolamento vengono stabilite le norme che regolano le attività dell’Autorità Garante. In particolare, la sede, la composizione e l’or 82 Legge 112/2011, “Istituzione dell’autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza”. 83 Con nomina congiunta dei Presidenti delle Camere comunicata il 30 novembre 2011, Vincenzo Spadafora, già Presidente di UNICEF Italia, è il primo Garante Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza. 84 Si tratta di un’anomalia, in quanto diversamente da quanto previsto per le altre Autorità di Garanzia presenti nell’ordinamento italiano, in questo caso la Legge istituiva non ha conferito autonomia regolamentare ovvero il potere di definire in modo pienamente autonomo le norme essenziali relative all’organizzazione e al funzionamento dell’Ufficio. Si veda ANSA 18 aprile 2012. In occasione della relazione del Garante il 18 aprile 2012, anche l’allora Presidente della Camera – On. Gianfranco Fini – aveva auspicato che i gruppi parlamentari potessero rapidamente presentare una proposta di modifica in tal senso. 85 Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 228 del 29 settembre 2012, si veda la notizia segnalata su www.gruppocrc.net/Garanti-per-l-infanzia ganizzazione dell’Ufficio (artt. 4 e 5), nonché l’organizzazione della Conferenza nazionale per la garanzia dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (art. 8). Tale Conferenza, presieduta dal Garante e composta dai Garanti regionali (al momento ne fanno parte Lazio, Veneto, Emilia Romagna, Calabria, Liguria, Puglia, Campania, Toscana, Marche e i garanti delle due Province Autonome di Bolzano e Trento) si riunisce “almeno due volte l’anno su convocazione del Garante e, in via straordinaria, ogni qualvolta ne faccia richiesta almeno la metà dei componenti a pieno titolo.” Al 30 gennaio 2013, i Garanti si sono riuniti 4 volte, le ultime due come Conferenza di Garanzia. In questo periodo, secondo quanto comunicato dall’Ufficio dell’Autorità Garante al Gruppo CRC, “il lavoro è stato principalmente di scambio di informazioni e di individuazione di modalità condivise di interazione. Si è lavorato anche alla predisposizione di un regolamento interno di lavoro che prevede, tra le altre cose, la nomina di un Garante Coordinatore che affianca il Presidente nell’espletamento delle sue attività e redige la Relazione annuale della Conferenza. Le priorità di lavoro individuate per il 2013 focalizzano l’attenzione sui servizi per l’infanzia e l’adolescenza, sul diritto di cittadinanza, sul monitoraggio delle risorse dedicate all’infanzia e all’adolescenza, nonché sulle problematiche relative alla limitatezza dei dati sui minorenni”. È in fase di elaborazione una procedura di segnalazione comune a tutti i Garanti. All’articolo 8 del Regolamento viene istituita anche la Consulta nazionale delle associazioni e delle organizzazioni, che si dovrà riunire almeno “due volte l’anno presso la sede del Garante”. Al momento della stesura del presente Rapporto tale Consulta non è stata ancora nominata e quindi convocata. Si segnala comunque che ampia attenzione è stata accordata dal Garante allo sviluppo di collaborazioni e sinergie con il mondo dell’associazionismo e delle organizzazioni, sia attraverso iniziative congiunte con singole associazioni, che ad azioni con i Coordinamenti. Ad esempio, il Garante ha supportato il Gruppo CRC nella presentazione pubblica dello scorso Rapporto CRC, favorendo l’apertura del confronto con le istituzioni governative. In tale occasione le associazioni del Gruppo CRC hanno sottoposto all’attenzione dell’Autorità alcune raccomandazioni del 5° Rapporto CRC rivolte alla sua attenzione, in particolare relative alla promozione dell’ascolto e della partecipazione dei bambini e degli adolescenti, e la redazione di un rapporto articolato entro il 2012 concernente lo stato complessivo delle risorse per l’infanzia e l’adolescenza nel nostro Paese. Dalle informazioni ricevute dall’Ufficio si evince che “è stata avviata la prevista mappatura delle Istituzioni che, a vario titolo, sono competenti in materia di infanzia e adolescenza, estesa anche al monitoraggio delle risorse destinate all’infanzia e all’adolescenza” e che si sono realizzati “primi incontri per la definizione di un progetto comune con il Coordinamento PIDIDA sulla partecipazione dei bambini e dei ragazzi”. Nell’aprile 2012 è stata presentata la prima relazione al Parlamento86, in cui sono state anticipate le proposte e i temi identificati come prioritari rispetto al lavoro del Garante. Nello specifico le priorità di intervento evidenziate nella relazione riguardavano i seguenti temi: Riforma della giustizia minorile, Minori di origine straniera che vivono in Italia, Sfruttamento e abuso sessuale dei minorenni, Rapporto tra detenute madri e loro figli, Ruolo dei media, Protezione dei dati sensibili. Si segnala in tal senso che “a dicembre 2012 l’Autorità ha firmato con il Capo della Polizia ed alla presenza del Ministro dell’Interno, un protocollo finalizzato a rafforzare l’attività di prevenzione e repressione dei fenomeni di abuso di cui sono vittime i cittadini di minore età”. Il gruppo tecnico costituitosi in seguito alla firma ha avviato il lavoro in due aree prioritarie, l’accoglienza dei minorenni non accompagnati e il rapporto tra minorenni e web. Nel corso del 2012 sono state messe in campo azioni, in alcuni casi anche unitamente ad associazioni, per bloccare la previsione di smembramento del Dipartimento per la giustizia minorile, 86 Disponibile su www.gruppocrc.net/IMG/pdf/AGIA_I_Relazione_Annuale_ 2012.pdf e sul sito dell’Autorità Garante www.garanteinfanzia. org/sites/default/files/ricerca/allegati/GI-PrimaRelazioneParlamentoBassa. pdf o la chiusura dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza prevista inizialmente dalla spending review, o per rilevare criticità in ddl quali quello sul riconoscimento figli naturali o quello sulla continuità degli affetti nel passaggio affidamento/adozione o di ratifica della Convenzione di Lanzarote. Al momento della stesura del presente non è ancora stata pubblicata la seconda relazione al Parlamento, a cui si rinvia per informazioni più esaustive. Per quanto concerne i Garanti regionali per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, si segnala che, in seguito all’approvazione della Legge istitutiva in Sicilia87, solo la Valle D’Aosta non ha legiferato in materia, anche se come evidenziato nei precedenti Rapporti CRC le leggi istitutive differiscono in mandato, competenze e risorse a disposizione, provocando un’ulteriore differenziazione nell’accesso ai diritti. Rispetto alla nomina, al momento della stesura del presente Rapporto sono attivi otto Garanti regionali, a cui si aggiungono i due delle Province Autonome di Trento e Bolzano, anche se si segnala che due non hanno un 89 90 91 92 mandato esclusivo88. 87 Si veda www.gruppocrc.net/Garanti-per-l-infanzia-e-l 88 Nelle Marche l’Autorità di garanzia si occupa sia degli adulti che dei minorenni; a Trento il difensore civico ha anche il ruolo di garante per i diritti dei bambini e degli adolescenti. 89 Si veda www.garanteinfanzia.org/garanti-regionali e www.gruppocrc. net/Garante-per-l-infanzia. 90 La Struttura stabile per l’esercizio delle funzioni del Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, subentra all’Ufficio del Tutore pubblico previsto dalla Legge Regionale 49/1993. La Legge Regionale 9/2008 di assestamento di Bilancio, nell’ambito di un riordino delle azioni e degli interventi regionali in materia di minori e famiglia, aveva previsto che il ruolo svolto dal Tutore dei Minori, fosse esercitato dal Presidente del Consiglio regionale. 91 Nelle Marche l’ufficio del Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza è stato istituito con Legge Regionale 18/2002. La Legge Regionale 23/2008, ha però abrogato tale legge e istituito la figura dell’Ombudsman regionale per i diritti degli adulti e dei bambini. 92 In assenza della nomina del Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, alcune sue funzioni – segnatamente quelle relative alla ricezione di istanze da parte dei cittadini – sono coperte dal Difensore Civico. Tali funzioni sono però solo parziali e passive (attivazione in caso di richiesta di intervento del Difensore Civico). Lo stesso Difensore Civico Regionale ha ribadito in più occasioni pubbliche che la sua funzione non è né può essere equiparata a quella del Garante per l’Infanzia. La situazione dei Garanti regionali per l’infanzia e l’adolescenza89 Veneto, Legge Regionale, 9 agosto 1988, n.42 Primo Pubblico Tutore è nominato nel 2001. Nel 2010 è seguita una nuova nomina Friuli-Venezia Giulia; Legge Regionale 24 Maggio 2010, n.790 Ufficio con funzione di Garante. Istituito dal 1 Gennaio 2011 fa capo alla Direzione centrale istruzione, università, ricerca, famiglia, associazionismo e cooperazione. Marche, Legge Regionale 15 ottobre 2002, n.18 Autorità per la garanzia dei diritti degli adulti e dei bambini91 Lazio, Legge Regionale 28 Ottobre 2002, n. 38 Primo Garante nominato a giugno del 2007 ed è tutt’ora in carica. Calabria, Legge Regionale 12 novembre 2004, n.28 Primo Garante nominato nel dicembre 2010 ed è tutt’ora in carica. Emilia Romagna, Legge Regionale 17 febbraio 2005, n.9 Primo Garante nominato nel novembre 2011 ed è tutt’ora in carica. Campania, Legge Regionale25 luglio 2006, n.17 Primo Garante nominato nel luglio 2008. Nel 2013 è seguita nuova nomina. Molise, Legge Regionale 2 ottobre 2006, n.32 Primo Pubblico Tutore nominato nell’ottobre 2007, si è dimesso nel 2011 e non è seguita una successiva nomina. Liguria, Legge 24 maggio 2006, n.12, Legge 16 marzo 2007, n.9 e Legge regionale 6 ottobre 2009, n.38 Non nominato. Il difensore civico svolge funzioni parziale anche come Garante infanzia92 Provincia Autonoma di Trento, Legge provinciale 11 febbraio 2009, n. 1 Garante e difensore civico. Nominato a Giugno 2009 Lombardia; Legge Regionale 24 marzo 2009, n. 22 Non nominato Basilicata, Legge Regionale 29 giugno 2009, n. 18 Non nominato Umbria, Legge regionale 29 luglio 2009, n. 18 Non nominato Piemonte, Legge Regionale 9 dicembre 2009, n. 31 Non nominato Toscana, Legge Regionale 9 febbraio 2010, n. 13 Primo Garante nominato nel dicembre 2011 ed è tutt’ora in carica. Provincia Autonoma di Bolzano, Legge Provinciale 26 giugno 2009, n.3 Garante nominato a maggio 2010. A marzo 2012 è seguita una nuova nomina. Puglia, Art. 30, Legge Regionale del 10 luglio2006, n. 19 Primo Garante nominato nel novembre 2011 ed è tuttora in carica. Sardegna, Legge Regionale, 7 febbraio 2011, n. 8 Non nominato L’ Abruzzo, con Legge Regionale 2 giugno 1988, n. 46 ha affidato in convenzione la funzione ed il ruolo di “Difensore dell’infanzia “ al Comitato Italiano per l’UNICEF Non nominato Sicilia, Legge Regionale 10 agosto 2012 n.47. Non nominato In merito all’Istituzione nazionale indipendente sui diritti umani93 , la XVI legislatura si è chiusa senza che fosse approvata la relativa legge, ed i progetti di legge presentati dovranno quindi essere ripresentati nel corso della nuova legislatura. Pertanto il Gruppo CRC raccomanda: 1. Al Garante Nazionale e ai Garanti Re- gionali di svolgere puntualmente tutte le funzioni assegnate dalla Legge, e di promuovere un efficace coordinamento tra tali figure in grado di supportare e sostenere i Garanti Regionali; 2. Al Garante Nazionale di provvedere quanto prima alla redazione di un rap- porto articolato concernente lo stato complessivo delle risorse per l’infanzia e l’adolescenza nel nostro Paese; 3. Alle Regioni che non vi hanno ancora provveduto viene rinnovato l’invito, già espresso nei precedenti Rapporti CRC, di provvedere senza indugio alla loro nomina, prevedendo e assicurando un adeguato coordinamento con la figura del Garante nazionale, e ponendo tale figura in condizioni di essere effettiva- mente operativa. 93 Conforme ai Principi di Parigi e alla Risoluzione 48/134 adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 dicembre 1993. 6. Coordinamento a livello istituzionale e tra istituzioni e onG 8. Il Comitato è preoccupato che il trasferimento dei poteri dagli enti di governo centrali a quelli re- gionali, fino agli organi più decentrati, possa por- tare a un’applicazione non uniforme della Conven- zione a livello locale. In questo contesto, infatti, teme che si trovino a coesistere diversi meccanismi di coordinamento, tra cui l’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, che potrebbe non di- sporre del mandato appropriato per coordinare in modo efficace gli indirizzi e i programmi dei molti organismi che operano per l’applicazione dei diritti dei minori. Il Comitato è preoccupato inoltre per la mancanza presso la Conferenza stato-regioni di un gruppo di lavoro per il coordinamento della piani- ficazione e dell’applicazione delle politiche riguar- danti i diritti dei minori. 9. Nel ribadire che il governo centrale è respon- sabile dell’applicazione della Convenzione, dell’e- sercizio di una funzione guida e del supporto ne- cessario ai governi regionali in questa materia, il Comitato raccomanda che l’Italia: (a) Riveda e chiarisca il ruolo dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, al fine di coordinare l’applicazione degli indirizzi e dei programmi riguardanti i diritti dei minori tra tutti i ministeri e le istituzioni interessate e a ogni livello. Nel far ciò, lo Stato parte è invitato a rafforzare e ad assicurarsi tutte le ri- sorse umane, tecniche e finanziarie necessarie per implementare politiche riguardanti i diritti dei minori che siano complete, coerenti e uni- formi a livello nazionale, regionale e locale. CRC/C/ITA/CO/3-4, punti 8-9. L’Osservatorio nazionale per l’infanzia dell’adolescenza94 ha concluso il suo mandato alla scadenza prevista, nel novembre 2012. Il suo compito era esclusivamente quello di monitorare l’attuazione dell’ultimo Piano Nazionale Infanzia (PNI), operando in coordinamento con il Comitato tecnico scientifico del Centro Nazionale Documentazione e analisi per l’Infanzia e l’Adolescenza (CNDA) e con il contributo operativo del Centro stesso95. 94 L’Osservatorio è stato costituito con il Decreto congiunto della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 31 maggio 2011. 95 Il lavoro di monitoraggio è stato concluso e pubblicato a fine febbraio 2013, ed è disponibile su www.minori.it/minori/rapporto-dimonitoraggio- del-piano-nazionale-per-linfanzia. Si veda retro il capitolo “Il Piano Nazionale Infanzia”. Questo mandato, sia in termini di contenuto sia di tempistica, ha rappresentato il primo nodo critico, non avendo consentito di andare oltre il monitoraggio e quindi di poter lavorare per la stesura di un nuovo PNI, con la conseguenza che il 2012 si è chiuso senza un nuovo PNI e il forte rischio di reiterarne la mancanza anche per il 2013. Una permanente criticità è l’assenza di un coordinamento strutturato tra l’Osservatorio e le altre figure istituzionali incaricate di monitorare lo stato di attuazione dei diritti dell’infanzia e l’adolescenza (ad esempio il Garante Nazionale e i Garanti Regionali). Inoltre, pur essendone membri, non tutti i Ministeri hanno preso regolarmente parte alle riunioni dell’Osservatorio, depauperandone così il lavoro. Un’altra grave difficoltà da segnalare è che, pur essendo il monitoraggio l’obiettivo dell’Osservatorio, vi è una cronica difficoltà nel recuperare i dati necessari ad effettuarlo. Infine altro nodo rilevante e critico ha riguardato la mancata partecipazione dei ragazzi ai tavoli di lavoro dell’Osservatorio, che non è avvenuta neanche nella modalità dell’audizione. Per il futuro l’Osservatorio, in base alla recente legge sulla spending review96 , subisce una sostanziale riduzione delle sue possibilità di funzionamento, in quanto, come gli altri Osservatori, dovrà funzionare senza “oneri per la finanza pubblica”. Di conseguenza, i membri dovranno partecipare a loro spese alla sedute che si tengono a Roma, con difficoltà per le organizzazioni di volontariato che dovranno ricorrere a risorse proprie per le spese di viaggio; non potrà essere attivata nessuna consultazione esterna, si pensi in particolare a quella 96 La spending review dovrà portare risparmi pari a 3,8 miliardi per il 2012; 10,5 per il 2013; 11,2 per il 2014. Con l’approvazione definitiva del Parlamento, il decreto legge n. 95/2012 “Disposizioni urgenti per la riduzione della spesa pubblica a servizi invariati” è diventato legge. All’art. 20 si stabilisce che: “A decorrere dalla data di scadenza degli organismi collegiali operanti presso le pubbliche amministrazioni, in regime di proroga ai sensi dell’articolo 68, comma 2, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, le attivita’ svolte dagli organismi stessi sono definitivamente trasferite ai competenti uffici delle amministrazioni nell’ambito delle quali operano. Restano fermi, senza oneri per la finanza pubblica, gli osservatori nazionali di cui all’articolo 11 della legge 7 dicembre 2000, n. 383, e all’articolo 12 della legge 11 agosto 1991, n. 266, l’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza di cui all’articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 2007, n. 103, […]. A decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ai componenti dei suddetti organismi collegiali non spetta alcun emolumento o indennità.)”. dei ragazzi che necessita non solo di prevedere il rimborso delle spese di viaggio, ma anche la presenza di facilitatori, ossia adulti di comprovata esperienza rispetto alle modalità di ascolto dei ragazzi (funzione richiesta sia per il monitoraggio che per l’elaborazione delle politiche per l’infanzia e l’adolescenza dalle Raccomandazioni del Comitato ONU all’Italia). La conseguenza di questa mancanza di riconoscimento da parte del Governo nel garantire il funzionamento di uno strumento fondamentale per la qualità della vita dell’infanzia e l’adolescenza ha già avuto come effetto quello di impoverire la funzione per cui nasceva: la realizzazione del Piano Nazionale Infanzia e il suo monitoraggio. Inoltre, data la sperequazione di politiche sociali e risorse destinate all’Infanzia tra le Regioni italiane a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione97, in assenza di emanazione dei decreti attuativi e di definizione dei Livelli Essenziali di Prestazioni concernenti i Diritti Civili e Sociali delle persone98, la necessità di un Osservatorio nazionale è ancora più cogente, al fine di monitorare l’attuazione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza per tutti bambini in Italia, a prescindere dalla Regione di residenza. Per quanto riguarda poi gli altri organismi di coordinamento, l’Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile è stato convocato solo una volta nel 2011 (il 5 maggio, in occasione della Giornata nazionale contro la pedofilia)99, e nel 2012 solo il 20 novembre, in occasione della Giornata nazionale infanzia. Anche se si prende atto delle necessità di rinominare i componenti a seguito dell’avvenuto avvicendamento governativo, si auspica che con l’avvio della nuova legislatura vi sia la volontà politica per garantire un’effettiva operatività e continuità dei lavori dell’Osservatorio100. 97 La Legge costituzionale 3/2001 ha riformato il Titolo V contenuto nella Parte seconda della Costituzione italiana. La riforma ha apportato delle profonde trasformazioni sul grado di autonomia di Regioni, Province e Comuni. 98 Si veda il lavoro della rete di Batti il Cinque sui Livelli Essenziali per l’Infanzia e l’Adolescenza connessi alla CRC (www.cnca.it/agirelasolidarieta/ campagne-e-cartelli). 99 Si veda 5° Rapporto CRC www.gruppocrc.net/coordinamento 100 Per maggiori informazioni si veda oltre Capitolo VII, paragrafo “La Pedopornografia” e la relazione tecnico-scientifica annuale a consuntivo delle attività svolte disponibile su www.pariopportunita.gov.it/ images/relazione_osservatorio_pedofilia_21dic2012.pdf A livello regionale, si evidenzia che l’effettiva istituzione di un Osservatorio regionale per l’infanzia e l’adolescenza interessa ancora soltanto sei Regioni su venti (Emilia Romagna, Lombardia, Molise, Piemonte, Toscana e Veneto). Si segnala, infine, il permanere della mancanza all’interno della Conferenza Stato-Regioni, come notato con preoccupazione dal Comitato ONU, di un gruppo di lavoro/comitato con funzioni di raccordo rispetto alla programmazione e all’attuazione delle politiche per l’infanzia e l’adolescenza. Pertanto il Gruppo CRC raccomanda: 1. Al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di assicurare la continuità del lavo- ro dell’Osservatorio nazionale, prevedendo una celere nomina dei componenti e defi- nendo nel nuovo mandato tempi e conte- nuti congrui per stendere il nuovo PNI; il necessario raccordo formalizzato tra l’Os- servatorio nazionale per l’infanzia e l’ado- lescenza, il Garante Nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, i Garanti e gli Osservatori Regionali, gli altri Organismi istituzionali di coordinamento sull’infanzia e l’adolescen- za; strumenti adeguati per formalizzare e garantire la partecipazione dei bambini e ragazzi e delle associazioni nei lavori dell’Osservatorio; 2. Alla Conferenza Stato-Regioni di dotarsi di un gruppo con funzioni di raccordo per le politiche per l’infanzia e l’adolescenza o almeno di dedicare, annualmente, delle sedute ai diritti dei bambini e degli adole- scenti. 3. Al Governo di assicurarsi che la riorganiz- zazione degli Organismi conseguente alla spending review conduca ad accorpamenti e razionalizzazioni nella suddivisione delle competenze, che migliorino i livelli di co- operazione nella programmazione e attua- zione di politiche per l’infanzia e l’adole- scenza. 7. la raCColta DatI 16. Il Comitato prende atto della creazione di un sistema informativo nazionale sull’assistenza e la tutela dei minori e delle loro famiglie che sarà completato nel 2012. Nonostante ciò, conferma i propri timori per la scarsità dei dati disponibili sul rispetto dei diritti dei minori, in particola- re le statistiche sui bambini vittime di violenza, privati dell’ambiente familiare (compresi i minori in affidamento), vittime di sfruttamento econo- mico, affetti da disabilità, adottati, rifugiati e richiedenti asilo. Esprime inoltre preoccupazione per le notevoli differenze esistenti nella capacità e nell’efficacia dei meccanismi di raccolta dei dati a livello regionale. 17. Il Comitato sollecita l’Italia a garantire che il sistema informativo nazionale sull’assistenza e la tutela dei minori e delle loro famiglie raggiun- ga la piena operatività e disponga delle neces- sarie risorse umane, tecniche e finanziarie per essere efficace nella raccolta delle informazioni pertinenti in tutto il paese, rafforzando così la capacità dello Stato parte di promuovere e tute- lare i diritti dei minori. In particolare, raccoman- da all’Italia l’adozione di un approccio piena- mente coerente in tutte le regioni, per misurare e affrontare efficacemente le disparità regionali. CRC/C/ITA/CO/3-4, punti 16 e 17 La carenza del sistema italiano di raccolta dati inerenti l’infanzia e l’adolescenza, sottolineata in tutti i Rapporti CRC101, è stata ampiamente evidenziata anche dal Comitato ONU nelle proprie raccomandazioni al Governo italiano. Tale lacuna del nostro sistema non permette di stimare l’incidenza dei fenomeni e costituisce un impedimento per la programmazione e realizzazione di politiche ed interventi idonei e qualificati. A livello generale si ribadisce la mancanza di dati, e conseguentemente di monitoraggio, sulla spesa pubblica per l’infanzia e l’adolescenza, sia a livello centrale che locale. Si esprime preoccupazione per il fatto che nessuna istituzione abbia in corso una valutazione dell’impatto della crisi economica e delle conseguenti misure adottate rispetto ai minori. Tale criticità emerge 101 Si veda www.gruppocrc.net/Raccolta-dati chiaramente anche dal Rapporto di Monitoraggio del III Piano Nazionale Infanzia laddove si evidenzia la “difficoltà cronica e strutturale nel recuperare e comparare i dati necessari ad effettuare il monitoraggio; in particolare si è evidenziata una difficoltà nella lettura dei dati forniti da Ministeri, Regioni e Amministrazioni in generale, rispetto alla spesa effettivamente sostenuta per l’infanzia e l’adolescenza”102. L’esigenza di dati aggiornati, completi ed un sistema di raccolta uniformato tra le varie Regioni, è presente trasversalmente in diversi passaggi del presente Rapporto. In particolare per quanto concerne i minori fuori dalla famiglia, si evidenzia che non sono inter- venute modifiche rispetto a quanto già segnalato nel 2012103. Si conferma quindi che le modalità di raccolta dati permangono frammentate e disomogenee a livello nazionale e portano ad una scarsa comparabilità delle informazioni ed alla difficile costruzione di una banca dati nazionale ritenuta necessaria per realizzare un serio monitoraggio delle persone di minore età fuori dalla famiglia, così come raccomandato dal Comitato ONU e dalla Commissione parlamentare per l’Infanzia e l’Adolescenza nel documento conclusivo dell’indagine conoscitiva104. Infatti i dati disponibili, risalgono ancora al 2010, e continuano ad essere basati su mere stime. Si evidenzia inoltre che nel caso degli affidamenti i dati resi disponibili dal Centro Nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza non sono compatibili con quelli forniti dal Dipartimento della Giustizia minorile105. Il Rapporto di monitoraggio del III Piano Nazionale Infanzia evidenzia l’esistenza di una realtà molto diversificata tra le Regioni e tra i vari fenomeni oggetto di interesse in riferimento ai sistemi di raccolta dati in ambito pubblico e privato in materia di affidamento familiare, servizi residenziali, adozione nazionale ed internazionale. In tale contesto si segnalano situazioni critiche in Abruzzo e in 102Rapporto Monitoraggio III Piano Nazionale Infanzia, op. cit. 103Si veda Capitolo IV del presente Rapporto. 104Indagine conoscitiva sull’attuazione della normativa in materia di adozione e affido della Commissione Parlamentare Infanzia, si veda Capitolo IV del presente Rapporto. 105Si veda oltre Capitolo IV, paragrafo “Affidamenti familiari”. Calabria, dove non risultano attive esperienze di monitoraggio, ed esperienze poco soddisfacenti in Sardegna e in Sicilia, dove non sono a disposizione veri e propri sistemi di raccolta dati106. A tale difficoltà intende rispondere il progetto S.in.Ba per la creazione di un sistema informativo che raccolga dati sugli utenti e sulle prestazioni di cura e protezione a favore dei bambini e della loro famiglia107. Continuano a non essere disponibili i dati sui minori che vivono in kafala in Italia per avervi fatto ingresso attraverso il ricongiungimento con persone ivi residenti108. Per quanto concerne i dati sull’adozione nazionale si auspica che un monitoraggio più dettagliato possa arrivare dalla Banca Dati Nazionale dei Minori Adottabili e delle Coppie Disponibili all’Adozione che, dopo 12 anni di ritardo109 e una recente condanna da parte del TAR del Lazio110, è stata da poco attivata111 e dalla cui operatività dipende la messa in rete dei dati tra tutti i Tribunali per i Minorenni al fine di favorire una miglior tempistica ed efficacia all’abbinamento112. Non è ancora operativa neanche la banca dati in relazione al fenomeno dell’abuso sessuale dei minori, che doveva essere istituita presso l’Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile per raccogliere, con l’apporto delle Amministrazioni centrali, tutte le informazioni utili per effettuare una mappatura del territorio e il monitoraggio del fenomeno.113. In Italia è tutt’ora assente anche un sistema di monitoraggio nazionale dei casi di maltrattamento, come più volte richiesto dal Comitato ONU e dall’esperto indipendente delle Nazioni Unite sul 106Rapporto di monitoraggio del III Piano Nazionale Infanzia, op. cit. 107Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha siglato un Protocollo d’intesa con la Regione Campania per la realizzazione di questo progetto sperimentale volto alla creazione ed implementazione del sistema informativo condiviso e omogeneo sugli interventi e le prestazioni a favore dei bambini e della loro famiglia. Il progetto coinvolge altre undici Regioni: Basilicata, Emilia Romagna, Liguria, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Sardegna, Toscana, Umbria, Veneto. 108Per approfondimento si veda oltre Capitolo IV, paragrafo “La Kafala”. 109Già prevista dall’art. 40 della Legge 149/2001. 110 Sentenza del 1/10/2012, n. 08231/2012 111 Con decreto attuativo del 15/2/2013 pubblicato in Gazzetta Ufficiale n.47 del 25/2/2013. 112 Per approfondimento si veda oltre Capitolo IV, paragrafo “L’adozione nazionale e internazionale”. 113 Si veda Capitolo VII, paragrafo “La pedopornografia”. la violenza sui minori, mentre sono a disposizione solo statistiche parziali, che si basano su dati centrati sulla dimensione giudiziaria. Non ci sono dati sul numero di bambini e adolescenti coinvolti né su altri tipi di violenza quali il maltrattamento fisico, psicologico e la violenza assistita114. Il Ministero della Salute non ha dato alcun riscontro alle richieste di informazioni inoltrate dal Gruppo CRC ai fini della redazione del presente Rapporto. Si evidenzia, che i dati forniti dall’ISTAT sul tasso di mortalità infantile risalgono al 2010115; i dati relativi al Certificato di Assistenza al Parto (CedAP) risalgono ancora al 2009116; per quanto riguarda i suicidi, gli ultimi dati si riferiscono al periodo 19932009 e i quozienti per classe d’età pubblicati consentono analisi solo per gli under 25117; i dati sulle malattie croniche che riguardano la popolazione minorile sono scarsi, e mancano indagini appropriate che consentano un monitoraggio costante118; critica è poi la situazione relativa agli inserimenti in comunità terapeutica, su cui non esistono dati nazionali e che, spesso, avvengono lontano dalla residenza dei ragazzi a causa della carenza di strutture, con lunghe attese e difficoltà nel reinserimento nel proprio territorio119; infine si lamenta ancora la mancanza di dati statistici per i bambini con disabilità relativi alla fascia d’età 0-6 anni120. Per quanto riguarda le competenze del Ministero della Pubblica Istruzione si sottolinea che non si hanno dati completi aggiornati rispetto al numero e sulla qualità dell’inclusione scolastica degli alunni con disabilità, nonché alla presenza degli insegnanti di sostegno121; anche se il MIUR ha costituito un’anagrafe nazionale degli studenti, strumento che potenzialmente permette di monitorare l’incidenza dei ragazzi che escono dal circuito dell’istruzione, non è 114 Si veda oltre Capitolo VII, paragrafo “Abuso, sfruttamento sessuale e maltrattamento di minori”. 115 Si veda oltre Capitolo V, paragrafo “Nascere e crescere in Italia”. 116 Si veda oltre Capitolo V, paragrafo “Nascere e crescere in Italia”. 117 Si veda oltre Capitolo V, paragrafo “Nascere e crescere in Italia”. 118 Si veda oltre Capitolo V, paragrafo “Nascere e crescere in Italia”. 119 Si veda oltre Capitolo V, paragrafo “Salute mentale”. 120Si veda oltre Capitolo V, paragrafo “Bambini e adolescenti, salute e disabilità”. 121 Si veda oltre Capitolo VI, paragrafo “Il diritto all’istruzione per bambini e adolescenti con disabilità”. ancora stato integrato con i dati delle scuole non statali e raccordato con le anagrafi regionali relative all’obbligo formativo e all’apprendistato. Inoltre, non tutte le Amministrazioni Regionali e delle Province Autonome dispongono di un’anagrafe in grado di monitorare lo stato formativo dei minorenne122; infine si raccomanda di rendere pubblici e consultabili i dati dell’Anagrafe dell’edilizia scolastica, relativi alle condizioni strutturali e non, di tutti gli edifici scolastici pubblici italiani123. Pertanto il Gruppo CRC raccomanda: 1. Al Governo e alla Regioni l’impegno con- creto per colmare la carenza di sistemi di raccolta dati centrato sulle persone di minore età. 8. la lEGIslazIoNE ItalIaNa: la ProCEDura MINorIlE CIvIlE E PENalE Per quanto concerne l’ambito della procedura penale minorile, va rilevato che la nostra legislazione risulta ancora essere assolutamente carente in rapporto alla programmata riforma del sistema penale minorile, così come previsto dal già citato III Piano Nazionale Infanzia (PNI). Nulla è stato ancora attuato, infatti, in ordine alla diversificazione della tipologia delle sanzioni penali, che dovrebbe condurre alla previsione di nuovi e/o diversi trattamenti sanzionatori per i minorenni, benchè già da tempo penda la proposta di legge n. 3912124, che mira ad intervenire sull’attuale sistema sanzionatorio mediante modifiche degli artt.17 e 27 c.p., per quanto concerne le pene applicabili agli autori di reato minorenni, con contestuale eliminazione della pena pecuniaria ed arricchimento delle misure irrogabili dal Giudice minorile in sede di condan 122Si veda oltre Capitolo VI, paragrafo “La dispersione scolastico formativa”. 123Si veda oltre Capitolo VI, paragrafo “Il diritto alla sicurezza negli ambienti scolastici”. 124Presentata alla Camera dei Deputati il 29/11/2010 sulla base della “Proposta di modifiche al D.P.R. 448/88 e al D.Lvo 272/89 in materia di sanzioni previste nella sentenza di condanna e al codice penale in materia di pene irrogabili ai soggetti che hanno commesso reati nella minore età”, elaborata nel 2007 dal Dipartimento della Giustizia Minorile. na125. Nel condividere, pertanto, lo spirito della proposta di legge n. 3912, volta ad individuare nuove sanzioni sostitutive alla detenzione in sede di condanna, che consentono una maggiore individualizzazione del trattamento sanziona- torio ed aumentano in modo considerevole la fruibilità concreta di misure extracarcerarie, si ritiene parimenti di dover suggerire che qualsivoglia trattamento sanzionatorio nei riguardi di minorenni sia sempre adeguato alla personalità del minore e sia orientato al perseguimento delle finalità educative, alla cui realizzazione è diretto l’intero processo penale minorile, anche nella fase esecutiva della pena. Si ritiene, inoltre, che, rispetto alla suddetta proposta di legge, debbano essere meglio specificati sia i criteri di applicazione che i termini di durata dei nuovi trattamenti sanzionatori, prevedendo, in particolare, misure (quali, a mero titolo esemplificativo: lavori di utilità sociale; obblighi di permanenza domiciliare in orari o giorni stabiliti; collocamento in comunità educativa o terapeutica a seconda del caso; ecc.), la cui irrogazione sia rimessa alla sola Autorità Giudiziaria. Nel considerare, poi, che la sanzione detentiva carceraria debba essere mantenuta quale ultima soluzione praticabile (soprattutto nell’ipotesi in cui gli altri trattamenti sanzionatori non si rivelino efficaci dal punto di vista rieducativo) si ritiene necessario prevedere – anche per la fase esecutiva del trattamento sanzionatorio – l’istituzione di una figura specializzata di controllo, che sia preposta alla verifica sull’efficace esecuzione della pena, onde soddisfare concretamente l’esigenza delle finalità educative perseguite. Nell’ottica, poi, di una più ampia riforma dell’in 125In tale proposta vengono, in sostanza, previsti tre scaglioni di pena, a ciascuno dei quali corrisponde un binomio di sanzioni sostitutive applicabili, con la conseguenza pratica che, quando il T.M. ritiene di irrogare una pena entro il limite di due anni, può condannare alla semidetenzione o alla libertà controllata, mentre se il limite massimo è di un anno, è possibile applicare le sanzioni della permanenza domiciliare oppure dell’obbligo di svolgere un’attività riparatoria tra quelle appositamente specificate (con il necessario presupposto del consenso del minore); è previsto, infine, che se il limite massimo della pena da irrogare è di sei mesi, il giudice possa orientarsi per una condanna alla pena della permanenza domiciliare nei fine settimana o per una condanna ad una sanzione a contenuto interdittivo (individuate fra il divieto di assumere bevande alcoliche; il divieto di frequentare luoghi o persone; il divieto di allontanarsi dall’abitazione in determinate fasce orarie; il divieto di allontanarsi dal comune di residenza; il divieto di utilizzare mezzi di trasporto privati; il divieto di guidare veicoli a motore). tero sistema penale minorile si ritiene opportuno intervenire sull’istituto della Messa Alla Prova (M.A.P.), che, pur conservando la sua attuale struttura di funzionamento, necessita di alcuni opportuni correttivi, che ne razionalizzino ancor più l’utilizzo, oltre che la reale efficacia, affinché vengano concretamente soddisfatte le finalità educative cui mira anche tale strumento. Sarebbe, infatti, auspicabile una maggiore partecipazione del minorenne e del suo difensore alle fasi di predisposizione del progetto di intervento, nonchè di evoluzione del progetto medesimo, con la possibilità di prevedere delle verifiche intermedie sull’andamento del progetto di M.A.P. in contraddittorio tra le parti. Sarebbe inoltre utile prevedere l’istituzione di una figura specializzata, che possa verificare l’effettivo andamento del progetto e che sia diversa dall’organo (di regola l’U.S.S.M.) che normalmente è preposto alla predisposizione del progetto medesimo, affinché tale soggetto (che potrebbe essere indicato con il termine di “controllore della probation”) possa garantire il più possibile un reale ed efficace percorso rieducativo del minore, che non sia tale solo in termini teorici. Va rilevato, infine, che nessun concreto avanzamento si è compiuto in rapporto alla programmata disciplina della mediazione penale e delle c.d. attività riparatorie, nonostante i tantissimi interventi legislativi a livello internazionale e comunitario, che auspicano l’introduzione della mediazione penale nell’ordinamento italiano126. Risulta ormai assolutamente necessario che si proceda ad una apposita regolamentazione legislativa dell’istituto della mediazione penale minorile (non essendo più sufficiente la sola sperimentazione, già operata 126Regole minime per l’amministrazione della giustizia penale minorile – c.d. Regole di Pechino – del 29 novembre 1985 (articolo 11); CRC (New York, 20 novembre 1989), resa esecutiva dalla Legge 176/1991, [articolo 40, paragrafo 3 lettera b)]; Raccomandazione R (87) 20 del Consiglio d’Europa sulle risposte sociali alla delinquenza minorile (17 settembre 1987); Raccomandazione R (99) 19 del Consiglio d’Europa sulla mediazione in materia penale (adottata dal Comitato dei Ministri in data 15 settembre 1999); Dichiarazione dei Principi base per l’introduzione della Giustizia Riparativa in campo penale delle Nazioni Unite (Vienna, aprile 2000); Decisione Quadro n. 2001/220/ GAI (datata 15 marzo 2001) del Consiglio dell’Unione europea su “La posizione delle vittime nel processo penale”, che rende la mediazione penale obbligatoria, per tutti gli Stati membri dell’Unione europea, entro l’anno 2006; Raccomandazione REC 2003/20 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sulle nuove modalità di trattamento della delinquenza giovanile ed il ruolo della giustizia minorile. sul piano pratico presso numerosi Tribunali per i Minorenni italiani, nonché la previsione da parte del D.G.M. di apposite “Linee di indirizzo e di coordinamento in materia di mediazione penale minorile” che di per sé non sono garanzia assoluta di applicazione di regole comuni e di principi inderogabili sull’intero territorio nazionale), atteso che tutti i soggetti coinvolti necessitano di una peculiare attenzione e che l’intervento di mediazione, se adeguatamente operato, può favorire la realizzazione della funzione educativa di cui all’art. 1 DPR 448/1988, oltre che contribuire alla costruzione di una personalità in evoluzione, aiutando un “adulto del futuro” a prendere consapevolezza del proprio ruolo nella società. Così come l’utilità di un intervento strutturato di mediazione se, da un lato, appare efficace per la responsabilizzazione di un soggetto in età evolutiva, contestualmente potrà produrre altrettanti effetti positivi sulle persone offese dal reato commesso da un minorenne, in quanto queste ultime (spesso anche esse in età minore) avranno modo di vedere considerato il proprio punto di vista in un procedimento, quale quello minorile, in cui le esigenze di massima garanzia per l’indagato-imputato pongono le vittime del reato in una posizione subalterna e defilata. Un effetto indubbiamente positivo sarà, infatti, quello di fare in modo che la vittima di un reato minorile (nell’impossibilità di partecipare al processo con una propria costituzione di parte civile) possa vedere soddisfatto il proprio naturale bisogno di “interloquire” con l’autore del reato, di comprenderne le contrapposte posizioni, di accettarne i limiti, di vedere soddisfatto il proprio senso di giustizia, con il contestuale benefico risultato (laddove la tipologia di reato commesso lo consenta) di una anticipata uscita del minore-reo dal circuito penale. Si segnala che il considerando n. 46 della direttiva 2012/29/Ue promuove gli strumenti della mediazione tra vittima ed autore del reato, il dialogo esteso ai gruppi parentali ed ai consigli commisurativi sottolineandone la positività ma ricordando che è necessario attivare garanzie per evitare, a tutela della vittima, la vittimizzazione secondaria e ripetuta, l’intimidazione e le ritorsioni. Si reputa, da ultimo, opportuno segnalare che, rispetto al precedente Rapporto CRC, si è registrata una positiva evoluzione dell’iter parlamentare in relazione al disegno di legge di iniziativa governativa, che prevedeva la sospensione del procedimento penale nei confronti degli irreperibili per tutto il periodo della irreperibilità, essendo stato lo stesso approvato in data 4 dicembre 2012 e trasmesso all’altro ramo del Parlamento per il relativo esame ed approvazione127. Per quanto riguarda la procedura civile minorile, il rapporto di monitoraggio del III PNI effettuato dall’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza e recentemente pubblicato128, ha posto attenzione sul DDL S 3040, in discussione fino allo scioglimento delle Camere, che al fine di superare la frammentazione delle competenze civili e di garantire la specializzazione dei magistrati ha previsto l’istituzione di sezioni specializzate sia presso i Tribunali che presso le Corti d’Appello, composte da soli magistrati togati che accentrino tutte le materie civili relative alla famiglia, ai minori e agli incapaci. Mentre si continuava a discutere su questo progetto di legge, che riguardava l’introduzione di sezioni specializzate, ed era stato accantonato il progetto del Tribunale della Famiglia, è stata approvata la Legge 219/2012, entrata in vigore il 1° gennaio 2013, “Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali”che contiene una serie di disposizioni non solo sostanziali ma anche procedurali di grande rilievo. Anche questa legge era stata a lungo in discussione, aveva subito modifiche e critiche da parte sia dei magistrati minorili che delle associazioni di avvocati e di quelle impegnate nel settore minorile129. La profonda diversità di tratta 127AC.5019 di iniziativa governativa, presentato il 29 febbraio 2012, stralciato il 9 ottobre 2012 in AC.5019-bis, approvato in data 4 dicembre 2012 e trasmesso dalla Camera al Senato in data 6 dicembre 2012, attualmente all’esame della Commissione Giustizia dal 21 dicembre 2012 come disegno S. 3596. 128Si veda retro paragrafo “Il Piano Nazionale Infanzia”. 129Documento AIMMF 20/11/2012 www.minoriefamiglia.it; e documento promosso da Unicef, Anfaa, Cnca e numerose altre organizzazioni disponibile su www.anfaa.it/blog/2013/01/15/bene-la-parificazione- tra-figli-nati-dentro-e-fuori-il-matrimonio-ma-il-parlamento-poteva- evitare-le-norme-intruse-2/; documento UNCM in www.camereminorili. it; Muglia, “Guida al Diritto”, 12/01/2013; Spina, “Guida al Diritto”, 26/01/2013. mento fra figli nati all’interno del matrimonio e figli nati fuori da un rapporto matrimoniale, che persisteva nella nostra legislazione fino all’entrata in vigore di questa legge, aveva esposto l’Italia a molte critiche anche a livello internazionale, ed era quindi necessario provvedere ad una completa e chiara parificazione dei figli. La Legge 219/2012 non si è limitata a sancire questo assoluto principio, ma è andata ben oltre, prevedendo una serie di norme sostanziali e processuali ed una ampia delega al Governo per la realizzazione di alcuni principi che in larga misura esulano dalla parificazione dei figli legittimi e dei figli naturali. Fra le norme processuali in vigore, la legge citata ha previsto lo spostamento al Tribunale ordinario della competenza in merito ai procedimenti relativi ai rapporti fra genitori naturali e figli, ex art. 317 bis c.c., e di tutti i procedimenti civili relativi allo stato delle persone, modificando in tal senso l’art. 38 delle disposizioni di attuazione al codice civile, che regola la divisione delle competenze fra Tribunali ordinari e Tribunale per i Minorenni. I Tribunali ordinari, investiti ora di tutta questa serie di competenze civili relative ai minori e alla famiglia non hanno in genere sezioni specializzate; i magistrati addetti alle sezioni ordinarie spesso si occupano anche di altre materie, quindi viene meno quel principio che si era ritenuto inderogabile per il buon funzionamento della giustizia minorile che consiste nella esclusività delle funzioni e nella specializzazione dei magistrati. È venuta inoltre completamente meno l’unità della giurisdizione civile e penale minorile, principio cardine che ha fino ad oggi regolato la materia minorile e su cui si incentra il progetto di Tribunale per la famiglia, ed il criterio della composizione multi- disciplinare, che prevede la presenza dei giudici onorari in tutti i gradi di giudizio. Non si è inoltre provveduto ad unificare i riti nei procedimenti che restano tuttora di competenza del Tribunale per i Minorenni rispetto ai procedimenti che vengono attribuiti alla competenza dei Tribunali ordinari, mantenendo in questo modo quella frammentazione dei riti e delle competenze che rende tuttora assai complessa e confusiva la materia della giustizia civile minorile. La Legge 219/2012 contiene inoltre all’art. 2 una Delega al Governo per la revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, al fine dichiarato di eliminare ogni discriminazione tra i figli, anche adottivi. Si prevedono una serie di modifiche di adeguamento, alcune di carattere meramente tecnico, con spostamento di alcune materie. Nell’ampio ambito di cui si prevede la delega al Governo è da segnalare al punto h) dell’art. 2 l’unificazione delle disposizioni che riguardano i doveri dei genitori nei confronti dei figli nati nel matrimonio e dei figli nati fuori del matrimonio, delineando la nozione di responsabilità genitoriale, quale aspetto dell’esercizio della potestà genitoriale, in questo modo adeguando anche nella definizione il rapporto che lega genitori e figli alla definizione ed al concetto che ormai da anni viene utilizzato in campo internazionale. Viene inoltre prevista al punto i) la delega al fine di disciplinare le modalità di esercizio del diritto all’ascolto del minore, precisando che ove l’ascolto sia previsto nell’ambito di procedimenti giurisdizionali, ad esso provvede il Presidente del Tribunale o il giudice delegato, con esclusione quindi di specialisti, ovvero degli psicologi. Oltre ad una serie di altre importanti materie che saranno modificate a seguito dei decreti che verranno approvati, merita in questa sede ricordare quanto previsto al punto n), sempre dall’art. 2, relativo alla nozione di abbandono materiale e morale dei figli, con riguardo alla provata irrecuperabilità delle capacità genitoriali in un tempo ragionevole da parte dei genitori. Questa previsione potrebbe portare confusione in una materia in cui la giurisprudenza ha già da anni chiaramente delineato gli ambiti di applicazione della norma che riguarda lo stato di abbandono e ne ha precisato i confini. Contro questa disposizione che dovrà essere oggetto di previsione da parte dei decreti delegati si sono espresse una parte della dottrina130, ed alcune associazioni, nel timore che la nuova dizione introdotta ponga ulteriori limiti temporali alla dichiarazione dello stato di adottabilitàº131. Il quadro complessivo previsto dalla nuova legge, pur con il lodevole intento di parificare 130Dogliotti, “Adozione di minori e stato di abbandono. Perché una specificazione?” in Famiglia e diritto 7, 2012 pag. 749 e segg. 131 Si veda oltre Capitolo IV, paragrafo “L’adozione nazionale e internazionale”. i figli legittimi e naturali, non risolve le contraddizioni e le frammentazioni attualmente in atto nel diritto minorile nel settore civile. Anzi, lasciando diversità procedurali nei riti applicabili e negli organi competenti crea maggiore frammentazione, e ciò che è più grave affidando la quasi totalità della materia minorile alla competenza dei Tribunali ordinari cancella ogni tipo di specializzazione nell’organo giudicante e l’esclusività delle funzioni, elementi che hanno caratterizzato la giustizia minorile dalla istituzione del Tribunale per i Minorenni. Molte associazioni hanno infine rilevato con preoccupazione la modifica dell’art. 251 c.c., che rende possibile il riconoscimento dei figli nati da rapporti incestuosi, ritenendo che “essi sono spesso figli di episodi di violenza domestica. La prevista neccessità che vi sia un’autorizzazione da parte del giudice non appare condizione sufficiente a giustificare l’introduzione di una norma che rischia di perpetuare tra le generazioni la violenza intrafamiliare e la sua pubblica tollerabilità”132 . È quindi assolutamente necessario che il legislatore provveda a comporre una unità nel sistema della giustizia minorile, prevedendo un unico tribunale per la persona, i minori e le relazioni familiari, che abbia giurisdizione sia civile che penale, assicuri l’esclusività delle funzioni e garantisca la composizione multidisciplinare anche con la presenza di magistrati onorari133. Per quanto riguarda la necessità di una ampia riforma della difesa d’ufficio civile come prevista dalle norme della Legge 184/1983 riformata dalla Legge 149/2001 che era già stata ampiamente evidenziata nel precedente Rapporto CRC, ed era stata oggetto di raccomandazione, nessuna modifica è intervenuta e persistono le difficoltà e le incertezze della giurisprudenza e degli operatori, come non è stato fatto nulla per quanto riguarda la figura del difensore curatore del minore, di cui sarebbe stato necessario definire i compiti ed in particolare specializzazione. 132Si veda comunicato congiunto ANFAA, CISMAI, CNCA e UNICEF del 27 novembre 2012 disponibile su www.anfaa.it/blog/2013/01/15/ bene-la-parificazione-tra-figli-nati-dentro-e-fuori-il-matrimonio-ma-ilparlamento- poteva-evitare-le-norme-intruse-2/ 133 In questo senso, si vedano il documento UNCM, ottobre 2012, disponibile su www.camereminorili.it/public/file-news/Mozione%20IV%20 Congresso%20UNCM%20-%20Catania.pdf; il documento AIMMF “Per una giustizia a misura di minore” in via di definitiva elaborazione. Pertanto il Gruppo CRC raccomanda: 1. Al Parlamento di attuare una legislazione organica in materia di famiglia e minori prevedendo un unico organo giudicante e mantenendo la specificità della cultura minorile; 2. Al Parlamento di introdurre chiare pre- visioni circa la modalità di nomina dei difensori d’ufficio nella Legge 184/83 e successive modifiche, a garanzia del principio del contraddittorio e del diritto dei minori ad un proprio difensore an- che in campo civile; 3. Al Parlamento di attuare un’organica rifor- ma delle sanzioni penali irrogabili agli au- tori di reato minorenni, favorendo ipote- si di trattamento sanzionatorio adeguati alla personalità del minore ed orientati al perseguimento effettivo delle finalità edu- cative, nonché di procedere alla codifica- zione della mediazione penale minorile e di prevedere correttivi al funzionamento dell’istituto della M.A.P. per ampliare l’ef- ficacia dello stesso in chiave di effettiva capacità risocializzante e rieducativa. Pertanto il Gruppo CRC raccomanda: 1. Al Parlamento di attuare una legislazione organica in materia di famiglia e minori prevedendo un unico organo giudicante e mantenendo la specificità della cultura minorile; 2. Al Parlamento di introdurre chiare pre- visioni circa la modalità di nomina dei difensori d’ufficio nella Legge 184/83 e successive modifiche, a garanzia del principio del contraddittorio e del diritto dei minori ad un proprio difensore an- che in campo civile; 3. Al Parlamento di attuare un’organica rifor- ma delle sanzioni penali irrogabili agli au- tori di reato minorenni, favorendo ipote- si di trattamento sanzionatorio adeguati alla personalità del minore ed orientati al perseguimento effettivo delle finalità edu- cative, nonché di procedere alla codifica- zione della mediazione penale minorile e di prevedere correttivi al funzionamento dell’istituto della M.A.P. per ampliare l’ef- ficacia dello stesso in chiave di effettiva capacità risocializzante e rieducativa. 9. Il tErzo ProtoCollo faColtatIvo alla CrC Non si segnalano novità in Italia in merito alla ratifica del III Protocollo Opzionale alla CRC di cui, nel Rapporto 2012, il Gruppo CRC aveva raccomandato la ratifica in considerazione dell’importante nuovo canale che esso apre per possibili denunce al Comitato ONU per la CRC in caso di violazioni dei diritti dei minori riconosciuti nella Convenzione. Ricordiamo, infatti, che si tratta di un Protocollo che prevede tre diverse procedure per la difesa dei diritti dei minori attraverso segnalazioni o vere e proprie denunce: comunicazioni individuali, comunicazioni fra Stati e inchieste per violazioni gravi o sistematiche 134. 134 Protocollo adottato dell’Assemblea Generale, risoluzione A/ RES/66/138. L’Italia è stata fra i primi firmatari del documento il 28 febbraio 2012. Per i dettagli sul documento e, in particolare, per le diverse procedure previste per le “comunicazioni” e denunce si rinvia alle pagine 10 e 11 del rapporto CRC 2012 www.gruppocrc.net/ La-legislazione-italiana-Il-Terzo. Il 27 novembre 2012 il Gruppo CRC, durante una audizione presso la Commissione Parlamentare per l’Infanzia e l’Adolescenza, ha raccomandato al Parlamento di provvedere alla ratifica di questo nuovo strumento135, ma finora nessun progetto di legge è stato depositato né discusso136. Le iniziative in vari Paesi del mondo per spingere i Governi a ratificare questo strumento sono numerose; fra di esse si segnala in particolare la nascita di una specifica coalizione internazionale di associazioni denominata “Ratify OP3 CRC”137. Dalla pubblicazione del precedente rapporto sono stati ben 15 i Paesi che hanno sottoscritto il Protocollo138. Tuttavia, ad oggi, i Paesi ratificanti sono solo tre e dovrà attendersi il deposito del decimo strumento di ratifica prima che il Protocollo entri in vigore139. L’efficacia del terzo Protocollo, anche rispetto al monitoraggio di cui si occupa il Gruppo CRC, dipenderà molto dalla dichiarazione facoltativa degli Stati che, all’atto della ratifica, possono scegliere se accettare 135 Il Verbale della audizione è scaricabile su www.camera.it/_dati/ leg16/lavori/stenbic/36/2012/1127/pdf001.pdf 136 L’unica iniziativa che si registra nella precedente legislatura è un intervento dell’On. Silvia Della Monica che, durante la seduta n. 796 del 19 settembre 2012 alla Camera dei Deputati, ha chiesto l’impegno di Parlamento e Governo per la ratifica di questo Terzo protocollo (www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=16 &id=00678641&part=doc_dc-ressten_rs-ddltit_rdddddl1969dccepmcseas- trattazione_ddvf-intervento_dellamonicapd&parse=no&stampa= si&toc=no). Considerato l’insediamento del neo-Parlamento italiano il 15 marzo 2013 e il recente avvio della nuova legislatura in un clima politico complesso, non è facile prevedere i tempi necessari alla ratifica, nonostante il Governo abbia già espresso parere favorevole il 7 luglio 2012. 137 Si tratta di una coalizione comprendente più di 40 membri guidata da un Comitato. Sul web è possibile scaricare un modello di lettera in inglese predisposto dalla Coalizione internazionale Ratify OP3 CRC da inviare ai Governi per sollecitare la ratifica (OP3CRC-RatificationTemplate- EN_Oct12.docx – ratifyop3crc.org). Fra le diverse iniziative, si segnalano, a titolo esemplificativo, quella del Workshop organizzato il 13 novembre 2012 a Bruxelles da Eurochild e dal NGO Group for the CRC, quella di un network di associazioni in Nepal (www.humanrights. asia/news/ahrc-news/AHRC-OLT-005-2012) e infine quella di una coalizione di ONG Filippine che ha attivato una apposita pagina di Facebook (https://m.facebook.com/note.php?note_id=415692798490420&_ ft_=fbid.415692798490420). 138 Ex Repubblica Jugoslava di Macedonia il 23/5/2012; Romania 13/7/2012; Argentina 25/7/2012; Paraguay il 26/7/2012; Cipro il 27/7/2012; Mauritius il 13/8/2012; Albania, Capoverde, Liechtenstein, Madagascar, Turchia, tutti il 24/9/2012; Thailandia il 25/9/2012; Andorra il 26/9/2012; Senegal 1/10/2012. L’elenco Paesi al link nella nota seguente. 139 Fino ad oggi hanno ratificato il Gabon e la Thailandia il 25 settembre 2012 e la Germania il 28 febbraio 2013. Per monito- rare lo stato di ratifica: http://treaties.un.org/Pages/ViewDetails. aspx?src=TREATY&mtdsg_no=IV-11-d&chapter=4&lang=en che altri Stati segnalino le proprie violazioni dei diritti dell’infanzia e adolescenza e scegliere altresì, sempre senza alcun obbligo, di sottoporsi a procedure di inchiesta da parte del Comitato CRC nel caso di violazioni gravi o sistematiche dei diritti dei minori. Queste due dichiarazioni opzionali sono dunque fondamentali. Pertanto il Gruppo CRC raccomanda nuo- vamente: 1. Al Parlamento di ratificare il nuovo pro- tocollo opzionale della CRC; 2. Al Governo e al Parlamento di provvede- re, in occasione della detta ratifica, an- che alle dichiarazioni opzionali che con- sentiranno di: a) ricevere segnalazioni da altri Stati (art. 12) e b) di consentire nei propri confronti la procedura d’inchiesta in caso di violazioni gravi o sistematiche (art. 13); 3. Al Governo e, per esso, a tutti i Ministe- ri Competenti di diffondere e informare sul contenuto del nuovo Protocollo. PrINCIPI GENEralI DElla CrC 1. la PartECIPazIoNE DEI baMbINI E DEllE baMbINE, DEI raGazzI E DEllE raGazzE (art. 12 CoMMa 1 CrC) 2. Alla luce dell’articolo 12 della Convenzione e del Commento generale del Comitato n. 12 (2009) sul diritto dei minori di essere ascoltati, il Comitato raccomanda che l’Italia esegua quanto indicato di seguito: c) implementi misure atte a garantire che i mino- ri partecipino alla formazione delle leggi e delle decisioni politiche che li riguardano, compreso il rafforzamento dei Consigli dei ragazzi, mediante strutture di supporto regionali o nazionali. CRC/C/ITA/CO/3-4, punto 2, lett. c) L’ascolto delle opinioni delle persone di minore età e il loro riconoscimento come “soggetti” e non “oggetti” di diritto implica e presume cambiamenti nelle strutture politiche, sociali, istituzionali e culturali. La mancanza di strategie definite e di uno sviluppo non estemporaneo di competenze sulla partecipazione in Italia è speculare al ritardo culturale complessivo riguardante il concetto stesso di diritti. Tra il 2012 e l’inizio del 2013 rilevanti documenti internazionali si sono aggiunti alle raccomandazioni del Comitato ONU e al Commento Generale n. 121, confermando l’importanza della partecipazione come “sfida” sia per il benessere “qui e ora” sia per lo sviluppo civico e personale di bambini ed adolescenti: 1. Raccomandazione del Consiglio d’Europa agli Stati membri sulla partecipazione dei bambini e dei giovani di età inferiore ai 18 anni – rec (2012)22; 2. Raccomandazione della Commissione UE: Investing in children: breaking the cycle of disadvantage3; 1 Si veda www.infanziaediritti.net/web/pdf/commentogenerale/Commento% 20n.12.pdf. 2 In italiano disponibili sul sito, www.piattaformainfanzia.org/news_detail. php?id=8756; testo integrale disponibile al link, https://wcd.coe.int/ ViewDoc.jsp?id=1927229. 3 Raccomandazione del 20/2/2013: news-europa.eu/portal/index. php/economy-finance-tax/item/43772-commission-recommendation-of2022013- investing-in-children-breaking-the-cycle-of-disadvantage. 3. Commento Generale n. 17 del Comitato ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza (art. 31, diritto al gioco)4. A livello nazionale, si riporta il Rapporto sui Garanti in Italia e l’accento posto sul loro ruolo di promozione della partecipazione5. Questa documentazione arricchisce quanto già pubblicato dal Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza (CNDA) sull’argomento6. Nonostante quanto citato nei precedenti Rapporti CRC7 indichi la capacità di alcuni soggetti8 di operare in modo competente e scientifico nel campo della partecipazione, si sottolinea ancora una volta – in coerenza con le Osservazioni Conclusive del Comitato ONU del 2011 “la mancanza di una consultazione sistematica dei minorenni durante la procedura di formazione delle leggi e delle decisioni che li riguardano, a livello nazionale, regionale o locale e l’assenza di direttive più specifiche sulla partecipazione dei minorenni allo sviluppo dei futuri piani di azione che li riguardano”9. Tale disattenzione è coerente con due fenomeni registrati già a partire dal 2005 e via via crescenti: la diminuzione dei fondi e degli interventi e il loro spostamento dalla promozione dell’infanzia/ adolescenza al disagio e all’emergenza (sin dal passaggio dalla Legge 285/1997 alla Leg 4 Disponibile al link, www2.ohchr.org/english/bodies/crc/docs/GC/CRC-CGC- 17_en.doc. 5 Seminario del 15/2/2013, organizzato da Innocenti Research Centre e Istituto degli Innocenti: www.minori.it/minori/garanti-per-linfanzia-in-italiail- quadro-attuale-e-le-prospettive-future. 6 Si veda il sito www.minori.it/ricerca-documenti/results/partecipazione, ed in particolare il Quaderno n. 50 del 2011 centrato sulla partecipazione al link www.minori.it/minori/quaderno-50-costruire-senso-negoziare-spazi. 7 Tutti i Rapporti del Gruppo CRC sono disponibili al link: http://www. gruppocrc.net/-documenti-. 8 Si citano come esempi: studi, pubblicazioni ed iniziative del CNDA (www.minori.it), dell’associazione CAMINA (www.camina.it), della Cooperativa ABCittà di Milano (www.abcitta.org), realizzate con la Legge 285/1997 (i rapporti sull’attuazione della Legge sono disponibili su www.minori.it), del progetto CNR “Città dei bambini” (www.cittadeibambini.org) e da network, tra i quali il PIDIDA (www.infanziaediritti.it). Circa il ruolo dei Garanti rispetto alla partecipazione si veda il Rapporto citato in nota 5. 9 CRC/C/ITA/CO/3-4, ottobre 2011, punto 27 lettera c). Disponibile al link, http://www.gruppocrc.net/IMG/pdf/OSSERVAZIONI_COMITATO_IN_ITALIANO_ 2011-3.pdf. ge 328/2000)10 e la progressiva diminuzione dell’attenzione alla partecipazione in campo educativo, nell’elaborazione di politiche e progetti e nelle politiche nazionali e locali. La partecipazione era ampiamente presente nella bozza 2009 del Piano Nazionale Infanzia (PNI), con 10 azioni riferite a 6 linee generali11. Il Governo rinviò la presentazione del PNI, prevista in occasione della Conferenza Nazionale Infanzia e Adolescenza del 18/20 novembre 2009, per verificarne la coerenza con gli orientamenti governativi, in quanto “i minori di età vi erano troppo spesso rappresentati a prescindere dalle relazioni familiari, vi era scarso spazio dato al tema della sussidiarietà e nel contempo erano troppo impegnative le iniziative proposte per lo sviluppo della partecipazione dei bambini e degli adolescenti”12. La partecipazione fu infine accorpata ad altri temi nel PNI13 in un’ottica di centralità della famiglia14, mantenendone la promozione per gli adolescenti15 nei servizi socioeducativi e a scuola, per gruppi di giovani/anziani e l’ascolto a scuola e in famiglia16. Invece nel monitoraggio del PNI realizzato dall’Osservatorio nazionale sull’infanzia e adolescenza il tema della partecipazione è ricorrente ed è presente in 10 Per approfondimenti, si rimanda al Capitolo 1, paragrafo “Politiche Sociali per l’infanzia e l’adolescenza” e al rapporto sui 10 anni di attuazione della Legge 285/1997: www.minori.it/quaderno-47, in cui si evidenzia come le iniziative connesse all’attuazione dell’art. 7 della suddetta Legge (iniziative di partecipazione e attuazione dei diritti) siano state fortemente compresse nel passaggio all’attuazione della Legge 328/2000, che ha spostato il focus degli interventi sul versante del contrasto al “disagio sociale”. 11 Il documento programmatico di indirizzo sulla partecipazione è tuttora disponibile sul sito del CNDA www.minori.it/sites/default/files/ 1_Partecipazione_gruppo_di_lavoro.zip 12 Per approfondimenti in merito alla redazione del PNI si veda: Cittadini in Crescita 3/10, pag. 32: http://www.minori.it/minori/cittadinicrescita- 32010 13 http://www.gruppocrc.net/IMG/pdf/Terzo_Piano_nazionale_Infanzia. pdf, promulgato infine il 21/1/2011 14 Il rinvio del PNI ed il timore per la sottostima della partecipazione e dell’intercultura fu oggetto di dibattito pubblico www.arciragazzi.it/ index.php?option=com_content&view=article&id=133:i-progetti-piu- recenti46&catid=71&Itemid=22; www.fenalc.it/news/show/99 e www. cgil.it/DettaglioDocumento.aspx?ID=12570), www.cnca.it/images/stories/ cnca-nazionale/campagne_e_cartelli/conferenza_infanzia_-_batti_ il_cinque.pdf; www.unicef.it/doc/1675/unicef-e-associazioni-plaudonoavvio- iter-verso-piano-nazionale-infanzia.htm). 15 Scheda A13 del PNI, capitolo circa il consolidamento della rete integrata dei servizi/contrasto all’esclusione sociale. 16 Scheda C04 del PNI, capitolo riferito ai patti intergenerazionali. ben 14 schede sulle azioni17, di cui solo due riportano azioni concrete18, mentre tutti gli altri richiami citano la partecipazione come “criterio” per il miglioramento dei servizi. Si riportano di seguito le criticità e le aree di sviluppo espresse dal Rapporto di monitoraggio sul tema19: tra le criticità, si sottolinea “la mancanza di politiche generali improntate alla partecipazione che si configura più spesso come un “principio generale”, senza trovare nelle politiche centrali e locali una concreta applicazione pratica”; tra le prospettive di sviluppo sarebbe importante: “ridefinire il concetto di “partecipazione” attraverso una declinazione di tale principio generale, in atti e azioni che rendano concreti ed efficaci il coinvolgimento e il diritto all’ascolto dei ragazzi”. Lo stesso Rapporto ricorda che il “diritto all’ascolto”, di cui all’art. 12 della CRC, è spesso considerato solo in ambito giudiziario e che la partecipazione come azione pro-attiva degli adulti in un contesto di riconoscimento di soggettività dei minorenni stenta ad entrare nella cultura generale. Nel corso dell’ultimo anno, si rilevano invece diverse iniziative sulla partecipazione ad opera dell’associazionismo e delle reti del Terzo Settore20, l’avvio di un focus di ricerca sulle esperienze di partecipazione del CNDA21; specifiche ricerche e azioni di partecipazione con mino 17 Si veda il Rapporto di sintesi sugli esiti del monitoraggio del terzo Piano nazionale per l’infanzia, pubblicato il 29 febbraio 2013, disponibile su www.minori.it/minori/rapporto-di-monitoraggio-del-piano- nazionale-per-linfanzia, nonché le “schede azioni”: www.minori.it/ sites/default/files/schede_azioni.pdf. In particolare, si segnala che la partecipazione è stata citata in diversi Capitoli del PNI riguardanti differenti temi: Minori disabili (A06), Accoglienza minori fuori dalla famiglia (A10), Misure per Adolescenti (A13), Partecipazione in ambito scolastico (A14), Partecipazione in Area Penale (A15), Rete servizi prevenzione e cura di abuso (A16), Garante nazionale (B04), Tutela e Protezione da abusi (B06), T.U. leggi e norme su Infanzia e Adolescenza (B08), Azioni per i minorenni disabili (B07), Affidamento famigliare e accoglienza (B09), Pornografia minorile (B10), Costruire rapporti fra generazioni (C03), Promuovere l’ascolto dei minorenni (C04). 18 Si vedano le sopracitate Azioni C03 e C04. 19 Si veda “Rapporto di sintesi”, op. cit, link citato: www.minori.it/ sites/default/files/rapporto_monitoraggio_piano_infanzia.pdf, pag. 45. 20 Dopo l’esperienza degli “Sati Generali della Partecipazione”, il rilancio del progetto “Partecipazione” del Pidida Nazionale, centrato sul focus delle relazioni fra bambini/ragazzi in situazioni di partecipazione e gli adulti di riferimento, su www.infanziaediritti.it. 21 Seminario svoltosi a Firenze il 5 ottobre 2012. renni fuori dalla famiglia naturale22; la presenza di iniziative territoriali connesse ai Consigli Comunali dei Ragazzi23. Si cita in questa sede anche il tema dei “Livelli Essenziali”, che oltre all’interesse di reti di associazioni24 ha visto la produzione di un documento di macro-obiettivi di servizio da parte della Conferenza delle Regioni e l’avvio di un approfondimento con il Garante nazionale per l’infanzia e l’adolescenza nel 201325; si rileva che la partecipazione non è ascrivibile alle “prestazioni” e “servizi”, quindi al momento è assente dal documento della Conferenza delle Regioni. La varietà e l’articolazione delle iniziative ripropongono la necessità di sintesi e coordinamento26, richiamata anche dall’Osservatorio e aggravata dall’abbandono a livello nazionale/ istituzionale delle Child Friendly Cities27. Si rileva infine nel 2012 lo scioglimento dell’Associazione delle Città Amiche dell’Infanzia e dell’Adolescenza, che ha affidato all’ANCI il suo patrimonio esperienziale28. Rispetto ai 14-17enni, l’ISTAT riporta dati sulla partecipazione a riunioni di vari tipi di associazione29, con serie storiche dal 1993 al 201330: non più del 9% dei minorenni di questa fascia d’età nel 2012 ha partecipato a riunioni di as 22 Si vedano: “Coinvolti di Diritto: la voce di bambini e ragazzi in percorsi di cura e protezione”, esperienza veneta del 2012 (www.minori. it/sites/default/files/pubblicazione_coinvolti_di_diritto.pdf) e l’esperienza di riscrittura degli standard di accoglienza con i bambini a cura di SOS Villaggi dei Bambini nell’ambito del progetto “quality4children” (www.sositalia.it/sos-informa/focus/focus-quality-4-children/pages/default. aspx). 23 Sono numerose le esperienze locali di CCR. Tra queste si citano l’incontro dei CCR della Liguria (Genova, Palazzo Ducale, 31/5/2012: su www.youtube.com alla voce “Genova, Palazzo Ducale: ecco i “consigli comunali” dei ragazzi”, a cura di Arciragazzi e Pidida Liguria) e la progettualità avviata dal Comune di Milano per la realizzazione di Consigli dei Ragazzi in tutte le 9 Zone cittadine (www.ragazzinzonamilano.it; www.agenziadeiragazzi.net). 24 Nel 2012 è proseguito l’approfondimento della rete Batti il Cinque sui “Livelli Essenziali concernenti i diritti civili e sociali” anche per la partecipazione www.cnca.it/attivita/campagne-e-reti. 25 Per un approfondimento sui Livelli Essenziali si veda Capitolo 1, paragrafo “Politiche Sociali per l’infanzia e l’adolescenza”. 26 Si cita a questo proposito l’idea di Linee Guida per la partecipazione, espressa nella bozza iniziale dell’ultimo PNI. 27 Si veda oltre Capitolo VI, paragrafo “Il diritto al Gioco”: le CFC mettono al centro il tema della partecipazione. 28 www.camina.it. Il 98% degli aderenti all’Associazione erano Enti Locali, quindi la sintesi delle esperienze all’interno di ANCI ha una sua coerenza che può portare alla valorizzazione del patrimonio esperienziale maturato. 29 Per approfondimento si veda il Capitolo III, paragrafo “Diritto di associazione”. 30 http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCCV_PARTECIPSOCIALE. sociazioni, mentre non vi sono dati per i minori di 14 anni31. Per quanto riguarda la partecipazione dei minorenni a scuola32, si segnala che non vi sono state evoluzioni e questa rimane un’area da sviluppare33. Mancano infine le Linee Guida e la raccolta delle buone prassi per la partecipazione dei minorenni fuori dalla famiglia. Pertanto il Gruppo CRC raccomanda: 1. Al Garante Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza e al CNDA di raccogliere e diffondere documenti internazionali e nazionali, dati, leggi, pubblicazioni, buone prassi su questa tematica, in re- lazione agli esiti dei monitoraggio del PNI e funzionalmente alla redazione del prossimo Piano e all’aggiornamento/mi- glioramento degli indicatori ISTAT oggi disponibili sulla partecipazione; 2. Al Governo e alla Conferenza delle Re- gioni, di definire i Livelli Essenziali an- che sulla partecipazione, coinvolgendo l’Osservatorio Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza, il Terzo Settore, i Garanti nazionale e regionali; 3. All’Osservatorio Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza, ai Garante nazionale e regionali, alla Commissione Parlamen- tare Infanzia e Adolescenza di prevede- re specifiche azioni di promozione della partecipazione nel prossimo PNI ascol- tando direttamente gruppi di bambini e ragazzi. 31 Si rimanda al Capitolo III, paragrafo “Diritto di associazione” per un’analisi più compiuta dei dati. 32 Si citano: l’insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione”, che nel primo documento di indirizzo dà importanza alla partecipazione (www. indire.it/lucabas/lkmw_file/Cittadinanza_e_Costituzione///indirizzo1. pdf) e la proposta Unicef delle “scuole amiche dei bambini” (www.unicef. it/doc/4111/i-nove-passi-verso-una-scuola-amica-dei-bambini.htm). 33 Si vedano i precedenti Rapporti CRC: www.gruppocrc.net. 2. l’asColto DEl MINorE IN aMbIto GIuDIzIarIo (art. 12 CoMMa 2 CrC) 27. Alla luce dell’articolo 12 della Convenzione e del Commento generale del Comitato n. 12 (2009) sul diritto dei minori di essere ascoltati, il Comitato raccomanda che l’Italia esegua quanto indicato diseguito: (a) adotti una normativa organica che stabilisca il diritto dei minori di essere ascoltati nelle que- stioni che li riguardano, applicabile in tutti i tribunali, enti amministrativi, istituzioni, scuo- le, enti di assistenza all’infanzia e famiglie, adottando le misure necessarie per consentire l’ascolto diretto delle opinioni dei minori e, contemporaneamente, prevedendo tutele e meccanismi adeguati per garantire che tale partecipazione possa svolgersi in modo effi- cace e in assenza di manipolazioni o intimida- zioni, con il supporto di opinioni di esperti dei servizi interessati nei casi opportuni; (b) formuli direttive per la nomina di curatori speciali dei minori nei casi di adozione. CRC/C/ITA/CO/3-4 para 27, lett. a) e b) Nel tempo trascorso dalla stesura del 5° Rapporto CRC pubblicato nel 2012, si è evidenziata la tendenza della giurisprudenza a sottolineare l’importanza dell’ascolto del minore in tutte le procedure che lo riguardano ed è aumentata la diffusione fra gli operatori di protocolli che regolano le modalità di ascolto. In particolare, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite34, rifacendosi alla normativa internazionale, alla CRC ed alla Convenzione di Strasburgo35, ha affermato che l’audizione del minore è un adempimento necessario in tutte le procedure che lo riguardano, e che l’eventuale mancanza di tale adempimento costituisce violazione del principio del contraddittorio e come tale sanziona- bile in tutti i gradi di giudizio. Tale principio, chiaramente affermato dalla giurisprudenza, ha trovato recentemente una esplicita conferma a livello legislativo nel nuovo art. 315 bis del c.c. introdotto dalla Legge 219/2012 “Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali”. L’art. 315 bis “Diritti e doveri del figlio” intro 34 Cass. Sez. Unite, 21.10.2009. 35 www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_3.wp?detail=y&tabait=y&tab=a &ait=AIT32556&aia=AIA32750. duce un vero e proprio diritto del minore che abbia compiuto i dodici anni o anche di età inferiore, ove capace di discernimento, di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano. Si è quindi previsto un principio generale che va rispettato in tutte le situazioni in cui sia coinvolto il minore, non più solo un dovere dell’autorità giudiziaria, all’interno di una procedura giudiziaria. Il diritto del minore infatti riguarda tutti gli ambiti della sua vita, la famiglia, la scuola e tutte quelle situazioni che lo coinvolgono direttamente, come è previsto dall’art.12 della CRC. Per quanto riguarda l’esercizio delle modalità di ascolto del minore in campo giudiziario, sussiste tuttora una forte disomogeneità, stante la tendenza da parte dei Tribunali per i Minorenni a far ascoltare il minore dai giudici onorari, con preparazione quindi specifica, e da parte dei Tribunali Ordinari dai giudici togati. Sempre in merito all’ascolto del minorenne, una recente sentenza della Cassazione36 in tema di permesso di soggiorno, ha stabilito che l’obbligo di tener conto delle opinioni del minore in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo riguarda preveda che il minore possa essere ascoltato non solo direttamente, ma anche tramite un rappresentante o un organo appropriato. Nella fattispecie concreta, si è ritenuto che il minore di soli quattro anni avesse legittimamente manifestato la propria volontà tramite il genitore, suo rappresentante. Sempre la Legge 219/2012 all’art. 2 i) ha previsto un’ampia delega al Governo, affinché vengano disciplinate le modalità di esercizio del diritto di ascolto del minore che abbia adeguata capacità di discernimento. La prima parte della norma si riferisce in generale all’ascolto che si attua in campi diversi dallo stretto ambito giudiziario; successivamente, la norma precisa che ove l’ascolto sia previsto nell’ambito di procedimenti giurisdizionali, a questo provveda il presidente del Tribunale o il Giudice delegato. Questa previsione crea una grave limitazione rispetto a quanto attualmente avviene soprattutto nei Tribunali per i Minorenni, in quanto avendo la Legge attribuito la compe 36 Cass. 3 maggio 2012 n. 6694, in Famiglia e diritto, 2, 2013, pag.155. tenza di quasi tutti i procedimenti civili minorili, ad esclusione dei procedimenti de potestate e di adozione, ai Tribunali ordinari, in cui rimane esclusa la componente onoraria, ne deriva che il minore verrà sempre sentito all’interno del procedimento da un giudice togato, per giunta non specializzato, dato che non è disciplinata la specializzazione né dei magistrati addetti ai Tribunali ordinari, né degli avvocati. Permane quindi un’altra grave diversità fra organi giudiziari che si occupano dei procedimenti minorili, che dovrà essere superata con una organica riforma di tutta la materia. Infine, e nonostante le previsioni del PNI, nulla è stato fatto riguardo al ruolo del difensore/ curatore speciale del minore e alla necessaria specializzazione per svolgere questo ruolo. Pertanto il Gruppo CRC raccomanda: 1. Al Ministero della Giustizia – Diparti- mento per la Giustizia Minorile, l’avvio di corsi di formazione specifici per i cu- ratori speciali e l’elaborazione di linee guida nazionali sia per ciò che riguarda l’azione dei curatori/avvocati del minore, sia per ciò che riguarda le modalità di ascolto del minore in ambito giudiziario; 2. Al Governo, in sede di attuazione della delega ricevuta ex Legge 219/2012, di prevedere una disciplina dell’ascolto in ambito giudiziario che renda effettivo il diritto alla partecipazione del minore ai procedimenti che lo riguardano, aven- do cura che le modalità garantiscano al minore ascoltato in ambito giudiziario la massima serenità e libertà di parola. Capitolo III DIrIttI CIvIlI E lIbErtà 1. DIrItto rEGIstrazIoNE E CIttaDINaNza 28. Il Comitato ONU è preoccupato delle restrizio- ni legali e pratiche rispetto al diritto dei minori di origine straniera di essere registrati alla nascita. In particolare il Comitato esprime preoccupazione di come la L. 94/2009 sulla pubblica sicurezza renda obbligatorio per i non cittadini mostrare il permes- so di soggiorno per gli atti inerenti il registro civile. 29. Il Comitato, richiamando l’accettazione da par- te dello Stato italiano della Raccomandazione n.40 durante l’Universal Periodic Review al fine di attua- re la L.91/1992 sulla cittadinanza italiana in modo da preservare i diritti di tutti i minorenni che vivono in Italia, raccomanda all’Italia: a) di assicurare che l’impegno sia onorato tramite la legge e facilitarlo nella pratica in relazione alla registrazione alla nascita di tutti i bambini nati e cresciuti in Italia; b) di intraprendere una campagna di sensibiliz- zazione sul diritto di tutti i bambini ad essere registrati alla nascita, indipendentemente dall’e- strazione sociale ed etnica e dallo status sog- giornante dei genitori; c) facilitare l’accesso alla cittadinanza per i bambini che potrebbero altrimenti essere apolidi. CRC/C/ITA/CO/3-4 punti 28 e 29 Come già riportato nel 5° Rapporto CRC1, l’effettiva applicazione del diritto di registrazione per i figli di genitori stranieri in situazione irregolare rischia di essere fortemente limitata a seguito dell’introduzione del reato di ingresso e soggiorno illegale2 previsto dalla Legge 94/2009. Tale norma ed il conseguente obbligo di denuncia3 per i pubblici ufficiali rappresenta un deterrente per quei genitori che, trovandosi in situazione irregolare, non si presentano agli uffici anagrafici per la registrazione del figlio per paura di essere identificati ed eventualmente espulsi4. Sebbene non vi siano dati certi sull’entità del fenomeno, 1 Si veda 5° Rapporto CRC, pag. 36. 2 Art. 1 comma 16 Legge 94/2009. 3 Codice penale artt. 361 e 362. 4 La legge stabilisce infatti, anche per gli atti di stato civile quali la dichiarazione di nascita e il riconoscimento del figlio naturale, l’obbligo di presentare il permesso di soggiorno. Art. 1 comma 22 lett. G, Legge 94/2009. le stime più recenti sulla presenza di immigrati in situazione irregolare5 fanno supporre che vi possa essere un numero significativo di gestanti in situazione irregolare che potrebbero, per paura di essere identificate, non accedere alle cure ospedaliere ed alla registrazione anagrafica del figlio. Rispetto a questa tematica si deve nuovamente sottolineare come non sia stato sufficientemente pubblicizzato il contenuto della Circolare del 7 agosto 2009 del Ministero dell’Interno, dove si specifica che non è necessario esibire documenti inerenti al soggiorno per attività riguardanti le dichiarazioni di nascita e di riconoscimento di filiazione (registro di nascita – dello stato civile). La raccomandazione del Comitato ONU in cui si incoraggia il Governo ad intraprendere una diffusa campagna di sensibilizzazione sul tema rimane ancora disattesa6. Per quanto riguarda l’accesso alla cittadinanza per i minori stranieri nati in Italia o arrivati sul territorio da bambini, il principio ispiratore dell’attuale Legge sulla cittadinanza 91/1992 è lo jus sanguinis, ovvero il diritto di acquisire la cittadinanza se uno dei genitori è italiano; la norma prevede che il minore nato in Italia da cittadini stranieri possa divenire cittadino italiano a condizione che vi abbia risieduto legalmente e ininterrottamente7 fino al raggiungimento della maggiore età e dichiari, entro un anno da questo, di voler acquisire la cit 5 Secondo il quarto Rapporto dello European Migration Network, l’immigrazione irregolare è stimabile attorno al 10% dei quasi 5 milioni di cittadini stranieri regolarmente presenti in Italia. 6 L’invito a garantire universalmente la registrazione alla nascita, rimuovendo eventuali ostacoli alla registrazione dei bambini migranti e a garantire a tutti i minorenni coinvolti nei processi migratori eguale accesso, rispetto ai bambini cittadini di un Paese, ai diritti economici, sociali e culturali e ai servizi di base a prescindere dal loro stato migratorio o da quello dei loro genitori trova spazio anche nelle raccomandazioni rivolte agli Stati dal Comitato ONU sui diritti dell’infanzia a conclusione della Giornata annuale di discussione generale dedicata al tema “I diritti di tutti i minorenni nel contesto delle migrazioni internazionali” tenutasi nel 2012. Per maggiori informazioni www.gruppocrc.net/Days-of-General-Discussion 7 Il Regolamento di attuazione della Legge 91/1992 – d.p.r. 572/1993, ha declinato il concetto di “residenza legale” nel senso di condizionare l’acquisto dello status alla titolarità sin dalla nascita del permesso di soggiorno e della correlata iscrizione anagrafica. Sia la dottrina che la giurisprudenza hanno censurato detta declinazione, spostando l’attenzione dalla doppia regolarità all’effettività della presenza sul territorio nazionale del minore straniero. Corte d’Appello di Napoli 26.4.2012 n. 1486 (in Diritto, immigrazione e cittadinanza n. 2/2012, pag. 119 e ss.); Corte d’Appello di Firenze 15.7.2011 (in Diritto, immigrazione e cittadinanza n. 3/2011, pag. 118 e ss.); Tribunale di Reggio Emilia 31.1.2013 in www.asgi.it (notizie del 26.2.2013). tadinanza italiana (art. 4, co. 2). Può però spesso accadere che i neo maggiorenni di origine straniera, non essendo a conoscenza di tale limite temporale, non presentino la domanda in tempo, perdendo così la possibilità di riconoscimento di questo diritto8. L’eccessiva rigidità della norma, solo in parte stemperata dalle due successive Circolari del Ministero dell’Interno del 2002 e 20079, esclude di fatto dalla possibilità di accesso alla cittadinanza molti minorenni di seconda generazione, nati e vissuti in Italia ma che non posseggono le caratteristiche richieste di residenza legale e continuativa. Inoltre, la Legge 91/1992 non contempla nessuna disposizione di acquisto della cittadinanza nel caso dei minori, figli di genitori stranieri, arrivati in Italia da piccoli. Per loro, una volta divenuti maggiorenni, non è prevista la possibilità di acquisizione della cittadinanza, se non attraverso i canali già previsti per gli adulti (10 anni di residenza o matrimonio). Un ulteriore profilo di incoerenza della Legge 91/1992 riguarda la possibilità per il minore straniero di “seguire” la cittadinanza del genitore straniero che diventi cittadino italiano. In tal caso il figlio minore diventa cittadino italiano solo se convive con il genitore che ha acquistato lo status civitatis italiano; la convivenza è comprovata, secondo gli Uffici comunali, solo con la residenza anagrafica. In tal modo, tuttavia, non si tiene conto dell’effettivo legame del figlio con il genitore, il quale può, ad esempio, essere separato dall’altro genitore ma avere un rapporto stretto con il figlio, oppure vivere lontano per ragioni di lavoro, ecc. 8 A questo proposito si può citare l’esperienza positiva della campagna “18 anni in Comune”, promossa e realizzata da Save the Children assieme all’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI), con l’obiettivo di sollecitare il maggior numero di Sindaci ad informare tempestivamente i neo maggiorenni nati in Italia da genitori stranieri, sulle modalità di acquisizione della cittadinanza al compimento della maggiore età. 9 La circolare del Ministero dell’Interno del 7 Novembre del 2002, n. 22, precisa che l’iscrizione anagrafica tardiva del minore non è pregiudizievole ai fini dell’acquisto della cittadinanza, ove vi sia una documentazione che dimostri l’effettiva presenza nel nostro Paese. La circolare del Ministero dell’Interno K.60.1 del 5 gennaio 2007 precisa che brevi viaggi per motivi familiari, di studio o di lavoro, qualora opportunamente documentati e sempre che l’aspirante cittadino abbia mantenuto in Italia la propria residenza legale nonché il centro delle proprie relazioni familiari e sociali, non devono essere pregiudizievoli per l’acquisizione della cittadinanza da parte del minore. In questi casi, il genitore non può trasmettere la cittadinanza al figlio. Evidente è l’irragionevolezza di una simile disposizione, che crea una discriminazione e una incolpevole penalizzazione del figlio che non vive con il genitore separato divenuto cittadino italiano. Un ultimo aspetto di criticità della Legge 91/1992, riguarda l’ostacolo derivante dall’impossibilità di effettuare il giuramento richiesto per l’attribuzione della cittadinanza da parte di persone di minore età affette da qualsiasi tipo di patologia che limita la capacità di intendere e di volere10. In questi casi, lo straniero non vien ritenuto idoneo ad effettuare il giuramento e dunque ad accedere alla cittadinanza italiana, in quanto considerato inidoneo a manifestare autonomamente la propria volontà. Il diritto alla cittadinanza rientra tra i diritti personalissimi della persona, per cui l’intenzione di acquisirla o rinunciarci può essere espressa solo dal diretto interessato e si ritiene che nemmeno un procuratore legale possa sostituirsi all’interessato per esprimere detta volontà, nel caso l’aspirante alla cittadinanza italiana abbia tali caratteristiche. Se da un lato la legislazione mostra tutte le criticità elencate sopra, dall’altro, e questo rende ancora più urgente una riforma legislativa sul tema, le statistiche indicano una presenza sempre più radicata di minori nati sul territorio italiano da genitori stranieri. Secondo i più recenti dati ISTAT11, al 1° gennaio 2012 erano regolarmente presenti in Italia 3.637.724 cittadini non comunitari. Tra questi i minori non comuni 10 In questi ultimi mesi la stampa, ad esempio, ha riportato due casi di giovani di origine straniera affetti dalla sindrome di Down che non hanno potuto accedere alla cittadinanza proprio per l’impossibilità di eseguire il giuramento. I casi sono quelli di Angelica, nata in Italia da genitori peruviani e Christian, un giovane di mamma colombiana e padre italiano ma da cui non è stato riconosciuto. L’ultimo caso è stato seguito dai legali della Ledha (Lega per i diritti delle persone con disabilità), che ha presentato ricorso indicando come questo divieto contrasta con la Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità, ratificata dal Governo italiano nel 2009. L’articolo 18 della Convenzione stabilisce che il diritto alla cittadinanza non può essere negato per motivi legati alla disabilità. A seguito dell’attenzione dedicata dalla stampa a questi casi, il Ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri ha mostrato interessamento alla questione e garantito che le richieste per l’acquisizione della cittadinanza saranno “valutate nel modo più appropriato possibile”, e che “la sindrome di Down non risulta preclusiva alla concessione della cittadinanza”. Cfr. http://www. unicef.it/doc/4555/sindrome-down-cittadinanza-discriminazione.htm. 11 ISTAT, “I cittadini non comunitari regolarmente soggiornanti, 20112012”. tari rappresentano il 23,9% degli stranieri non comunitari regolarmente soggiornanti, mentre nel 2011 essi costituivano il 21,5%. I minori di 18 anni nati nel nostro Paese sono ormai più di 500 mila, poco meno del 60% del totale. Ancora più significativi i dati sulla presenza di minori stranieri nelle scuole. Nel 2011/2012 erano iscritti nel sistema scolastico nazionale 755.939 alunni di cittadinanza non italiana, il che equivale al 8,4% del totale della popolazione scolastica12. I dati confermano che cresce il numero degli alunni con cittadinanza non italiana nati in Italia; nell’a.s. 2011/2012 gli alunni stranieri nati in Italia erano 334.284 e rappresentavano il 44,2 % sul totale degli alunni con cittadinanza non italiana13. Di fronte a tali cambiamenti sociali e culturali, indotti dalla presenza di comunità immigrate stanziali nella società italiana, la normativa sull’accesso alla cittadinanza è rimasta ancorata ad un modello anacronistico14. Negli ultimi anni sono state promosse dalla società civile varie iniziative per sensibilizzare l’opinione pubblica e promuovere una riforma che da troppi anni attende di essere attuata15. Tra queste, si può ricordare la prassi ormai diffusa in molti Comuni di concedere la cittadinanza onoraria ai giovani di seconda generazione16. Anche se ovviamente priva di qualsiasi 12 Ministero dell’ Istruzione, dell’Università e della Ricerca e Fondazione ISMU: “Alunni con cittadinanza non italiana. Approfondimenti e analisi. A.s. 2011/2012”, marzo 2013. 13 Per maggiori approfondimenti si veda oltre capitolo VI, paragrafo“Il diritto all’istruzione per i minori stranieri”: 14 L’emergere del riconoscimento del diritto di cittadinanza alle cosiddette seconde generazioni come una priorità all’interno della società civile italiana sembra trovare conferma in una recente indagine dell’ISTAT, secondo cui il 72,1% degli intervistati è favorevole al riconoscimento alla nascita della cittadinanza italiana ai figli nati in Italia di genitori non cittadini. Cfr. ISTAT “I migranti visti dai cittadini”, 11 luglio 2012. 15 Estremamente significativa è stata la Campagna “L’Italia sono anch’io”, promossa nel 2012 da varie ONG italiane e patrocinata dal Comune di Reggio Emilia, nell’ambito della quale sono state raccolte centinaia di migliaia di firme per la presentazione di una proposta di legge popolare di riforma della Legge n. 91/1992 (oltre che per l’estensione del diritto di voto degli stranieri nelle elezioni amministrative). 16 Si registra la forte adesione delle amministrazioni locali a questo tipo di iniziativa. Il Comitato italiano per l’UNICEF nell’ambito della Campagna “IO come TU” per la non discriminazione e i diritti di cittadinanza dei minorenni di origine straniera, ha registrato il conferimento della cittadinanza onoraria ai minorenni di origine straniera di 166 Comuni e la deliberazione di altre 108 amministrazioni locali in questo senso; sempre secondo gli stessi dati sono circa 29.625 i bambini e le bambine cui è stata effettivamente conferita la cittadinanza onoraria. valenza giuridica, l’attribuzione della cittadinanza onoraria a questi giovani ha un grande valore simbolico di cambiamento. Alla luce di tali considerazioni il Gruppo CRC raccomanda: 1. Al Parlamento di attuare una riforma le- gislativa che garantisca il diritto alla re- gistrazione per tutti i minori, indipenden- temente dalla situazione amministrativa dei genitori; 2. Al Parlamento di attuare una riforma della Legge 91/1992 che garantisca per- corsi agevolati di acquisizione della cit- tadinanza italiana per i minori stranieri nati in Italia e per i minori arrivati nel nostro Paese in tenera età; 3. All’ISTAT di raccogliere e rendere pub- blici i dati sulle cittadinanze concesse dai Comuni ai neo maggiorenni di origi- ne straniera nati in Italia. 2. Il DIrItto DElla PartorIENtE a DECIDErE IN MErIto al rICoNosCIMENto DEl ProPrIo Nato ED Il DIrItto DEl MINorE all’IDENtItà Tra le gestanti vi è una fascia particolarmente vulnerabile, costituita da coloro che vivono situazioni di grave emarginazione, sovente giovani o giovanissime e che necessitano di supporti non solo sanitari (a livello consultoriale o ospedaliero) ma anche socio-assistenziali prima, durante e dopo il parto. Tali supporti assistenziali sono necessari in quanto queste donne possono trovarsi in gravi emergenze (ad es. perdita o mancanza di lavoro e/o della casa, mancanza di reddito, ecc.) che non riescono ad affrontare da sole e vanno prese in carico dai Servizi. Va segnalato che il Regio decreto–legge n.798 del 1927, convertito in Legge 2838/1928, concernente l’ordinamento del servizio di assistenza dei fanciulli illegittimi, abbandonati o esposti all’abbandono, disponeva che fossero le amministrazioni provinciali ad assistere i minori, figli di ignoti e quelli nati fuori dal matrimonio riconosciuti dalla madre e in condizioni di disagio socio-economico. La Legge 328/2000, “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”17, all’art. 8, comma 5, ha attribuito alle Regioni il compito di disciplinare il trasferimento ai Comuni o ad altri Enti Locali delle funzioni di cui al Regio Decreto citato. Alle Regioni compete quindi, in base alla stessa Legge, di definire il passaggio ai Comuni o ad altri Enti Locali delle risorse umane, finanziarie e patrimoniali occorrenti per l’esercizio delle funzioni suddette. A tutt’oggi ci sono Regioni che non hanno ancora legiferato in materia ed altre (es. Lombardia ed Emilia-Romagna)18 che lo hanno fatto, attribuendo però a tutti i Comuni tali competenze, non tenendo conto della complessità e varietà delle problematiche coinvolte. Spesso le partorienti necessitano di interventi specifici, altamente specializzati, legati alla loro difficile condizione19, che i piccoli Comuni non sono in grado di garantire. Inoltre, accanto a gestanti che hanno deciso di riconoscere il loro nato e prendersene cura, potendo contare sul supporto dei servizi socio-assistenziali del proprio territorio e degli interventi sopra richiamati, ci sono anche donne incerte, che non sanno se riconoscere il figlio o meno, e altre ancora che hanno già deciso di non riconoscerlo, avvalendosi del diritto alla segretezza del parto20. Infine ci sono donne 17 Per leggere il testo integrale, si vedawww.parlamento.it/parlam/ leggi/00328l.htm. 18 Lombardia Legge Regionale 1/2000, “Riordino del sistema delle autonomie in Lombardia. Attuazione del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 un Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dallo Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59” e Legge Regione Emilia Romagna 2/ 2003, “Norme per la promozione della cittadinanza sociale e per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” e successive modifiche. 19 Si segnala una rilevazione effettuata nel 2012 dall’Anfaa sull’attuazione della all’art. 8, comma 5 della Legge 328/2000. Una sintesi della rilevazione è disponibile sul sito www.anfaa.it. 20 La legge in vigore in Italia disciplina la materia attribuendo alcuni importanti diritti alla donna e tutelando comunque il diritto del minore: la donna ha il diritto di riconoscere o meno il neonato come figlio; il diritto alla segretezza del parto deve essere garantito da tutti i servizi sanitari e sociali coinvolti; il Tribunale per i Minorenni può disporre la sospensione dello stato di adottabilità per un periodo massimo di due mesi, su richiesta di chi afferma di essere uno dei genitori biologici; se il neonato non può essere riconosciuto perché il o i genitori hanno meno di 16 anni, l’adottabilità può essere rinviata anche d’ufficio dal Tribunale per i Minorenni fino al compimento dei 16 anni di almeno uno dei genitori; un’ulteriore sospensione di due mesi può essere concessa al compimento del 16° anno di età dallo stesso Tribunale per i Minorenni. La sospensione per 60 giorni può anche essere esplicitamente richiesta dalla partoriente previa richiesta al Tribunale per i Minorenni per particolari e gravi motivi e mantenendo una continuità di relazione con il bambino. che, non conoscendo il loro diritto di partorire in anonimato, non accedono ai servizi preposti. È importante offrire alla gestante la possibilità anticipata di riflettere e decidere con serenità ed autonomia, avendo a disposizione le informazioni necessarie sugli aiuti cui ha diritto, sia se decide di riconoscere il proprio figlio sia se decide di partorire in anonimato. La riservatezza è un elemento fondamentale da tutelare per garantire la vita del nascituro e per rassicurare le donne. Questa riservatezza viene a mancare se la gestante, che è ancora incerta o che ha già deciso di non riconoscere il proprio nato, è costretta a rivolgersi ai servizi del proprio territorio, dove potrebbe essere riconosciuta. Nella passata legislatura sono state presentate proposte di legge21 che si ispirano alla positiva Legge 16/2006 della Regione Piemonte22 e prevedevano che fossero le Regioni ad individuare alcuni Comuni (singoli o associati) cui attribuire le competenze relative agli interventi socio-assistenziali nei confronti di queste gestanti, interventi che devono essere forniti su semplice richiesta dell’interessata, indipendentemente dalla sua residenza anagrafica (quindi possono accedervi anche le donne extracomunitarie senza permesso di soggiorno, secondo quanto raccomandato dal Gruppo CRC23). Purtroppo, l’iter legislativo non si è concluso, nonostante l’impegno dei parlamentari proponenti e del Presidente della Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati24. Sempre a proposito del diritto alla segretezza del parto, la Corte europea dei Diritti dell’Uomo25 si è pronunciata a favore della richiesta di accesso all’identità della madre biologica da 21 Proposte di Legge n. 1266 del Consiglio regionale del Piemonte e la n. 3303 dell’On. Lucà ed altri. 22 Per il testo integrale, si veda http://arianna.consiglioregionale.pie- monte.it/ariaint/TESTO?LAYOUT=PRESENTAZIONE&TIPODOC=LEGGI&L EGGE=016&LEGGEANNO=2006 23 Si veda 2° Rapporto Supplementare CRC, pag.49. 24 Un forte richiamo ad un maggior impegno delle Istituzioni è venuto dal convegno nazionale organizzato dall’Anfaa, dall’Associazione promozione sociale e dalla rivista Prospettive assistenziali “Mai più sole: le esigenze e i diritti delle gestanti e madri con gravi difficoltà personali e familiari e dei loro nati. La prevenzione degli abbandoni e degli infanticidi”, tenutosi il 10 ottobre 2011 a Roma, nella Sala delle Conferenze della Camera dei Deputati di Palazzo Marini. La sintesi dei lavori è stata pubblicata sul n. 2/2002 della rivista “Il diritto di famiglia e delle persone”. 25 Cfr. Corte europea dei Diritti dell’Uomo, sentenza del 25 settembre 2012, Godelli c. Italia (ric. n. 33783/09). parte di una donna, non riconosciuta alla nascita, successivamente affiliata. In merito il Governo italiano ha presentato ricorso alla Grande Chambre26 sostenendo che “solo la garanzia di un parto anonimo può indurre una donna a rivolgersi ad una struttura pubblica per portare a termine una gravidanza indesiderata evitando soluzioni più drammatiche quali l’aborto clandestino, l’abbandono nel cassonetto o, addirittura, l’infanticidio”. La richiesta di riesame è stata respinta in data 18 marzo 201327. Si segnalano allarmanti e frequenti ritrovamenti di neonati gettati nei cassonetti o uccisi28, anche se gli unici dati disponibili sul fenomeno dei bambini non riconosciuti alla nascita sono quelli forniti dal Dipartimento giustizia Minorile29 sulle adozioni: al 31 dicembre 2011, su 1.251 minori dichiarati adottabili, erano 359 quelli “con genitori ignoti”. Il Gruppo CRC raccomanda pertanto: 1. Al Parlamento l’approvazione di una Leg- ge che preveda la realizzazione, da parte delle Regioni, di almeno uno o più servizi specializzati, realizzati dagli enti gesto- ri delle prestazioni socio assistenziali, in grado di fornire alle gestanti, indipenden- temente dalla loro residenza anagrafica e cittadinanza, le prestazioni e i supporti necessari affinché possano assumere con- sapevolmente e libere da condizionamen- ti sociali e/o familiari le decisioni circa il riconoscimento o il non riconoscimento dei loro nati; 26 Disponibile sul sito www.camera.it. 27 Si veda www.governo.it/presidenza/contenzioso/. 28 A questo proposito, si segnala il recente richiamo del Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza dell’Emilia Romagna, che ha rilevato l’importanza di “una costante, capillare, chiara, multilingue informazione [sul fatto] che la gestante anche straniera, anche non residente, anche senza permesso di soggiorno, anche clandestina, ha diritto di partorire in pieno anonimato in ospedale, e ha prima ancora diritto di conoscere i suoi diritti, fra cui quello di essere aiutata a decidere liberamente e consapevolmente se riconoscere il bambino come figlio; quello di ricevere supporto socio assistenziale per accudirlo ed allevarlo; quello di permettergli invece di essere rapidamente affidato per adozione a una valida famiglia scelta dal giudice con le procedure di legge”. La Repubblica 23 gennaio 2013, “Tutto quello che ci insegna il pianto di quella piccola”; http://ricerca.repubblica.it/repubblica/ archivio/repubblica/2013/01/23/tutto-quello-che-ci-insegna-il-pianto. html?ref=search. 29 Inviati con lettera del 27/3/2013 al Gruppo CRC dalla Direzione Generale per l’attuazione dei provvedimenti giudiziari – Ufficio III e disponibili sul sito www.giustiziaminorile.it/statistica/. 2. Alla Commissione Stato-Regioni che as- suma le necessarie iniziative per la pie- na attuazione della normativa vigente in materia di riconoscimento e non rico- noscimento dei neonati e di tutela del diritto alla segretezza del parto, per la promozione di campagne informative al riguardo, e l’attivazione di tavoli di lavo- ro multidisciplinari per la realizzazione di percorsi condivisi. 3. Il DIrItto DEl MINorE alla lIbErtà DI PENsIEro, DI CosCIENza E DI rElIGIoNE 31. Il Comitato ONU chiede all’Italia di intensifica- re gli sforzi per garantire nella pratica l’effettivo carattere facoltativo dell’istruzione religiosa e: a) garantire che tutti i genitori degli allievi che fre- quentano le scuole pubbliche siano pienamen- te consapevoli della natura facoltativa dell’i- struzione religiosa, rendendo disponibili le informazioni nelle lingue straniere più diffuse; b) di studiare, identificare e documentare le prassi ottimali riguardanti le alternative all’i- struzione religiosa cattolica e, in base ai ri- sultati ottenuti, di esaminare le alternative didattiche da offrire nell’ambito dei curricula nazionali. CRC/C/ITA/CO/3-4, punto 31 Nel 2010 lo Stato italiano e la Chiesa cattolica hanno avviato la revisione degli accordi del 1985 che regolano all’art. 9, comma 2, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche30 e il 28 giugno 2012 è stata firmata tra il MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) e la CEI (Conferenza Episcopale Italiana) una Nuova Intesa per l’insegnamento della Religione cattolica nelle scuole pubbliche31. Essa fornisce indicazioni sulla didattica, sulle modalità di orga 30 Ratifica ed esecuzione dell’Accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense, dell’11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede, www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:leg ge:1985;121. 31 Decreto del Presidente della Repubblica n. 175in GU n. 242 del 1610- 2012. www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/ originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2012-10-16&atto.codiceRedazionale= 012G0198&elenco30giorni=false nizzazione dell’insegnamento della religione cattolica, sui criteri per la scelta dei libri di testo e sui profili per la qualificazione professionale degli insegnanti di religione. Le novità riguardano soprattutto questo ultimo tema, in quanto si specifica che per accedere all’insegnamento della religione cattolica, dal 2017 i docenti dovranno avere conseguito un master universitario in scienze religiose32. La scelta di avvalersi o meno dell’IRC, operata dai genitori o dagli studenti su richiesta dell’autorità scolastica, ha effetto per l’intero anno scolastico e vale anche per i successivi, nei casi in cui sia prevista l’iscrizione d’ufficio, fermo restando il diritto di modificare la scelta ogni anno. Il MIUR assicura una tempestiva informazione agli interessati. Si sottolinea che non vengono specificate le attività alternative all’IRC, né sono disponibili, da parte del MIUR, riscontri sulla quantità e qualità di quelle finora realizzate. È stata firmata, inoltre, fra MIUR e CEI, una Intesa per l’IRC nel secondo ciclo di istruzione e nei percorsi di istruzione professionale33, onde adeguare l’insegnamento alle modifiche legislative delle scuole avvenute tra il 2005 e il 201234 . La Circolare Ministeriale del 17 dicembre 201235 ha fornito indicazioni per le iscrizioni online per l’anno scolastico 2013-2014. Questa opportunità contribuisce a migliorare l’informazione ai genitori, in quanto l’iscrizione online implica la presentazione delle varie opzioni. Al punto 6, la Circolare fornisce indicazioni circa la facoltà di avvalersi o meno dell’IRC; la scheda allegata (B) dichiara: “La Repubblica 32 Intesa per l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, 30 giugno 2012, www.chiesacattolica.it/pls/cci_new/bd_ Edit_doc.edit_documento?p_id=15878 33 Decreto del Presidente della Repubblica, n. 176, in GU n. 242 del 1610- 2012. www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto /originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2012-10-16&atto.codice Redazionale=012G0198& 34 Le indicazioni per i Licei, gli Istituti Tecnici e gli Istituti Professionali esordiscono tutte con la seguente formula: “L’insegnamento della religione cattolica (Irc) risponde all’esigenza di riconoscere nei percorsi scolastici il valore della cultura religiosa e il contributo che i principi del cattolicesimo offrono alla formazione globale della persona e al patrimonio storico, culturale e civile del popolo italiano. Nel rispetto della legislazione concordataria, l’Irc si colloca nel quadro delle finalità della scuola con una proposta formativa specifica, offerta a tutti coloro che intendano avvalersene”, www.istruzione.it/web/istruzione/ prot7029_12 del 29 ott 2012. 35 CM n. 96, 17 dicembre 2012, www.governo.it/backoffice/allegati/ 68840-7939.pdf. Italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado. Nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori, è garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento. All’atto dell’iscrizione gli studenti o i loro genitori eserciteranno tale diritto, su richiesta dell’autorità scolastica, senza che la loro scelta possa dar e luogo ad alcuna forma di discriminazione”36 . Gli alunni che non si avvalgono dell’IRC possono compilare la scheda C, scegliendo fra le seguenti opzioni: A) Attività didattiche e formative; B) Attività di studio e di ricerca individuali con assistenza di personale docente; C) Libera attività di studio e/o ricerca individuale senza assistenza di personale docente (solo per gli studenti degli istituti di istruzione secondaria di II grado); D) Non frequenza della scuola nelle ore di IRC. Per l’opzione D, cioè l’uscita dalla scuola, è prevista la controfirma del genitore o di chi esercita la patria potestà se l’alunno è minorenne. Per l’opzione A (attività didattiche e formative) gli organi collegiali decideranno quali attività programmare solo ad anno scolastico iniziato, in relazione al numero di studenti che le hanno scelte e alla disponibilità dei docenti. Secondo alcune associazioni, il fatto che al momento della scelta lo studente o la famiglia non abbiano maggiori informazioni sulle attività alternative influirebbe negativamente sulle loro opportunità di scelta37 . Dopo la firma del Protocollo d’intesa fra il MIUR e la CEI del 2012, l’interesse per la que 36 Art. 9.2 dell’Accordo, con protocollo addizionale tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede firmato il 18 febbraio 1984, ratificato con la Legge 121/1985. 37 A questo proposito, si segnala che l’associazione UAAR ha presentato ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) del Lazio contro il MIUR e la Circolare Ministeriale 96 sulle iscrizioni, sostenendo che le modalità previste sono discriminatorie nei confronti degli alunni che non si avvalgono dell’IRC. Il 21 marzo 2013 il TAR ha respinto il ricorso, in quanto “la circostanza che (…) il Ministero attiverebbe tardivamente le attività alternative (…) pare prospettare un pericolo del tutto futuro e incerto”, www.uaar.it/news/2013. stione dei contenuti delle attività alternative si è nuovamente acceso, incentrandosi su quali potrebbero essere quelli che meglio assicurano agli studenti di poter mettere a frutto il tempo a disposizione38. Il 7 marzo 2011, il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha emanato la circolare 2648239, tuttora valida, sul finanziamento delle attività alternative all’IRC; nella nota del Ministero si legge: “poiché a seguito della scelta effettuata dai genitori e dagli alunni, sulla base della normativa vigente, di avvalersi dell’insegnamento delle attività alternative, le stesse costituiscono un servizio strutturale obbligatorio, si ritiene che possano essere pagate a mezzo dei ruoli di spesa fissa”40. Non sono disponibili dati nazionali del MIUR sul numero di studenti che hanno deciso di avvalersi o meno dell’IRC nell’a.s. 2011/12. Tali dati si possono tuttavia rilevare dall’Annuario 2012 pubblicato dalla CEI in collaborazione con l’Osservatorio Socio-Religioso Triveneto41. Da tale pubblicazione si evince che, negli ultimi 19 anni, c’è stato un aumento complessivo dei non avvalenti pari al 4,2%. Infatti la percentuale totale degli studenti che si avvalevano dell’IRC nel 1993/94 corrispondeva al 93,5%, mentre nel 2011/12 il tasso si attesta al 89,3%. Secondo quanto riportato nell’Annuario, occorre tener conto che “la popolazione studentesca ha subito modifiche (…) per la diversa presenza di stranieri appartenenti ad altre religioni”42. Gli studenti che si avvalgono dell’IRC sono comunque la maggioranza, 38 Si segnala in merito che vi sono alcune associazioni che pubblicano ogni anno dei Vademecum IRC. In particolare si fa riferimento all’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti www.uaar.it, Scuola e Costituzione www.scuolaecostituzione.it, Retescuolewww.retescuole. net, www.associazione31ottobre.it, Consulta per la Laicità delle Istituzioni www.torinolaica.it e www.milanolaica.it 39 Si veda www.flcgil.it/leggi-normative/documenti/note-ministeriali/ nota-26482-del-7-marzo-2011-pagamento-attivita-alternative-all-insegnamento- della-religione-cattolica.flc 40 Nota concordata fra MIUR e Ministero dell’Economia e delle Finanze n. 26482/2011 del 7 marzo 2011 cit. 41 Servizio Nazionale per l’Insegnamento della Religione Cattolica, “Insegnamento della Religione Cattolica nelle Scuole Statali Italiane. Annuario 2012. a.s. 2011-2012”, pubblicato nell’agosto 2012 con dati forniti da 203 su 223 diocesi, relativi a 7.064.804 studenti, con una copertura stimata della popolazione scolastica di circa il 90,5%. Disponibile su www.chiesacattolica.it/irc/siti_di_uffici_e_servizi/servizio_ nazionale_per_l_insegnamento_della_religione_cattolica/00036297_ Annuario_IRC_2012.html. 42 Annuario op. cit. pag. 3. anche se in costante diminuzione in tutti gli ordini di scuola. Dal 1993/94 ad oggi, gli studenti della scuola dell’infanzia che si avvalgono dell’IRC sono passati dal 96,6% al 91,6% (-5%), nelle primarie dal 96,3% al 93,1%, nelle secondarie di I grado dal 95,4% al 90,9%, nelle secondarie di II grado dall’88,6% all’83,0% (-5,6%)43. In particolare, nell’ultimo anno dei Licei Pedagogici, che sono l’ordine di scuola che registra il maggior tasso di scelta dell’IRC tra gli studenti, si è passati dal 12,5% al 13,8% di non avvalentisi, mentre nelle altre scuole si è passati addirittura dal 21,2% al 24,1%, ovvero a circa uno studente su quattro. La percentuale di studenti che decidono di non avvalersi dell’IRC è di gran lunga maggiore nelle Regioni del Nord (16,6%), e del Centro Italia (11,7%)44. Le Regioni del Mezzogiorno, soprattutto la Campania, la Basilicata, la Calabria e la Sicilia “si confermano come le più disponibili all’IRC: attualmente se ne avvale il 97,9% degli studenti”45. Per quanto riguarda le attività alternative all’IRC, la prassi di consentire l’uscita dalla scuola si è mantenuta stabilmente maggioritaria, raggiungendo il 47%, sia pure con una lieve flessione di 1,5% nel 2011/1246. Su questa opzione di scelta si rilevano notevoli differenze fra le zone geografiche: nelle Regioni meridionali la quota di uscite dalla scuola è sensibilmente più ridotta rispetto alle altre e prevale lo studio non assistito nella percentuale del 54,6% delle attività alternative. Ovviamente vi sono notevoli divergenze fra le politiche di gestione delle attività alternative nelle scuole di I e II grado, in quanto nelle secondarie di I grado solo il 23,7% degli allievi è autorizzato dai genitori ad uscire anticipatamente, mentre nelle secondarie di II grado si raggiunge il 55,9%. Per quanto riguarda lo studio non assistito si va dal 26,1% delle secondarie di I grado all’80% delle secondarie di II grado47. È da ricordare, peraltro, che l’opzione uscita da scuola (o entrata posticipata) in nessun caso può dare crediti formativi agli studenti. 43 Annuario op. cit. pag. 4. 44 Annuario op. cit. pag. 7. 45 Annuario op. it. pag.8. 46 Annuario op. cit. pag. 11. 47 Annuario op. cit. pag. 12. Si segnala una direttiva diramata dall’Ufficio Scolastico Regionale del Veneto nel settembre 201248, con una circolare esplicativa sull’obbligo per il Collegio docenti di organizzare le attività alternative all’IRC e sulle modalità relative sia alla nomina dei docenti che al pagamento dei loro emolumenti. Permane la difficoltà di parificare gli insegnamenti alternativi all’IRC, anche dal punto di vista curriculare, così come richiesto dalla sentenza del Consiglio di Stato del 201049. Il Gruppo CRC raccomanda: 1. Al Ministero dell’Istruzione, dell’Univer- sità e della Ricerca (MIUR) e agli Uffici Scolastici Regionali (USR) di promuo- vere la realizzazione di valide attività alternative didattiche che contribuisca- no alla formazione culturale e morale dello studente, come richiesto anche dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 2749/10, e di predisporre un adeguato monitoraggio pubblico sull’IRC e sugli insegnamenti alternativi; 2. Agli Uffici Scolastici sia locali che na- zionali di effettuare un costante moni- toraggio sulle difficoltà relative all’IRC, sulle attività alternative all’IRC organiz- zate nelle scuole di ogni ordine e grado e sulla partecipazione degli studenti sia all’IRC sia a tali attività; 3. Al MIUR e agli Uffici Scolastici Regionali (USR) di porre in essere misure idonee a garantire che tutti i genitori e gli alunni, in particolar modo quelli d’origine straniera, siano messi a conoscenza della facoltà di non avvalersi dell’IRC al momento dell’i- scrizione scolastica, attraverso informa- zioni predisposte anche nelle principali lingue straniere più diffuse tra i genitori e gli studenti frequentanti la scuola. 48 Circolare USR Veneto del 21 settembre 2012. 49 Sentenza Consiglio di Stato n. 2749/10 del 7 maggio 2010. 4. Il DIrItto DI assoCIazIoNE In relazione all’art. 15 della CRC, l’ultimo Rapporto governativo affermava che: “l’esercizio dei diritti di associazione e di riunione pacifica non subisce limitazioni particolari quando si tratti di minori. Si tratta di diritti riconosciuti a ogni cittadino, senza distinzioni d’età, salve le necessarie cautele imposte dall’esigenza di tutelare l’incolumità e sicurezza in considerazione dei luoghi in cui si possono manifestare tali forme di libertà e salvi i divieti sanciti dal legislatore”50. Tale affermazione si riferiva anche alla Costituzione, come già espresso nel Rapporto governativo del 200051. Come già sottolineato dal Gruppo CRC52, se è vero che l’art. 18 della Costituzione riconosce la libertà di associazione a tutti i cittadini, l’esercizio concreto di questo diritto, alla luce di altre norme civilistiche del nostro ordinamento, presenta alcuni ostacoli per i cittadini di minore età, cui è riconosciuto il diritto di prendere parte ad associazioni, mentre presenta difficoltà la concreta possibilità di dare vita e “governare” organizzazioni formalmente costituite. Nel nostro ordinamento, infatti, la capacità giuridica53 (idoneità di un soggetto alla titolarità di diritti e di doveri) si acquista con la nascita; la capacità di agire54 (idoneità di un soggetto a compiere validamente atti giuridici che consentano di esercitare da sé o acquisire diritti o di assumere obblighi giuridici) invece si acquista in via generale con il compimento della maggiore età; da ciò deriva il limite, per i soggetti di minore età, a compiere tutti gli atti inerenti la valida costituzione di un’associazione. Ad esempio, l’Atto Costitutivo di un’associazione, quando sottoscritto da soggetti tutti al di sotto 50 Si veda www.gruppocrc.net/IMG/pdf/3_4_rapporto_Governo_convenzione_ Onu_0-3.pdf. 51 Si veda www.gruppocrc.net/IMG/pdf/2_rapporto_onu.pdf. 52 2° Rapporto Supplementare, pag. 52, www.gruppocrc.net/IMG/ pdf/4_DIRITTI_CIVILI_LIBERTA_DI_ASSOCIAZIONE.pdf 53 Art. 1 c.c.: “La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita. I diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all’evento della nascita”. 54 Art. 2 c.c.: “La maggiore età è fissata al compimento del diciottesimo anno. Con la maggiore età si acquista la capacità di compiere tutti gli atti per i quali non sia stabilita una età diversa. Sono salve le leggi speciali che stabiliscono un’età inferiore in materia di capacità a prestare il proprio lavoro. In tal caso il minore è abilitato all’esercizio dei diritti e delle azioni che dipendono dal contratto di lavoro”. dei 18 anni, è “invalido”, in quanto non hanno la capacità di agire. Più precisamente, si tratta di un atto non nullo in sé, ma annullabile in sede giudiziaria. Così come, a norma dell’art. 142555 del Codice Civile, sarebbe annullabile qualsiasi obbligazione contratta in nome e per conto dell’associazione, quale ad esempio la sottoscrizione di contratti, anche di locazione e utenze per le sedi. Analogamente sarebbero invalidi gli atti collegati alla redazione di bilanci (che dovrebbero invece avere validità sia interna verso i soci sia esterna verso EELL e Pubblici Registri istituiti per le associazioni). A tale proposito, basta citare, tra gli altri, gli artt. 3656 e 3857 del Codice Civile, che regolano la materia delle associazioni non riconosciute. Anche se non direttamente esplicitata, è evidente che tutte queste norme presuppongono la capacità di agire in capo a coloro che pongono in essere gli atti giuridici in esse disciplinati, pena l’invalidità di tali atti. Nonostante in astratto possa essere possibile – ma non verosimile – aderire e “gestire” un’associazione senza assunzione di alcuna obbligazione di carattere patrimoniale, rimane il problema della validità del contratto associativo (Statuto), sia verso gli associati sia verso i soggetti terzi. Inoltre, dagli obblighi previsti dalle due leggi di settore che regolano l’associazionismo di volontariato (Legge 266/199158) e l’associazionismo di promozione sociale (Legge 383/200059), per esempio per ciò che concerne la redazione di bilanci, statuti, azioni verso terzi si evince quanto la capacità di agire sia centrale per poter partecipare e creare un’associazione. Quanto sopra, nei fatti, impedisce formalmente la costituzione di associazioni di minorenni, di cui infatti non si ha traccia in Italia, mentre 55 Art. 1425 c.c.: “Il contratto è annullabile se una delle parti era legalmente incapace di contrattare”. 56 Art. 36 c.c. – Ordinamento e amministrazione delle associazioni non riconosciute. “L’ordinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non riconosciute come persone giuridiche sono regolati dagli accordi degli associati. Le dette associazioni possono stare in giudizio nella persona di coloro ai quali, secondo questi accordi, è conferita la presidenza o la direzione”. 57 Art. 38 c.c. – Obbligazioni. “Per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l’associazione, i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune. Delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione”. 58 Testo disponibile su www.volontariato.org/leggequadro.htm. 59 Testo disponibile su www.parlamento.it/leggi/00383l.htm. accade che essi siano riconosciuti come soci di associazioni “governate” da adulti60, oppure che siano riconosciuti come “gruppi informali”, al di fuori del caso specifico delle associazioni studentesche che comunque sono attive nel solo contesto scolastico. Negli ultimi 4 anni non vi sono state quindi variazioni in merito alle Child Led Organisation (CLO), anche se al Commento Generale n. 12 del Comitato ONU sul diritto di partecipazione si sono aggiunti alcuni riferimenti internazionali e ricerche nazionali, quali61: le Raccomandazioni emerse dai lavori dell’incontro internazionale organizzato nel 2009 dal Comitato ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in occasione del 20° anniversario della CRC, in cui si chiede “riconoscimento legale” per le CLO62; la realizzazione, nel 2011, di una ricerca sulla partecipazione degli adolescenti e dei giovani nell’ambito del progetto “Giovani Cittadini per Costituzione” del Ministero della Gioventù63. La ricerca, denominata “FTP: forme in trasformazione della partecipazione64”, ha posto l’accento sull’acquisizione di competenze e “life skills” di ragazzi e giovani a seguito della loro partecipazione ad e in associazioni e gruppi, più o meno formali; i dati ISTAT sulla partecipazione sociale, decennio 1993/201265 che riguardano la fascia 14-17 anni. Dai dati emerge che nel decennio è aumentato l’impegno come volontari dei minorenni, anche se con percentuali molto basse e con la contemporanea diminuzione delle altre tipologie di partecipazione. il Commento Generale n. 17 (Diritto al gioco)66 del marzo 2013, che pone l’accento sulla connessione fra gioco, tempo libero e dirit 60 Es. Arciragazzi, Agesci, Legambiente. 61 Si veda capitolo II, paragrafo “la partecipazione dei bambini e delle bambine, dei ragazzi e delle ragazze (Art. 12, I comma)”. 62 Si veda www2.ohchr.org/english/bodies/crc/docs/20th/RecommendationsCRC20. doc. 63 Progetto realizzato da Arciragazzi Nazionale e ricerca condotta dal CEVAS, con la partecipazione di Agesci e Arci Servizio Civile Nazionale: www.cevas.it/partecipazione-giovani-cittadinanza.html 64 Ricerca disponibile online su www.cevas.it/wordpress/wp-content/ uploads/2011/11/FTP_Report_2011.pdf 65 Si veda http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCCV_PARTECIPSOCIALE. 66 www2.ohchr.org/english/bodies/crc/docs/GC/CRC-C-GC-17_en.doc. 6orapportodiaggiornamento2012-201350 i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italiae l’adolescenza, in coordinamento con i Garanti Nazionale e Regionali Infanzia, di realizzare un monitoraggio ad hoc sull’e- sercizio del diritto di associazione, indivi- duando quelle buone prassi che lo ren- dono applicabile (es. forme di tutoraggio da parte di maggiorenni, associazioni di persone di minore età/maggiorenni, for- me di autogestione di attività in associa- zioni di adulti e adulti/persone di minore età), anche in collaborazione con le reti e organizzazioni di terzo settore e giovanili; 2. Alla Commissione Parlamentare per l’In- fanzia e l’Adolescenza, al Ministero della Gioventù e al Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, per quan- to di loro competenza, di elaborare una strategia, in accordo con la Conferenza delle Regioni atta ad armonizzare i prin- cipi costituzionali con quanto disposto dal codice civile in materia di capacità di agire, anche tenendo conto delle leggi e norme di settore che regolano il diritto di associazione in Italia, al fine di con- sentire la nascita delle Child Led Orga- nisation; 3. All’Osservatorio Nazionale per l’Infan- zia e l’Adolescenza in connessione con il Garante Nazionale, di prevedere per il prossimo Piano Nazionale Infanzia e Adolescenza sia azioni di riforma legisla- tiva/normativa che garantiscano il diritto di associazione, sia azioni di promozione e sperimentazione con le organizzazioni del Terzo Settore che operano nel cam- po educativo di buone prassi, processi e norme regolamentarie interne che favo- riscano la piena partecipazione dei mi- norenni in seno alla propria compagine associativa. Tipologia di azione di partecipazione sociale per l’ISTAT % maschi % totale 1993 2012 1993 2012 Riunioni in associazioni ecologiche, per i diritti civili, per la pace 2,6 2,1 3,3 2.0 Riunioni in associazioni culturali, ricreative o di altro tipo 12,6 6,5 11,7 9,2 Attività gratuita per associazioni di volontariato 5,1 6,7 6,4 9,3 Attività gratuita per associazioni non di volontariato 2,4 2,1 2,4 3,0 Soldi versati per una associazione 7,0 3,5 7,0 4,0 Attività gratuita per un sindacato 0,0 0,3 0,1 0,1 to di associazione di bambini e adolescenti, richiamando per questo il valore dell’amici- zia fra pari e raccomandando agli adulti di provvedere a settings che permettano que- sta fondamentale attività umana. Nel presente Rapporto si intendono sottolineare ancora una volta i limiti normativi al reale go- dimento del diritto di associazione, segnalando la contraddizione fra il dettato costituzionale e l’adozione della CRC da una parte e la norma- tiva civile e di settore dall’altra. Le ricerche e i dati sopra riportati suffragano la tesi che vi sia disponibilità alla partecipazione ad associazioni e che essa comporti esiti positivi nell’educare alla cittadinanza e nell’acquisizione di life-skills, ma indicano anche le bassissime percentuali di attività associativa dei minorenni. Quanto sopra evidenzia l’attualità anche in Italia delle Racco- mandazioni del Commento Generale n. 17 e dei documenti finali del 20° Anniversario CRC, nei quali il diritto di associazione viene inteso come possibilità di costruzione di reti amicali, richia- mando il congruo ruolo pro-attivo degli adulti che devono assicurare anche il “riconoscimento legale” alle CLO. Il Gruppo CRC sottolinea quindi la necessità di potenziare lo studio e analisi dell’argomen- to, per trovare le forme di concreta possibili- tà di esercizio del diritto di associazione; sia formalmente con le CLO, sia prevedendo nelle pianificazioni sociali, dei servizi, urbanistiche, nelle associazioni indicatori di qualità connes- si ai contesti di costruzione e fruizione di reti amicali, anche informali. Pertanto il Gruppo CRC raccomanda: 1. All’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza e al Centro Nazionale di Documentazione e analisi per l’infanzia 50 i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italiae l’adolescenza, in coordinamento con i Garanti Nazionale e Regionali Infanzia, di realizzare un monitoraggio ad hoc sull’e- sercizio del diritto di associazione, indivi- duando quelle buone prassi che lo ren- dono applicabile (es. forme di tutoraggio da parte di maggiorenni, associazioni di persone di minore età/maggiorenni, for- me di autogestione di attività in associa- zioni di adulti e adulti/persone di minore età), anche in collaborazione con le reti e organizzazioni di terzo settore e giovanili; 2. Alla Commissione Parlamentare per l’In- fanzia e l’Adolescenza, al Ministero della Gioventù e al Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, per quan- to di loro competenza, di elaborare una strategia, in accordo con la Conferenza delle Regioni atta ad armonizzare i prin- cipi costituzionali con quanto disposto dal codice civile in materia di capacità di agire, anche tenendo conto delle leggi e norme di settore che regolano il diritto di associazione in Italia, al fine di con- sentire la nascita delle Child Led Orga- nisation; 3. All’Osservatorio Nazionale per l’Infan- zia e l’Adolescenza in connessione con il Garante Nazionale, di prevedere per il prossimo Piano Nazionale Infanzia e Adolescenza sia azioni di riforma legisla- tiva/normativa che garantiscano il diritto di associazione, sia azioni di promozione e sperimentazione con le organizzazioni del Terzo Settore che operano nel cam- po educativo di buone prassi, processi e norme regolamentarie interne che favo- riscano la piena partecipazione dei mi- norenni in seno alla propria compagine associativa. Tipologia di azione di partecipazione sociale per l’ISTAT % maschi % totale 1993 2012 1993 2012 Riunioni in associazioni ecologiche, per i diritti civili, per la pace 2,6 2,1 3,3 2.0 Riunioni in associazioni culturali, ricreative o di altro tipo 12,6 6,5 11,7 9,2 Attività gratuita per associazioni di volontariato 5,1 6,7 6,4 9,3 Attività gratuita per associazioni non di volontariato 2,4 2,1 2,4 3,0 Soldi versati per una associazione 7,0 3,5 7,0 4,0 Attività gratuita per un sindacato 0,0 0,3 0,1 0,1 to di associazione di bambini e adolescenti, richiamando per questo il valore dell’amici- zia fra pari e raccomandando agli adulti di provvedere a settings che permettano que- sta fondamentale attività umana. Nel presente Rapporto si intendono sottolineare ancora una volta i limiti normativi al reale go- dimento del diritto di associazione, segnalando la contraddizione fra il dettato costituzionale e l’adozione della CRC da una parte e la norma- tiva civile e di settore dall’altra. Le ricerche e i dati sopra riportati suffragano la tesi che vi sia disponibilità alla partecipazione ad associazioni e che essa comporti esiti positivi nell’educare alla cittadinanza e nell’acquisizione di life-skills, ma indicano anche le bassissime percentuali di attività associativa dei minorenni. Quanto sopra evidenzia l’attualità anche in Italia delle Racco- mandazioni del Commento Generale n. 17 e dei documenti finali del 20° Anniversario CRC, nei quali il diritto di associazione viene inteso come possibilità di costruzione di reti amicali, richia- mando il congruo ruolo pro-attivo degli adulti che devono assicurare anche il “riconoscimento legale” alle CLO. Il Gruppo CRC sottolinea quindi la necessità di potenziare lo studio e analisi dell’argomen- to, per trovare le forme di concreta possibili- tà di esercizio del diritto di associazione; sia formalmente con le CLO, sia prevedendo nelle pianificazioni sociali, dei servizi, urbanistiche, nelle associazioni indicatori di qualità connes- si ai contesti di costruzione e fruizione di reti amicali, anche informali. Pertanto il Gruppo CRC raccomanda: 1. All’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza e al Centro Nazionale di Documentazione e analisi per l’infanzia 5. Il DIrItto DEl faNCIullo DI NoN EssErE sottoPosto a tortura o a PENE o trattaMENtI CruDElI, INuMaNI o DEGraDaNtI: lE PuNIzIoNI fIsIChE E uMIlIaNtI 34. Il Comitato raccomanda che l’Italia riformi la legislazione nazionale in modo da garantire la proibizione esplicita di tutte le forme di puni- zione fisica in tutti gli ambiti, anche domestici, sulla scorta del commento generale del Comita- to n. 8 (2006) sul diritto dei minori alla prote- zione dalle punizioni fisiche e da altre forme di punizione crudeli o degradanti e del commento generale n. 13 (2011) sul diritto dei minori di non subire violenza sotto qualsiasi forma. 35. Il Comitato raccomanda inoltre che l’Italia diffonda la consapevolezza tra i genitori e il pubblico in generale sull’impatto delle punizioni fisiche sul benessere dei minori e sui validi me- todi di disciplina alternativi, conformi ai diritti dei minori. CRC/C/ITA/CO/3-4, 34 e 35 La CRC afferma che ad ogni bambino, bambina ed adolescente devono essere assicurati, nella massima misura possibile, il diritto alla sopravvivenza e allo sviluppo (art. 6), ad essere protetti da qualsiasi forma di violenza fisica e mentale (art. 19) e che in tutte le decisioni relative ai bambini e agli adolescenti il loro superiore interesse sia una considerazione preminente (art. 3). Le punizioni fisiche e umilianti67 rappresentano una violazione dei diritti dei bambini al rispetto della loro integrità fisica e dignità. Ricorrere a punizioni fisiche e umilianti è contro i principi ed i diritti sanciti dalla CRC. In Italia, come già sottolineato lo scorso anno nel 5° Rapporto del Gruppo CRC68, le punizioni 67 Il Comitato ONU nel Commento Generale n.8 (2008) definisce le punizioni fisiche e umilianti come “qualsiasi punizione per la quale viene utilizzata la forza fisica, allo scopo di infliggere un certo livello di dolore o di afflizione, non importa quanto lieve. Nella maggior parte dei casi consiste nel “colpire”, “picchiare”,“schiaffeggiare”,“sculacciare”) […]. La punizione fisica è in ogni caso degradante. Inoltre ci sono altre forme di punizioni non fisiche che sono altrettanto crudeli e pertanto incompatibili con le disposizioni della Convenzione. Tra queste figurano, per esempio, le punizioni che mirano a denigrare il bambino, umiliarlo, sminuirlo, disprezzarlo, farlo diventare un capro espiatorio, minacciarlo, spaventarlo o schernirlo”. 68 5° Rapporto CRC, pag. 41, www.gruppocrc.net/IMG/pdf/Punizioni_ Corporali.pdf. fisiche sono proibite in ambito scolastico69 e dall’ordinamento penitenziario70, ma non vi è un divieto esplicito in ambito domestico, anche se a partire dal 1996 la Corte di Cassazione, con la c.d. Sentenza Cambria71, ha riconosciuto l’illiceità dell’uso della violenza fisica o psicologica finalizzata a scopi ritenuti educativi72, concetto rafforzato anche da una successiva sentenza della Corte di Cassazione73. Nel 2009, la Suprema Corte74 ha inoltre precisato come “l’abuso del mezzo di correzione […] può commettersi trasmodando nell’impiego di un mezzo lecito, sotto gli aspetti sia della forza fisica esercitata in un singolo gesto punitivo, che della reiterazione del gesto stesso”. Infine, nel 201275, la Cassazione Penale ha sottolineato come “comportamenti del genere, ove si manifestino [...] in percosse reiterate e produttive di lesioni, sono invero estranei ad una finalità correzionale che, come già sottolineato da questa Corte in quanto giustificata nella sua dimensione educativa, vede la violenza quale incompatibile sia con la tutela della dignità del soggetto minorenne che con l’esigenza di un equilibrato sviluppo della personalità dello stesso”. Come già precisato nel 5° Rapporto CRC, intervenire con maggior chiarezza sulla normativa nazionale, introducendo un esplicito divieto delle punizioni corporali ha, tra l’altro, l’effetto 69 Regolamento Scolastico 1928; Cass. Sez. I ord. 2876 del 29/03/1971: “… gli ordinamenti scolastici escludono in maniera assoluta le punizioni consistenti in atti di violenza fisica”. 70 Legge 354/1975 – Norme sull’ordinamento Penitenziario, “che non consente l’impiego della forza fisica nei confronti dei Detenuti…” 71 Suprema Corte di Cassazione – Sezione Sesta Penale – sentenza n.4904/1996. 72 La sentenza ha evidenziato l’inaccettabilità d’interpretazione dell’art. 571 c.p. (abuso dei mezzi di correzione) e dell’art. 572 c.p. (maltrattamenti verso i fanciulli) secondo canoni e contesti socio culturali propri del 1930. Nella sentenza si ribadisce che nell’ordinamento italiano, incentrato sulla Costituzione della Repubblica e qualificato dalle norme in materia di diritto di famiglia (introdotte dalla Legge 151/1975) e dalla CRC, il termine correzione, utilizzato dall’art. 571 c.p., va assunto come sinonimo di educazione, con riferimento ai connotati intrinsecamente conformativi di ogni processo educativo. Per approfondimenti si veda 5° Rapporto di aggiornamento 2011-2012. I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, pag. 41. Disponibile a questo link: www.gruppocrc.net/IMG/pdf/Punizioni_Corporali.pdf. 73 Sentenza della Corte di Cassazione n.16491/2005. 74 Sentenza della suprema Corte n. 2100/2009. 75 Sentenza n. 45859 del 23-11-2012. di un forte deterrente su tali comportamenti76. Oltre all’introduzione del divieto – richiesto non solo dal Comitato ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (Osservazioni Conclusive del 2003 e del 2011), ma anche da altri organismi internazionali di tutela dei diritti umani, quali il Consiglio d’Europa77, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite78 e, nell’ambito della Universal Periodic Rewiew delle Nazioni Unite79, – per poter compiere il cambiamento culturale necessario affinché tutti i bambini siano protetti da qualsiasi forma di violenza è necessario supportare i genitori80 e sensibilizzare l’opinione pubblica. In Italia, l’utilizzo di punizioni fisiche e umilianti come metodo educativo per la crescita dei propri figli è culturalmente tollerato ed accettato. Come già precedentemente segnalato nel 5° Rapporto CRC, secondo una ricerca svolta nel 201281, oltre un quarto dei genitori italiani – il 27% – ricorre più o meno di frequente allo schiaffo con i propri figli ed un quarto di loro ritiene che lo schiaffo sia un metodo educativo efficace, anche se il 52% dei genitori intervistati dichiara che “lo schiaffo è solo uno sfogo per i genitori” e che dopo aver dato uno schiaffo si sente amareggiato. Tra le principali motivazioni che spingono allo schiaffo, vengono citate “l’esasperazione, lo spavento, la rea76 Per esempio, in Svezia il 14,1% dei genitori dichiara di aver schiaffeggiato i propri figli, mentre in Francia, dove le punizioni fisiche non sono vietate, il 71,5% dei genitori le utilizza ancora. Dati elaborati nell’ambito della ricerca: “The Effect of Banning Corporal Punishment in Europe: A Five-Nation Comparison”, ottobre 2009. Bussmann, K. D 77 www.coe.int/aboutcoe/index.asp?page=nosActions&sp=3#action3. Il Consiglio d’Europa nel giugno 2008 ha lanciato a Zagabria una campagna contro le punizioni corporali, per ottenerne l’abolizione e promuovere una genitorialità positiva in tutti i 47 Stati membri. 78 Studio del Segretario Generale ONU sulla violenza contro i bambini (2006). Disponibili al link. www.unicef.it/doc/2780/pubblicazioni/ rapporto-onu-sulla-violenza-sui-bambini.htm. 79 Procedura di valutazione periodica dei progressi riguardanti la difesa e la promozione dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, 18 marzo 2010, A/HRC/14/4, Report of the working group, para. 84(38); 31 maggio 2010, A/HRC/14/4/Add.1, Report of the working group: Addendum. Per maggiori informazioni si veda www.gruppocrc.net/Altre-attivita. 80 Si segnala che nel 2011 Save the Children Italia ha lanciato la Campagna di sensibilizzazione “A MANI FERME. Per dire NO alle punizioni fisiche contro i bambini” nell’ambito della quale sono stati realizzati dei materiali informativi tra cui la “Guida pratica alla genitorialità positiva. Come costruire un buon rapporto genitori – figli” e dei leaflet per genitori. Tutti i materiali sono disponibili al link, www.savethechildren. it/amaniferme. 81 “I metodi educativi e il ricorso a punizioni fisiche”, ricerca di Save the Children Italia condotta da IPSOS, marzo 2012, disponibile al link http://images.savethechildren.it/f/download/ri/ricercaipsosamaniferme. pdf. zione di un momento”, e “il voler segnalare in modo inequivocabile che si è superato un limite estremo”. Il 20% degli intervistati ha dichiarato inoltre di non sapere a chi rivolgersi quando ha bisogno di un aiuto o di un consiglio in merito all’educazione dei propri figli, e la maggioranza (più del 60%) ritiene che sia necessario un maggior sostegno ai genitori. Interessante notare che il primo soggetto “esterno” alla famiglia e alla cerchia di amici che viene consultato è il pediatra di famiglia. Il pediatra è quindi uno dei punti di riferimento dei genitori e diviene essenziale che questo ultimo sia informato e aggiornato su questo tema82. Nel 2012 due associazioni del Gruppo CRC83 hanno condotto un’indagine conoscitiva tra i pediatri italiani84, per comprendere il loro punto di vista in merito all’uso delle punizioni fisiche da parte dei genitori. Dall’indagine è emerso che l’81,2% dei pediatri intervistati considera le punizioni fisiche come una forma di violenza; che il 64,3% dei pediatri viene interpellato spesso dai genitori per avere consigli su come educare i propri figli e che il 48% dei pediatri intervistati ha assistito a un litigio tra genitori e figli che si è chiuso con una sculacciata/schiaffo. Importante sottolineare che il 90,7 % dei pediatri si è dichiarato disponibile a sensibilizzare i genitori dei propri pazienti sull’importanza di utilizzare metodi educativi che non prevedano l’uso di punizioni fisiche o altre punizioni umilianti. Dai dati emersi dal Sondaggio IPSOS del 2012 e dall’indagine tra i pediatri, si evince che purtroppo in Italia l’uso delle punizioni fisiche come metodo educativo è ancora tollerato, e che sono i genitori stessi a chiedere sostegno e consigli in merito all’educazione dei propri figli, rivolgendosi ai pediatri ed ai professionisti. Secondo l’Iniziativa Globale End All Corporal Punishment of Children, nel mondo attualmente sono 33 i Paesi che hanno vietato le punizioni fisiche in tutti i contesti, compreso quello familiare. In Europa sono 23 i Paesi che le hanno espressamente vietate, a partire dalla Svezia – 82 Save the Children, “I metodi educativi e il ricorso a punizioni fisiche”, op. cit. 83 Save the Children Italia e Società Italiana di Pediatria – SIP. 84 “Le punizioni fisiche in ambito familiari. Cosa ne pensano i pediatri”, disponibile al link http://images.savethechildren.it/f/download/ra/ rapportopediatripunizioni.pdf. Save the Children Italia Onlus primo Paese ad introdurre il divieto nel 1979 – fino alla Polonia che l’ha introdotto nel 201085. In Italia, nonostante la giurisprudenza di merito e di legittimità insistano sull’illiceità delle punizioni fisiche, nulla è cambiato in ambito normativo. Tale vulnus non è secondario, poiché la difficoltà di individuare una fattispecie giuridica adatta a questi atteggiamenti determina spesso i Tribunali territoriali all’applicazione di istituti giuridici diversi per contenuto e disposizione punitiva86. Il Gruppo CRC reitera quanto già prece- dentemente raccomandato: 1. Al Parlamento di intraprendere una ri- forma normativa che introduca il divieto esplicito di punizioni fisiche e altri com- portamenti umilianti e degradanti nei confronti delle persone di minore età anche in ambito domestico; 2. Al Dipartimento Pari Opportunità di in- traprendere una campagna di sensibi- lizzazione a supporto della genitorialità positiva e contro l’uso delle punizioni fisiche come metodo educativo; 3. Al Ministero della Sanità, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Mini- stero per l’Istruzione, l’Università e la Ricerca di elaborare programmi e ma- teriali per la formazione degli operatori del settore (pediatri, insegnanti, assi- stenti sociali, educatori) per supportare i genitori e incentivarli all’uso di modelli educativi positivi. 6. Il DIrItto DEl faNCIullo DI NoN EssErE sottoPosto a tortura o a PENE o trattaMENtI CruDElI, INuMaNI o DEGraDaNtI: MutIlazIoNI GENItalI fEMMINIlI In base alla definizione fornita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nel termine “Mutilazioni genitali femminili” rientrano tutte le procedure che comportano la rimozione in 85 Si veda www.endcorporalpunishment.org/pages/pdfs/reports/Europe% 20Report%20web.pdf. 86 Il riferimento è all’art. 572 c.p., che sanziona i maltrattamenti in famiglia. tenzionale, parziale o totale, dei genitali femminili esterni o altra lesione ai genitali femminili dovuta a ragioni non mediche87. Per quanto sia difficile quantificare l’entità del fenomeno, si stima siano, nel mondo, dai 100 ai 140 milioni le donne e bambine sottoposte a MGF e, in particolare, che le bambine a rischio siano, ogni anno, circa 3 milioni88. Il dato stimato in Europa è di 500.000 donne e bambine che convivono con le conseguenze derivanti dalle MGF e ulteriori 180.000 a rischio di essere sottoposte alla pratica ogni anno89. Guardando alla dimensione del fenomeno in Italia, dopo le stime del Ministero della Salute (2008, 3944 bambine a rischio) e del Ministero per le Pari Opportunità (2009, 1100 minori a rischio) entrambe descritte in modo dettagliato nel precedente Rapporto CRC90, la stima più recente delle minori a rischio è del 2011, fornita da un’associazione del Gruppo CRC91: 7.727 bambine92, di cui il 67% riguarda bambine nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria, dai tre ai dieci anni93. Un successivo dato è presente nel documento d’Intesa Stato- Regioni del 6 dicembre 201294: nel calcolo di ripartizione delle risorse si fa menzione di una popolazione femminile di 48.915 unità (età 0-17), proveniente da Paesi nei quali la pratica è diffusa e soggiornante al 1 gennaio 201295. 87 WHO, “Fact sheet n.241 on Female genital mutilation”, aggiornato al febbraio 2013: http://www.who.int/mediacentre/factsheets/fs241/en/ index.html. 88 UNICEF Innocenti Insight, “The dinamycs of social change towards the abandonement of FGM/C in five African Countries”, 2011. 89 Amnesty International, “Ending Female Genital Mutilation. A Strategy for the European Union Institutions”, Executive Summary, 2010. 90 www.gruppocrc.net/IMG/pdf/5o_Rapporto_di_aggiornamento__ Gruppo_CRC.pdf, p.45. 91 La stima è stata prodotta dalla Fondazione L’Albero della Vita nella pubblicazione “Il Diritto di Essere Bambine. Dossier sulle Mutilazioni Genitali Femminili”, dicembre 2011, curata con l’ Associazione Nosotras e Fondazione Patrizio Paoletti. Il dossier è scaricabile all’indirizzo www.alberodellavita.org/pubblicazioni.html 92 Al dato originario fornito dal MIUR di 25.203 bambine e ragazze provenienti da Paesi a rischio MGF iscritte nelle scuole italiane di ogni ordine e grado nell’anno scolastico 2010-2011, è stato applicato lo stesso tasso di diffusione delle pratiche MGF che si riscontra in patria (11.038 minori) e poi sottratto lo scarto generazionale medio del 30%, giungendo così alla stima di 7.727 bambine a rischio. 93 Il dato non è inclusivo di bambine sotto i 3 anni, di ragazze che hanno interrotto gli studi al termine della scuola dell’obbligo, nonché di alunne di alcuni piccoli comuni italiani. 94 Il testo dell’Intesa è scaricabile dal portale del Dipartimento Pari opportunità: www.pariopportunita.gov.it/index.php/component/content/ article/87-attivita/2257-intesa-per-la-promozione-di-interventi-contro- le-mutilazioni-genitali-femminili. 95 Ibidem (pag. 12). Tale dato se sottoposto all’applicazione del tasso di diffusione delle pratiche MGF che si riscontra in patria (in media circa il 50%) e allo scarto generazionale medio del 30%, ci mostra uno scenario di minori a rischio circa due volte più ampio del dato più recente96. L’età in cui la pratica viene eseguita varia a seconda del luogo e del gruppo etnico di appartenenza, ma avviene quasi sempre quando il soggetto è ancora una bambina. Trattandosi di una pratica appartenente al retaggio culturale di intere popolazioni, il suo abbandono può avvenire solo tramite un cambiamento sociale che passi attraverso la presa di coscienza dell’inutilità e dei danni che tale intervento provoca sulla vita delle bambine. Le MGF sono state riconosciute come una grave violazione dei diritti fondamentali della persona, della sua integrità e della sua salute psico-fisica anche in occasione della 57° Commissione sullo status delle donne97. Nel corso del 2012, sono stati compiuti passi significativi a favore della lotta contro le MGF, a partire dalla dimensione europea. La risoluzione congiunta del Parlamento europeo del 14 giugno 201298 sull’abolizione delle MGF rivolge un appello agli Stati membri dell’UE e all’Assemblea Generale dell’ONU, chiedendo di rispettare gli obblighi assunti internazionalmente per porre fine alle MGF attraverso misure di prevenzione, protezione e di natura legislativa e ribadendo la stringente necessità di inserire sistematicamente la lotta alle MGF in quella contro la violenza di genere e la violenza nei confronti delle donne99. A livello internazionale, il 20 dicembre 2012, la 67esima Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato la risoluzione di messa al bando universale delle mutilazioni genitali fem 96 Vedere note relative alla stima 2011 poco sopra. 97 Commissione sullo status delle donne, 4-15 Marzo 2013, conclusioni condivise “L’eliminazione e prevenzione rispetto a ogni forma di violenza nei confronti delle donne e delle ragazze”: www.un.org/womenwatch/ daw/csw/csw57/CSW57_agreed_conclusions_advance_unedited_ version_18_March_2013.pdf. 98 www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?type=TA&reference= P7-TA-2012-0261&language=IT&ring=P7-RC-2012-0304. 99 Ibidem. minili100. Negli ultimi 10 anni, l’Italia è stata in prima linea in questa lunga lotta: insieme ad alcune organizzazioni non governative si è fatta promotrice all’ONU di diverse iniziative101 e ne ha fortemente supportato l’adozione facilitando la negoziazione e la discussione in seno all’Assemblea Generale102. Nel contesto italiano l’impegno delle istituzioni, concretizzatosi con l’adozione della Legge 7/2006 in materia di “Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile”103, i cui sviluppi trovano descrizione nel precedente Rapporto CRC104, è proseguito nel 2012 sia sul fronte delle MGF che su temi strettamente connessi a questa pratica. Con riferimento a questi, si evidenzia che il Consiglio dei Ministri105 ha adottato il Disegno di Legge di ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (c.d. Convenzione di Istanbul), nonché si è giunti alla ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale (c.d. Convenzione di Lanzarote)106. In relazione al reato di pratiche di MGF, la Convenzione di Lanzarote ha introdotto la pena accessoria della perdita della potestà genitoriale e l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla cu 100La risoluzione esorta gli Stati membri dell’ONU a intraprendere “tutte le misure necessarie” per proibirle e proteggere “le donne e le ragazze da questa forma di violenza, mettendo fine all’impunità”, Press Conference on Adoption of General Assembly Resolution on Global Efforts to Eliminate Female Genital Mutilation: www.un.org/News/ briefings/docs/2012/121220_FGM.doc.htm. 101 Si ricordino l’impegno del Ministero degli Affari Esteri italiano, insieme alla Vicepresidente del Senato Emma Bonino, presidente di Non C’è Pace Senza Giustizia da un lato, e l’impegno del Ministro con delega alle Pari Opportunità Elsa Fornero durante i lavori della CSW – Commissione sulla condizione della donna a New York nel mese di marzo 2012 e 2013 (www.lavoro.gov.it/Lavoro/Notizie/20130308_ CSW_57.htm). 102EIGE, “Fact sheet on current situation of FGM in Italy”, March 2013. 103Legge 7/2006, “Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile”, Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, 18 Gennaio 2006. www.camera.it/parlam/ leggi/06007l.htm 104Si veda www.gruppocrc.net/IMG/pdf/5o_Rapporto_di_aggiorna- mento__Gruppo_CRC.pdf p. 12 105L’11 Dicembre 2012 il Consiglio dei Ministri ha approvato il ddl di ratifica su proposta del Ministro degli Esteri Giulio Terzi e del Ministro del Lavoro e Politiche Sociali con delega alle Pari Opportunità Elsa Fornero. 106Si veda anche oltre Capitolo VII, paragrafo “La Pedopornografia”. ratela e all’amministrazione di sostegno107. Sul fronte MGF, il 6 dicembre 2012, la Conferenza Stato-Regioni ha siglato l’intesa concernente il sistema di interventi da sviluppare per la prevenzione e il contrasto del fenomeno delle MGF (art. 3, comma 1, Legge 7/2006). Queste le sue tre specifiche finalità: la predisposizione di modelli di intervento innovativi e sperimentali, finalizzati all’attuazione di una strategia di sistema nazionale volta a favorire la prevenzione del fenomeno MGF e l’integrazione sociale di donne e minori vittime o potenziali vittime di tali pratiche; la realizzazione di corsi di formazione e aggiornamento specifici mirati a coloro che operano su questo tema o in ambiti connessi, per la facilitazione delle relazioni tra le istituzioni e le comunità migranti interessate dal fenomeno; promozione di attività informative e di sensibilizzazione108. Saranno le Regioni, quali affidatarie delle risorse, a implementare le progettualità, in virtù dell’approfondita e ravvicinata conoscenza del territorio, mentre al Dipartimento Pari Opportunità spetta l’attività di coordinamento e monitoraggio di quest’ultime attraverso un Comitato Tecnico atto a favorire sinergie tra le diverse istituzioni coinvolte e a valutare i programmi attuativi presentati dalle Regioni. In questo documento di intesa109 va letto l’orientamento dell’azione del Governo italiano in materia di MGF (i contenuti dell’intesa traggono spunto dalle linee di intervento del secondo Piano Programmatico110); in esso, le raccomandazioni del precedente Rapporto CRC possono 107Nel 2011, durante il percorso parlamentare di ratifica della Convenzione di Lanzarote, l’UNICEF insieme ad altre Associazioni ha manifestato pubblicamente la sua preoccupazione per il provvedimento che estendeva al reato di MGF pene accessorie ulteriormente dannose per le bambine, chiedendo che la loro applicazione non fosse automatica ma da valutare caso per caso con l’ausilio di figure specializzate. 108Gli stanziamenti per questa intesa sono di 3 milioni di euro. Il testo è scaricabile dal portale del Dipartimento Pari Opportunità: www. pariopportunita.gov.it/index.php/component/content/article/87-attivita/ 2257-intesa-per-la-promozione-di-interventi-contro-le-mutilazionigenitali- femminili. 109In occasione della giornata internazionale contro le MGF il 6 febbraio 2013 sono state illustrate le finalità e le modalità di attuazione di questo documento d’Intesa durante una convegno organizzato dal Dipartimento Pari Opportuntità: www.pariopportunita.gov.it/index.php/ primo-piano/2248-giornata-internazionale-contro-le-mutilazioni-genitali- femminili. 110 Secondo Piano Programmatico delle priorità di intervento nazionali di prevenzione e contrasto delle MGF, redatto nel primo semestre 2011. trovare un primo livello di riscontro. Si auspica che i modelli d’intervento a cui si fa riferimento possano contenere la programmazione di protocolli operativi di prevenzione delle MGF, come raccomandato, e che oltre a prevedere positivamente la creazione di reti per massimizzare l’efficacia degli interventi e il lavoro con le famiglie e le comunità, si dedichi attenzione anche all’educazione al diritto delle nuove generazioni di bambine e ragazze provenienti da Paesi a rischio MGF. Nel documento si rileva che sono state previste attività di sensibilizzazione socio-culturale delle famiglie di origine straniera residenti in Italia, sul rispetto dei diritti umani e del diritto inalienabile della persona alla sua integrità fisica, pur non facendo riferimento in modo specifico alle minori a rischio. La scuola è correttamente indicata tra i contesti nell’ambito dei quali entrare in contatto con donne e bambine migranti, per cui i docenti rappresentano un target a cui garantire formazione-informazione sui diritti fondamentali delle bambine. Ora spetta alle Regioni cogliere al meglio le opportunità di questa Intesa, facendo in modo che le attività di prevenzione a favore delle minori a rischio siano previste e realizzate in tutte le Regioni, allargando il proprio campo di azione dall’ambito socio-sanitario111 a tutti i principali contesti di incontro con le bambine e le loro famiglie. I contenuti dell’intesa fanno ben sperare che si stia passando da un’attenzione prevalente alla riparazione del danno ad un’ottica di prevenzione, soprattutto verso le minori a rischio, e alla trattazione del fenomeno nel rispetto della tutela dei diritti fondamentali delle bambine. Pertanto il Gruppo CRC raccomanda: 1. Alle Regioni, di interpretare e realizzare l’Intesa con programmi attuativi di pre- venzione nell’interesse superiore delle bambine a rischio. In essi è importante prevedere simultaneamente: l’educazio- ne generale ai diritti fondamentali delle bambine e delle ragazze nelle scuole, 111 Che deve continuare a ricoprire un ruolo centrale nella prevenzione, per esempio attraverso il canale dei pediatri (di famiglia ed ospedalieri), che attraverso una rete capillare di assistenza forniscono un rilevante osservatorio e possono sensibilizzare le famiglie dei loro assistiti. programmi di sensibilizzazione al tema e ai diritti delle minori, con le loro fa- miglie, le comunità migranti, e chiunque abbia in carico un minorenne; la forma- zione degli operatori nei diversi conte- sti a contatto con le bambine a rischio. Importanti sono altresì, all’interno degli interventi, i protocolli operativi di pre- venzione nei quali si svolga un lavoro coordinato tra tutte le parti coinvolte; 2. Al Dipartimento Pari Opportunità e ai Ministeri, attraverso gli organi di coor- dinamento interministeriali, di vigilare affinché le finalità multidimensionali di prevenzione dell’intesa siano rispecchia- te nei programmi attuativi delle Regioni nell’interesse superiore delle bambine a rischio e dei loro diritti fondamentali; 3. Alle Regioni, al Dipartimento Pari Op- portunità e ai Ministeri coinvolti, di pri- vilegiare i programmi di prevenzione che assicurino risorse umane adeguatamen- te formate; di prevedere inoltre il moni- toraggio delle azioni previste nonché un meccanismo sistematico e puntuale di raccolta dati in materia di MGF a livello territoriale. programmi di sensibilizzazione al tema e ai diritti delle minori, con le loro fa- miglie, le comunità migranti, e chiunque abbia in carico un minorenne; la forma- zione degli operatori nei diversi conte- sti a contatto con le bambine a rischio. Importanti sono altresì, all’interno degli interventi, i protocolli operativi di pre- venzione nei quali si svolga un lavoro coordinato tra tutte le parti coinvolte; 2. Al Dipartimento Pari Opportunità e ai Ministeri, attraverso gli organi di coor- dinamento interministeriali, di vigilare affinché le finalità multidimensionali di prevenzione dell’intesa siano rispecchia- te nei programmi attuativi delle Regioni nell’interesse superiore delle bambine a rischio e dei loro diritti fondamentali; 3. Alle Regioni, al Dipartimento Pari Op- portunità e ai Ministeri coinvolti, di pri- vilegiare i programmi di prevenzione che assicurino risorse umane adeguatamen- te formate; di prevedere inoltre il moni- toraggio delle azioni previste nonché un meccanismo sistematico e puntuale di raccolta dati in materia di MGF a livello territoriale. Capitolo Iv aMbIENtE faMIlIarE E MIsurE altErNatIvE 1. I fIGlI DI GENItorI DEtENutI 56. Il Comitato raccomanda che l’Italia proceda a uno studio sulla situazione relativa ai diritti dei bambini con genitori detenuti a vivere in un am- biente familiare al fine di garantire relazioni per- sonali, servizi adeguati e un sostegno appropriato in armonia con quanto previsto all’articolo 9 della Convenzione. CRC/C/ITA/CO/3-4, 31, punto 56 L’art. 9 della Convenzione ONU, che sancisce la tutela della relazione genitori figli, insieme all’art. 8, che raccomanda che il figlio non debba subire nessuna conseguenza a causa della condizione del genitore, ma soprattutto l’art. 3, che pone l’interesse superiore del bambino come preminente considerazione, rappresentano i principi di riferimento per orientare le decisioni quando viene disposto il carcere ad un genitore, sapendo di coinvolgere in questa decisione il destino di un figlio. I bambini che accedono in carcere in un anno per incontrare il proprio genitore sono circa 100mila1, con una popolazione detenuta che supera le 65mila unità. Sulla base dei principi espressi nella CRC, il sistema penitenziario dovrebbe essere incompatibile con l’infanzia; eppure, è una realtà ben presente nella vita dei bambini che vanno ad incontrare i propri genitori in carcere; anzi, se hanno tra 0 e 6 anni (in alcuni casi fino ai 10), ed il genitore è la propria madre, il carcere può diventare la loro casa. Tale situazione solleva chiaramente dei problemi che richiedono adeguate soluzioni rispetto ai diritti di questi bambini, che rappresentano un gruppo vulnerabile particolarmente a rischio di disagio sociale; è necessario fare in modo che vengano adottati tutti quegli strumenti di inclusione (dalle agenzie sociali del welfare, dalla scuola, dalla società in generale) perché essi non vengano stigmatizzati a causa della loro peculiare condizione. Nei precedenti rapporti è stato dato conto delle leggi a tutela della genitorialità detenuta che Ricerca europea Eurochips-Bambinisenzasbarre aprile 2013 prevedono la misura alternativa al carcere e rendono l’Italia un Paese pilota in Europa. Ma nel monitorare la situazione dobbiamo anche rilevare la difficile applicazione di questa normativa, in quanto il carcere è di gran lunga la misura maggiormente prescritta dai magistrati, nonostante le raccomandazioni contenute nel D.L. 211/20112 e le indicazioni di alcuni operatori di giustizia3. L’orientamento che privilegia il carcere è confermato anche dai dati del Ministero di Giustizia4, che registrano solo 24 detenzioni domiciliari prescritte a padri e madri su 9700 concessioni alternative al carcere. È stato quindi ritenuto fondamentale adeguare il carcere all’accoglienza dei bambini in visita per l’incontro col genitore; il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha diramato una circolare che richiamasse l’attenzione sui bambini e le famiglie in visita, e suggerisse modalità per attenuare lo stato di tensione che i bambini provano nel visitare in carcere i propri genitori5. I contenuti della circolare, però, non hanno trovato ovunque uniforme applicazione; la realtà penitenziaria italiana, su questo come su altri versanti, è quella di un sistema a tante velocità. Nel merito della situazione dei bambini che vivono in carcere con la madre, attualmente in Italia ci sono 16 nidi per bambini in carcere distribuiti nelle varie Regioni, che alla fine del febbraio 2013 accoglievano 45 madri con 47 minori. La riforma introdotta in materia dalla Legge 62/2011 ha costituito un’importante novità. Questa Legge, che sarà pienamente applicabile dal 1 gennaio 2014, era attesa da un decennio, in quanto la normativa precedente (Legge 40/2001), pur innovativa in alcuni suoi aspetti, quali l’introduzione della detenzione domiciliare speciale per 2 Decreto-legge 22 dicembre 2011, n. 211, recante interventi urgenti per il contrasto della tensione detentiva determinata dal sovraffollamento delle carceri. 3 Si veda nota del Procuratore della Repubblica di Milano, in data 15.1.2013 che invita i PM a ricorrere il meno possibile al carcere www. penalecontemporaneo.it/upload/1358524290Provv%20Bruti.pdf 4 I dati in questione sono aggiornati al 28 febbraio 2013. 5 Circolare ministeriale 10 dicembre 2009, PEA 16/2007. Trattamento penitenziario e genitorialità – percorso e permanenza in carcere facilitati per il bambino che deve incontrare il genitore detenuto. le madri con figli fino a 10 anni, necessitava di aggiornamenti. L’istituto della detenzione domiciliare speciale era accessibile a poche donne, perché richiedeva loro requisiti molto restrittivi: non essere recidive, aver scontato un terzo della pena, ma soprattutto la disponibilità di un domicilio. In particolare, fu escluso da questo beneficio il periodo della misura cautelare, impedendo così di intervenire nella fase più delicata per i bambini, quella della carcerazione della madre: i bambini, infatti, si trovavano ad essere improvvisamente separati da lei o la seguivano all’interno del carcere. Con la riforma introdotta dalla Legge 62/2011 viene finalmente inclusa nel beneficio la misura alternativa al carcere sin dal momento dell’arresto. Ma tale misura, che avrebbe consentito ai bambini di non entrare in contatto con le strutture detentive, fu subito ridimensionata dalle eventuali “esigenze cautelari di eccezionale rilevanza”. La legge quindi che avrebbe dovuto far uscire definitivamente i bambini dal carcere, è diventata la legge che consente ai bambini di permanere non più solo sino a 3 anni ma addirittura sino a 6. Le conseguenze di ciò sono state immediate: la Lombardia, prima Regione ad istituire nel 2007 un ICAM – Istituto a Custodia Attenuata per detenute Madri – dopo aver chiuso il nido del Carcere di San Vittore, ha dovuto invertire la rotta, aprendo un nido nella sezione femminile del carcere Bollate6, oltre a quello già esistente presso la Casa Circondariale di Como. Qui devono essere detenute le madri in attesa delle deliberazioni dell’Autorità Giudiziaria circa l’eventuale loro pericolosità e quindi della concessione della misura alternativa o dell’inserimento in struttura attenuata (ICAM), ove possa essere eseguita la misura sostitutiva della custodia cautelare in carcere7, ospitandovi bambini fino ai sei anni, nonché il periodo prodromico alla concessione della detenzione domiciliare speciale8, accogliendo anche bambini fino a dieci anni. Un secondo ICAM è pronto, completo di arre 6 Provveditorato Regionale Amministrazione Penitenziaria, ordine di servizio 7.3.2012. 7 Ai sensi dell’art. 275 comma 4, c.p.p 8 Legge 62/2011, art. 3, 47 quinques dell’Ordinamento Penitenziario. di, ma non ancora funzionante a Venezia. Al di là delle considerazioni e preoccupazioni già espresse sull’opportunità di far vivere i bambini in carcere, emerge in tutta la sua gravità la salvaguardia del loro diritto a frequentare l’asilo comunale esterno e successivamente la scuola materna. Questo è infatti fondamentale per assicurare ai bambini un regolare sviluppo intellettivo ed emotivo e poter essere inseriti un domani nella scuola senza gravi handicap culturali di partenza. Altrettanto fondamentale diventa la questione di chi ha l’incarico di accompagnare i bambini all’esterno, impegno economico e professionale spesso lasciato alla buona volontà del Terzo Settore. Le “esigenze cautelari di grave rilevanza” motivano così non solo la presenza del nido in carcere ma anche la presenza sul territorio di un Carcere attenuato. Va chiarito però che l’adattamento degli ICAM a tali nuove esigenze non risponde affatto allo spirito che avrebbe dovuto guidare la riforma, quello cioè di evitare la permanenza di bambini nelle strutture detentive in cui i genitori scontano la pena. Gli ICAM, infatti, per quanto ‘modellati ed adeguati’ restano delle realtà detentive, vere e proprie sezioni del carcere cui fanno riferimento, gestiti dall’amministrazione penitenziaria. Giova ricordare un ultimo punto: la Legge 62/2011 ha finalmente introdotto l’istituto delle Case Famiglia Protette, realtà del territorio sganciate dal carcere, che dovrebbero accogliere le madri direttamente dalla libertà in misura cautelare e/o in esecuzione penale, decisive per consentire a chi non possiede riferimenti abitativi di evitare definitivamente l’ingresso in carcere, anche se attenuato. In data 8 marzo 2013 il Ministro della Giustizia ha finalmente emanato il decreto che regolamenta le Case Famiglia Protette e i requisiti necessari per le madri che devono accedervi. Per queste madri non devono essere ravvisate le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, il pericolo di fuga o di commissione di ulteriori gravi reati e deve essere constatata la mancanza di un domicilio proprio o l’inadeguatezza di quello indicato. I requisiti delle Case Famiglia Protette, richiamati dal decreto, devono far riferimento ai criteri organizzativi e strutturali specificati dall’art.11 della Legge 328/2000 e dal DPCM 21 maggio 2001 n.308, nonché dalle relative normative regionali in materia. Viene infine affidato agli Enti Locali l’incarico di stipulare convenzioni volte a individuare le strutture idonee sul territorio, senza oneri per lo Stato9. In ultimo, la Legge 62/2011 interviene in alcuni aspetti delicati che riguardano l’assistenza ai figli in caso di malattia o di ricovero in ospedale, velocizzando le procedure e concedendo al direttore dell’Istituto, invece che al magistrato, la facoltà di autorizzarla, pur non arrivando ad assicurare la presenza della madre accanto al figlio in tutte le circostanze in cui il bambino ha bisogno di lei. Un altro aspetto cruciale riguarda le madri migranti extra-comunitarie, in quanto per loro resta invariata l’espulsione automatica a fine pena10. Molte di loro finiscono nei CIE (Centri di identificazione ed espulsione) in attesa del rimpatrio, nonostante abbiano figli minori. Per contrastare questa evenienza drammatica per i minori coinvolti sarebbe auspicabile l’applicazione dell’art. 31 comma 3 della Legge 286/1998 che consentirebbe la permanenza in Italia al fine di garantire l’assistenza al figlio minore. A questo riguardo si accenna ad una sua applicazione che introduce la possibilità di considerare minore non accompagnato il figlio convivente con la madre in carcere senza il permesso di soggiorno. Questo consentirebbe: 1) di attivare un affidamento puramente amministrativo del minore ai servizi sociali; 2) di concedere il permesso di soggiorno al figlio e di agganciare a questa condizione quella della madre al momento del suo rilascio; 3) di dare prova dei “gravi motivi” necessari al Tribunale per i Minorenni per autorizzare l’ingresso o la permanenza del familiare sul territorio italiano. La Legge 62/2011 avrebbe dovuto chiudere definitivamente le porte del carcere alle mamme con i bambini.. Il recente Decreto che regolamenta le Case Famiglia Protette dà a questa prospettiva nuove opportunità. Un decreto at tuativo che definisca le tipologie di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza per consentire l’ampliamento del divieto di applicazione della custodia cautelare in carcere rimane tuttora lo strumento chiarificatore per orientare in senso migliorativo il dispositivo della Legge. Pertanto il Gruppo CRC raccomanda: 1. Al Ministero della Giustizia di emanare il decreto che vieti la custodia cautelare in carcere per le madri (o i padri qualora la fi- gura materna non sia presente) di bambini di età non superiore ai sei anni, preveden- do che questa misura si applichi solo ed esclusivamente nei casi di gravi esigenze cautelari e comunque fino al massimo dei 3 anni di età ed in strutture di detenzione attenuata, come le ICAM, definendo inol- tre le specifiche tipologie delle esigenze cautelari di eccezionale rilevanza; qualora i bambini siano residenti in ICAM (o in carce- re per effetto del citato art. 11 della Legge 354/1997) venga loro sempre garantito il diritto all’asilo esterno; 2. Al Ministero di Giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Ministe- ro della Salute, Ministero Solidarietà sociale, di monitorare in maniera adeguata la situa- zione familiare delle persone detenute, met- tere in luce i servizi attivati e programmare concretamente adeguate politiche di soste- gno prevedendo adeguati finanziamenti a interventi del privato sociale. 3. Al Ministero di Giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e a tut- ti i Provveditorati regionali di adeguare le strutture detentive e l’organizzazione inter- na agli istituti in base a quanto previsto dal Regolamento di esecuzione dell’Ordi- namento penitenziario, Legge 230/2000, in particolare per quanto riguarda gli articoli 37 (colloqui) e 39 (corrispondenza telefo- nica) e di destinare attenzione e risorse ad un’adeguata formazione del personale ad- detto ai colloqui al rispetto dei diritti dei figli delle persone detenute. 9 L’intesa con la Conferenza Stato Città e Autonomie Locali che è alla base di questo accordo, come previsto dall’art. 4, comma 1 della Legge 62/2011, è stata firmata in data 7 febbraio 2013. 10 Ex art.14 della Legge 189/2002 (Bossi Fini) 2. MINorI PrIvI DI uN aMbIENtE faMIlIarE 40. Il Comitato raccomanda che l’Italia, nell’am- bito delle sue competenze, garantisca un’appli- cazione efficace ed equa della legge 149/2001 in tutte le regioni e che: (a) adotti criteri e standard minimi concordati a livello nazionale per i servizi e l’assistenza relativi a tutte le istituzioni di assistenza al- ternative per i bambini privati di un ambien- te familiare, incluse le “strutture residenziali” quali le comunità di tipo familiare; (b) garantisca il monitoraggio indipendente, a opera di istituzioni pertinenti, del collocamen- to di tutti i bambini privati di un ambiente familiare e definisca procedure di responsabi- lità per le persone che ricevono sovvenzioni pubbliche per ospitare tali bambini; (c) proceda a un’indagine generale su tutti i bambini privati di un ambiente familiare e crei un registro nazionale di tali bambini; (d) modifichi il Testo Unico sull’immigrazione per specificare esplicitamente il diritto al ricon- giungimento familiare e la relativa applica- zione a tutti gli stranieri aventi tale diritto, incluse le famiglie che si sono formate in Italia; (e) garantisca in maniera appropriata la scelta, la formazione e la supervisione delle famiglie affidatarie e fornisca loro sostegno e condi- zioni finanziarie adeguate; (f) tenga conto delle Linee Guida in materia di accoglienza etero-familiare allegate alla riso- luzione dell’Assemblea generale delle Nazio- ni Unite 64/142. CRC/C/ITA/CO/3-4, punto 40 L’attuale sistema sociale italiano, caratterizzato dalla persistente assenza di livelli essenziali delle prestazioni per garantire l’esigibilità dei diritti civili e sociali (art. 117 della Costituzione) e contestualmente dal progressivo impoverimento sia culturale che di investimento di risorse umane ed economiche, mette fortemente in discussione il “diritto di ogni minorenne a crescere in una famiglia”11. In particolare, l’attuale sistema di welfare italiano evidenzia un grave disinvestimento nell’ambito delle politiche e degli interventi di sostegno, accompagnamento e riattivazione della famiglia d’origine (affinchè i bambini possano vivere 11 Per approfondimento si veda anche Capitolo I, paragrafo “Risorse destinate all’infanzia e all’adolescenza”. prima di tutto nella loro famiglia) a causa dei tagli nei servizi tutela dell’ente pubblico (continua contrazione degli organici degli operatori sociali) e contestualmente determina la progressiva riduzione degli interventi di prevenzione, di cura della comunità locale, di implementazione della coesione e delle reti sociali, causando di fatto interventi tardivi, spesso emergenziali e segnati da grave disagio socio-relazionale la cui “presa in carico” avviene quasi esclusivamente a seguito di un provvedimento del Tribunale per i Minorenni. Si sottolinea, inoltre, la situazione di abbandono istituzionale che attualmente coinvolge i ragazzi e ragazze neomaggiorenni (in affidamento familiare o in comunità di accoglienza), tenuto conto della dismissione di ogni intervento di accompagnamento alla crescita (anche a causa del minor ricorso da parte del TM alla misura del “prosieguo amministrativo”). Si segnalano altresì, i tempi eccessivamente lunghi dell’Autorità Giudiziaria minorile nell’assunzione delle decisioni e dei provvedimenti a tutela del superiore interesse del minorenne, e la mancanza di dati sui minori fuori famiglia (sui quali sono periodicamente diffuse solo delle stime) oltre alla mancata diffusione dei dati sui minori adottabili, nonostante la formale creazione della banca dati dei minori adottabili e delle coppie disponibili all’adozione con provvedimento del Capo Dipartimento per la Giustizia Minorile del 15 febbraio 2013 in applicazione della Legge 149/2001 art.40. I paragrafi a seguire pertanto trattano istituti diversi (ed in parte tra loro complementari) quali l’affidamento familiare, l’adozione nazionale ed internazionale, la comunità di accoglienza evidenziandone criticamente le caratteristiche specifiche. I. affidamenti familiari Nel novembre 2012 è stata presentata la sintesi delle prime risultanze della ricerca “Bambine e bambini temporaneamente fuori dalla famiglia d’origine”12, da cui risulta che al 31/12/2010 era 12 Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, “Bambine e bambini temporaneamente fuori dalla famiglia di origine. Affidamenti familiari e collocamenti in comunità al 31 dicembre 2010. Sintesi delle prime risultanze”, in Quaderni della ricerca sociale n. 19/2012. no affidati 14.528 minori, di cui il 45% a parenti ed il restante 55% a terzi; quelli inseriti in comunità erano 14.781. Da rilevare inoltre che dopo il consistente aumento degli affidi dal 1999 al 200813, negli ultimi due anni il dato non è aumentato, anzi ha subito una flessione del 4,4%. I dati citati continuano comunque ad essere basati su mere stime14. Si evidenzia quindi l’esigenza della raccolta di dati effettivi a livello nazionale, così come sottolineato sia nelle raccomandazioni del Comitato ONU che nel documento conclusivo della Indagine conoscitiva sull’attuazione della normativa in materia di adozione e affido condotta dalla Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza15. Va evidenziato che tra il 31/12/2008 e il 31/12/2010 si è assistito ad una riduzione del numero dei minori fuori famiglia di circa 1.400 unità (passaggio dai 30.700 del 2008 ai 29mila del 2010), pari al 4,6%. La differenza, seppur di minima entità, indica una riduzione del numero di minori allontanati, ma dovremmo chiederci se si tratti di una “riduzione del bisogno” (indicante una migliore capacità di prevenzione degli allontanamenti e un migliore stato di salute delle famiglie di origine) o se, invece, siano i primi segnali di una ridotta capacità di tutela (causata dalla progressiva contrazione delle risorse impiegate nel welfare) che lascerebbe non protetto un crescente numero di bambini e ragazzi”16. Di difficile spiegazione è anche il divario esistente fra i dati sopra indicati e quelli forniti dal Dipartimento della Giustizia minorile17: infatti secondo il Dipartimento erano solo 427 gli affidamenti disposti dai Tribunali per i Mi 13 Erano 10.200 al 31/12/1999; 12.551 al 31/12/2005 e 15.200 al 31/12/2008. 14 La Legge 184/1983 e s.m. non prevede la raccolta dei dati sui minori in affidamento e non tutti i provvedimenti di affidamento sono basati su pronunce dei Tribunali per i minorenni, visto che in caso di affido consensuale la stessa legge prevede che la misura sia disposta direttamente da servizi socio assistenziali degli Enti Locali. Per tale ragione non esiste un monitoraggio costante ed esaustivo a livello nazionale. 15 Testo approvato dalla Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza in data 22 gennaio 2013 e disponibile su www.camera. it/_dati/leg16/lavori/stenbic/36/2013/0122/INTERO.pdf 16 Dal documento”Riflessione sulla situazione dei minori in affidamento o in comunità in Italia” del Tavolo nazionale Affido, disponibile sul sito www.tavolonazionaleaffido.it 17 Dati forniti con lettera del 27/3/2013 al Gruppo CRC dalla Direzione Generale per l’attuazione dei provvedimenti giudiziari – Ufficio III e disponibili sul sito: www.giustiziaminorile.it/statistica/ norenni nel 2010 e 432 nel 2011; quelli consensuali, resi esecutivi dai giudici tutelari, erano invece 1913 nel 2010 e 1925 nel 2012. Anche se si considera che si tratta di nuovi affidamenti, che vanno ad aggiungersi a quelli disposti negli anni precedenti, non si riesce a dare di questi dati una lettura “compatibile” con gli altri, tenuto anche conto dell’elevatissima percentuale di affidamenti consensuali. Nel 2010 risultavano consensuali18 solo il 24% del totale degli affidi familiari. Era giudiziale il 69% degli affidamenti a terzi e il 32% di quelli a parenti. Alcuni dati dell’indagine, inoltre, sembrano far emergere la carenza di interventi di sostegno e supporto all’affido da parte del servizio sociale pubblico, fondamentali invece per la natura stessa dell’intervento. Solo il 74% dei minori affidati, infatti, ha un piano educativo individualizzato (PEI), contro il 98% dei minori in comunità. Solo nel 74% dei casi di affido familiare il servizio sociale pubblico ha potuto mettere in campo specifiche attività di supporto ai genitori. Rileviamo inoltre che solo una minoranza dei servizi sociali è specializzata nell’affido – il 46% – mentre la maggior parte svolge questa attività in comune con altri compiti di servizio sociale, con grosse differenze a livello regionale. Anche i Garanti regionali per l’infanzia e l’adolescenza hanno “rilevato lo scarso impegno di molti Comuni nel predisporre uffici dedicati a questo istituto, nonché nel realizzare campagne di sensibilizzazione nei confronti delle famiglie, che pure potrebbero favorirne la diffusione. Anche sul piano del supporto finanziario, molti Comuni tuttora non prevedono un contributo per le famiglie affidatarie, circostanza che ovviamente limita le possibilità per le famiglie potenzialmente interessate a concretizzare la propria scelta”19. I dati sugli affidamenti sono stati sovente sommati agli inserimenti in comunità e accorpati sotto la definizione di Bambini e ragazzi temporaneamente fuori famiglia: questa commistione è confusiva e non consente un’analisi ragionata dei dati stessi. 18 Quaderno della ricerca sociale n. 19/2012, op. cit. 19 Indagine conoscitiva Commissione Parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza, op. cit., pag. 512. Da questa indagine, emerge un quadro assai preoccupante, come evidenziato anche dal Tavolo Nazionale Affido20, che rileva le seguenti criticità: la rilevante frammentarietà dei percorsi dei minori, la cui situazione è preoccupante in quanto “per circa il 40% dei bambini e dei ragazzi accolti non è la prima esperienza di accoglienza; infatti, di questi il 7% si trovava presso parenti, amici o conoscenti; proveniva invece da altre collocazioni protette quasi il 53% dei bambini:il 14% viveva con altra famiglia affidataria, circa l’11% in struttura residenziale, l’1% in struttura residenziale sanitaria e analoga percentuale in un istituto penale minorile, un 3% risultava senza fissa dimora (in parte assorbe anche minori stranieri non accompagnati), il restante proveniva da collocazioni eterofamiliari diversificate21”.Il 26% (fino ad arrivare al 50% in alcune Regioni) degli affidamenti ed inserimenti in comunità è disposto sulla base di provvedimenti d’urgenza ai sensi dell’art.403 c.c, dato che evidenzia la difficoltà di progettazione da parte dei servizi, dovuta spesso anche a carenze di risorse. Si rischia quindi di operare sulle situazioni che “esplodono”, attivando interventi di “emergenza”, quindi sovente improvvisati che, in assenza di azioni preventive, finiscono spesso con il diventare “tardo-riparativi”. Il 48% dei minori è da più di due anni affidato o in comunità. A ciò si aggiunge che un terzo dei minori “fuori famiglia” non ha più alcun contatto con il padre e 20 Ne fanno parte: Ai.Bi. (Associazione Amici dei Bambini), ANFAA (Associazione Nazionale Famiglie Adottive e Affidatarie), Ass. Comunità Papa Giovanni XXIII, Ass. Famiglie per l’Accoglienza, CAM (Centro Ausiliario per i problemi minorili – Milano), Batya (Associazione per l’Accoglienza, l’Affidamento e l’Adozione), CNCA (Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza), Coordinamento Affido Roma (Coordinamento degli Organismi del Privato Sociale iscritti all’albo per l’affido del Comune di Roma), COREMI – FVG (Coordinamento Regionale Tutela Minori del Friuli Venezia Giulia), Progetto Famiglia (Federazione di enti no-profit per i minori e la famiglia), Ubi Minor (Coordinamento per la tutela dei diritti dei bambini e dei ragazzi – Toscana). Sul piano propositivo si rinvia anche al documento “Misure regionali di tutela del diritto dei minori a crescere in famiglia”, del suddetto Tavolo, nato dalla esigenza“di invocare una corale e significativa attivazione delle amministrazioni regionali d’Italia nella tutela del diritto di bambini e dei ragazzi a crescere in una famiglia”. Si veda il sito www.tavolonazionaleaffido. it 21 Dal documento “ Riflessioni sulla situazione dei minori in affidamento o in comunità in Italia” op. cit. che il 16% perde anche quello con la madre”22. Nel novembre 2012 sono state presentate le Linee nazionali di indirizzo per l’affidamento familiare predisposte dalla Cabina di Regia23 del progetto nazionale “Un percorso nell’affido”24, per promuovere lo sviluppo qualitativo e quantitativo degli affidamenti. Nel Rapporto di monitoraggio del III Piano Nazionale Infanzia, diffuso nel febbraio 2013, nell’azione relativa alla Promozione dell’affidamento familiare e potenziamento dei servizi dedicati25 alcune delle criticità rilevate sono: “-la complessiva scarsità anche quantitativa delle progettualità collocabili in questo ambito; -gli scarsi investimenti generalmente effettuati sia sul versante della prevenzione primaria che secondaria che terziaria, che lasciano comunque intravvedere uno sbilanciamento verso gli interventi effettuati nell’ambito della prevenzione primaria quali gli interventi di educativa domiciliare, i centri socio-educativi territoriali ecc., che non permettono di segnalare nessuna ricaduta reale rispetto al tema specifico della prevenzione degli allontanamenti; I punti di forza che emergono dalle esperienze realizzate sono: “- produzione di linee guida sull’affidamento e protocolli operativi; -formazione degli operatori come tentativo di rispondere all’esigenza di individuare linguaggi e contesti condivisi e di restituire visibilità e documentazione al lavoro sociale; -integrazione e coordinamento dei servizi e sperimentazione di forme di collaborazione 22 Documento cit. del Tavolo Nazionale Affido: “È importante anche sottolineare le motivazioni che hanno portato all’allontanamento dei minori: il 37% dei bambini è stato allontanato per inadeguatezza genitoriale, il 9% per problemi di dipendenza di uno o entrambi i genitori, l’8% per problemi di relazioni nella famiglia, il 7% per maltrattamenti e incuria e il 6%, infine, per problemi sanitari di uno o entrambi i genitori. Spesso a queste problematiche relazionali interne alla famiglia si sommano difficoltà economiche, abitative e lavorative di uno o entrambi i genitori”. 23 La Cabina è composta da rappresentanti di: Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, Dipartimento per le Politiche della Famiglia, Coordinamento Nazionale Servizi Affidi (CNSA), Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, UPI, ANCI, Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza e Comune di Genova. 24 Il testo è pubblicato sul sito www.tavolonazionaleaffido.it 25 Si veda. pag.79 e segg. del Rapporto di sintesi sugli esiti del monitoraggio del III Piano biennale nazionale di azioni e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva adottato con il DPR del 21 gennaio 2011, disponibile su www.minori.it/minori/ rapporto-di-monitoraggio-del-piano-nazionale-per- con il privato e l’associazionismo familiare; -coinvolgimento delle famiglie straniere per affidamenti di ragazzi tra gruppi familiari appartenenti alla medesima cultura; -coinvolgimento delle associazioni familiari nelle fasi di sensibilizzazione, diffusione e sostegno dell’affido”. Tuttavia le indicazioni contenute nelle suddette Linee di indirizzo – non accompagnate da alcun finanziamento – rischiano di restare in gran parte inattuate in quanto “la progressiva e deleteria decurtazione delle risorse pubbliche (sia nazionali, che regionali e locali) stanziate per l’affidamento e, più in generale, nel campo delle politiche e degli interventi di protezione e promozione minorile e familiare e dell’intero sistema di welfare locale [...] stanno causando – e continueranno sempre più a causare – una progressiva riduzione della capacità di tutela dei bambini, dei ragazzi e delle famiglie in difficoltà”26. Sul tema della continuità degli affetti nel passaggio dall’affido all’adozione, già affrontato nel 5° Rapporto CRC, si segnala il confronto interno al Tavolo di Lavoro delle associazioni, che ha portato all’approvazione del documento “La tutela della continuità degli affetti dei minori affidati”27. Su questa tematica nel documento conclusivo dell’Indagine conoscitiva della Commissione parlamentare infanzia28 , si rileva che “Sono emersi nel merito pareri discordanti, in quanto vi è chi ritiene che occorre fare una netta distinzione tra il ruolo degli affidatari e il ruolo dei genitori, siano essi biologici o adottivi. Fermi restando infatti i diversi presupposti e le finalità dei due istituti, sanciti dalla normativa vigente, non possono escludersi casi nei quali il legame maturato dal minore con la famiglia affidataria suggerisca una soluzione di questo tipo. Si tratta comunque di casi da valutare in concreto e con estrema attenzione, alla luce dei principi stabiliti dal nostro ordinamento e tenendo ovviamente conto, in via prioritaria, dell’interesse del minore”. 26 Dal documento “Riflessione sulla situazione dei minori in affidamento o in comunità in Italia”, op. cit. 27 Il testo è disponibile sul sito www.tavolonazionaleaffido.it 28 Documento conclusivo dell’Indagine conoscitiva della Commissione Parlamentare Infanzia, op. cit. Il Gruppo CRC raccomanda pertanto: 1. Allo Stato, alle Regioni e agli Enti Locali, nell’ambito delle rispettive competenze, di promuovere con maggior incisività gli affi- damenti familiari stanziando finanziamenti adeguati, destinando il personale socio- assistenziale e sanitario necessario per il sostegno al minore, alla famiglia affidata- ria e soprattutto ai genitori di origine, e realizzando un monitoraggio continuativo sul numero, sull’andamento e sulla gestio- ne degli affidamenti. 2. Alle Autorità giudiziarie minorili di at- tuare con puntualità le competenze loro attribuite in materia, con particolare at- tenzione alla verifica del progetto sotteso all’affidamento attraverso l’esame delle relazioni semestrali che i Servizi devono inviare e il dovuto ascolto degli affidatari e dei minori affidati anche al fine di garan- tire la temporaneità dell’intervento stesso e il rispetto dei legami d’affetto instaurati. 3. All’Autorità Garante per l’infanzia e l’a- dolescenza di promuovere le azioni neces- sarie nei confronti delle istituzioni prepo- ste affinché venga rispettata la normativa in materia di affidamento. II. le comunità d’accoglienza per minori Gli ultimi dati disponibili29, aggiornati al 31 dicembre 2010, evidenziano la presenza di 14.781 bambini e ragazzi accolti in servizi residenziali. Il dato rimane pressoché stabile se confrontato con la prima indagine avvenuta nel 199830 da parte del Centro Nazionale di documentazione ed analisi per l’infanzia e l’adolescenza e in lieve diminuzione rispetto ai dati rilevati al 31/12/2008 (- 719 minorenni)31, ma in crescita rispetto alla rilevazione al 31/12/2005 in 29 Quaderno della ricerca sociale n. 19/2012, op. cit. 30 Centro nazionale di documentazione ed analisi per l’infanzia e l’adolescenza, “I bambini e gli adolescenti fuori famiglia. Indagine sulle strutture residenziali educativo-assistenziali in Italia” 1998, Quaderno 9, Istituto degli Innocenti. 31 Quaderni della ricerca sociale, n. 9/2011. cui erano 11.54332. Solo il 22% si trova presso Comunità familiari; il 53% è in comunità socio educative per minorenni e il 10% in strutture di accoglienza per bambino e genitore. L’ultima rilevazione evidenzia che il numero dei minorenni accolti in comunità (14.781) è pressoché uguale a quello dei minorenni in affidamento familiare (14.528)33. Tra bambini e ragazzi accolti in servizi residenziali34 si conferma il trend degli ultimi dieci anni relativamente ad un progressivo aumento significativo di minorenni stranieri (dal 12% del 1998 al 27% del 2010). In alcune Regioni, peraltro, il numero di accoglienza di minorenni stranieri raggiunge percentuali oltre il 40% (Emilia Romagna, Toscana, Marche, Lazio). Rispetto all’età di inserimento dei bambini, vengono inizialmente inseriti in comunità35 il 28% dei bambini nella fascia di età 0-2 anni e il 23% dei bambini nella fascia 3-5 anni, mentre per i ragazzi di 14-17 anni l’accoglienza in struttura residenziale rappresenta ancora la prima risposta di accoglienza (82%). Tali dati inoltre diminuiscono, in quanto al 31/12/2010 risultano presenti nei servizi residenziali solo il 5% dei bambini nella fascia di età 0-2 anni, il 6% nella fascia 3-5 e il 53% dei ragazzi nella fascia di età 14-1736. Pur rilevando gli aspetti di miglioramento, i dati sopra riportati evidenziano che permane tuttora una pratica di inserimento 32 Istituto degli Innocenti, “Rapporto governativo alle Nazioni Unite sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia”, in Diritti in crescita, n. 3-4, 2009, pag.74. 33 Ad una più attenta analisi dei dati emerge però che gli affidamenti etero-familiari sono pari al 55% del totale degli affidamenti, mentre il restante 45% riguarda affidi parentali. Pertanto i minorenni fuori dalla cerchia parentale risultano essere accolti 2 in comunità residenziale ed 1 in affidamento etero familiare. Pertanto restano disattese le priorità di intervento previste dalla Legge 184/1983, che prevede che “ove non sia possibile l’affidamento (…) è consentito l’inserimento del minore in una comunità di tipo familiare”. 34 Il Quaderno della ricerca sociale n. 19/2012 riporta una sintesi dei dati anche in riferimento alle strutture di accoglienza residenziale che rappresentano differenze significative a livello regionale in riferimento alle molteplici tipologie delle strutture di accoglienza che rappresentano in alcune Regioni filiere di opportunità per meglio rispondere al bisogno. Emerge comunque il dato che la maggior parte dei bambini accolti nei servizi residenziali vive nelle comunità educative (72%), mentre il numero dei bambini accolti nelle comunità familiari è pari al 19%. L’analisi delle singole situazioni regionali evidenzia però che la Sardegna e la Sicilia hanno sviluppato in modo pressoché esclusivo la risposta della comunità socio educativa (rispettivamente al 98% e al 97%), mentre sono il Molise e la Campania ad assicurare nella loro Regione il maggior numero di “comunità familiare” (rispettivamente il 67% e il 59%). 35 La percentuale dei bambini 0-2 anni in strutture residenziali risulta diminuita rispetto alla rilevazione del 31/12/2008 che era pari al 57%. 36 Si veda Quaderni della ricerca sociale n. 19/ 2012, op. cit. pag. 22. in comunità di bambini nella fascia 0-2 anni, ed occorre quindi rafforzare l’impegno da parte delle Istituzioni per assicurare accoglienza familiare a tutti i bambini in questa fascia di età. Mancano ancora dati precisi in riferimento ai passaggi da una comunità all’altra nell’arco dei tempi di accoglienza. Relativamente ai bambini con disabilità, si evidenzia che quelli con disabilità prevalentemente di tipo psichico sono accolti soprattutto nelle comunità residenziali (71%)37, stante l’esiguo numero di comunità terapeutiche, insufficienti rispetto alla domanda. L’accoglienza in comunità residenziale si verifica per il 63% a seguito di provvedimento dell’Autorità Giudiziaria, e il 37% è inserito con il consenso della famiglia d’origine mentre il 43% dei bambini è almeno alla seconda esperienza di inserimento in servizio residenziale e il 35% è inserito nella stessa comunità con i propri fratelli38. Il rapporto di monitoraggio del III Piano Nazionale Infanzia”39 evidenzia – tra le criticità – un aumento della durata dei tempi di inserimento in servizi residenziali in considerazione della multi problematicità delle famiglie d’origine, la mancanza di percorsi validi di sostegno ed accompagnamento per la fase post-comunità e/o per il proseguimento dell’accoglienza in comunità dopo il diciottesimo anno di età, laddove necessario40. Si segnala da ultimo che nel 2011 sono stati emessi 881 provvedimenti di tutela che hanno previsto un affidamento a “comunità o istituti”41. Nel 5° Rapporto CRC, si era nuovamente richiamata l’urgenza di definire gli standard essen 37 Mentre per i disabili fisici appare maggiore il ricorso all’affido familiare (70%) – Quaderni della ricerca sociale 19/2012, op. cit. Si segnala inoltre che la ricerca ISTAT relativa ai dati 2009 sui presidi residenziali socio-sanitari e socio-assistenziali riporta che il 17,5% dei minorenni accolti ha una disabilità o problemi di salute mentale ISTAT, “I presidi residenziali socio-sanitari e socio-assistenziali”, 26/11/2012. 38 Quaderno della ricerca sociale n. 19/2012, op. cit., pag.22 39 Rapporto di monitoraggio del III Piano Nazionale Infanzia, op. cit. 40 Lo stesso Rapporto di monitoraggio del III Piano Nazionale Infanzia evidenzia che “i servizi residenziali sono quelli che appaiono subire con più forza l’impatto dell’attuale crisi economica e di riduzione del fondo per le politiche sociali. In alcune realtà regionali, in particolare in Campania e in Sicilia, alcuni Enti locali hanno ritardi che superano anche i due anni nel pagamento delle rette dovute alle comunità che continuano comunque a portare avanti il progetto educativo del bambino o dell’adolescente accolto”. 41 In Giustizia minorile, “Provvedimenti a tutela dei minori emessi dal Tribunale per i minorenni”, 2011 (a cura del Servizio Statistica – Dipartimento Giustizia Minorile – Ufficio I del Capo Dipartimento). ziali per le diverse tipologie di comunità residenziali a cui le singole normative regionali devono far riferimento in maniera omogenea su tutto il territorio. Tale indicazione è presente anche nel III Piano Nazionale Infanzia42 . Il rapporto di monitoraggio del Piano evidenzia ancora il permanere di disomogeneità nella definizione delle tipologie delle comunità di accoglienza, degli standard e dei criteri di qualità, generando una differenziazione dei modelli regionali di welfare in termini di procedure, definizione, organizzazione dei servizi, professionalità impegnate, percorsi di formazione e supervisione, prestazioni disponibili, modalità di autorizzazione preventiva al funzionamento e/o accreditamento evitando la previsione di servizi centralizzati e l’accorpamento di più comunità nello stesso stabile. In ultima istanza, tale differenziazione genera altresì diverse opportunità per i bambini, gli adolescenti e le famiglie43. Il Rapporto di monitoraggio rafforza ulteriormente la necessità di pervenire ad un riordino a livello nazionale della definizione normativa e giuridica delle comunità di tipo familiare, “caratterizzate da organizzazione e da rapporti interpersonali analoghi a quelli di una famiglia”, come indicata dall’art. 2 della Legge 184/1983 e s.m., riconoscendo alle comunità per minorenni un ruolo di accoglienza e tutela molto delicato che “deve coniugarsi con il lavoro educativo e di cura e raccordarsi con una vasta gamma di soggetti e servizi territoriali. In tal senso si è espresso con preoccupazione anche il Comitato ONU, con una specifica raccomandazione all’Italia44. In effetti resta ancora molto da fare: la Commissione Parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza, nel Documento Conclusivo all’indagine conoscitiva sull’attua 42 “III Piano biennale nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva” (Gazzetta Ufficiale del 9-5-2011.). Esso si pone l’obiettivo “di rafforzare la qualità delle strutture residenziali […] attraverso l’avvio di una riflessione approfondita a livello nazionale attraverso la costituzione di un tavolo/ gruppo di lavoro che coinvolga regioni, enti locali,rappresentanti delle comunità e dei coordinamenti del terzo settore, ministeri interessati, esperti (Università...) […] con lo scopo di redigere un documento di linee di indirizzo nazionale per l’accoglienza dei bambini e dei ragazzi (da approvare in sede di conferenza Stato – Regioni e Enti Locali”. 43 Si veda Rapporto di monitoraggio del III Piano Nazionale Infanzia, op. cit. 44 Raccomandazione n.40. zione della normativa in materia di affido e adozione45, segnala che “da parte di alcuni Garanti è stata poi sottolineata la colpevole disattenzione delle istituzioni – regioni, enti locali, magistratura minorile – nei confronti delle comunità residenziali, che in molti casi operano in assenza di un sistema di controlli e di monitoraggio. Vengono in tal modo poste le condizioni (…) che consentono a strutture, che sono carenti o addirittura prive dei necessari requisiti professionali, di poter continuare ad operare.” Nel 5 Rapporto CRC si segnalava la preoccupante situazione riguardante i Minorenni stranieri non accompagnati (MSNA). Al 31 dicembre 2012 risultano essere 7.575 i MSNA segnalati al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.46 È importante sottolineare la necessità della definizione di un “sistema strutturato ed integrato di accoglienza a favore dei minorenni stranieri” al fine di superare la condizione di precarietà ed emergenza che attualmente ancora accompagna l’accoglienza dei MSNA. La definizione puntuale delle metodologie e delle risorse integrate per loro accoglienza, nonché risorse per la formazione e l’inserimento professionale, rappresentano strategie fondamentali nel percorso di definizione del progetto individuale di avvio all’autonomia a favore di ogni minorenne che arriva nel nostro Paese47. Allo stesso modo, occorre implementare forme di accoglienza in affido familiare (anche omoculturale, e quindi valorizzando famiglie affidatarie appartenenti alla stessa cultura/etnia del minorenne affidato). Le vicende relative alle modalità di accoglienza dei MSNA arrivati in Italia tra il 2011 e il 2012 (nell’ambito delle c.d. Emergenza Nord Africa) segnalano ancora pesanti criticità in riferimento al diritto alla definizione di un progetto di vita capace di accompagnare il futuro di minorenni provenienti da situazioni traumatiche e fortemente problematiche. 45 Op. cit. 46 Comunicazione inviata al Gruppo CRC dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. 47 ANCI – Cittalia, “I Minori Stranieri Non Accompagnati in Italia”, 2011: “Risulta evidente dunque che sia proprio la pronta accoglienza la fase sulla quale investire tempestivamente con risorse dedicate e professionalità specifiche, evitando interventi di bassa soglia altrettanto costosi ma senza alcuna ricaduta positiva sul successivo percorso di accoglienza e integrazione”, pag. 3. Il Rapporto di monitoraggio del III Piano Nazionale Infanzia evidenzia l’esistenza di una realtà molto diversificata tra le Regioni e tra i vari fenomeni oggetto di interesse in riferimento ai sistemi di raccolta dati in ambito pubblico e privato in materia di affidamento familiare, servizi residenziali, adozione nazionale ed internazionale. In tale contesto si segnalano situazioni critiche in Abruzzo e in Calabria, dove non risultano attive esperienze di monitoraggio, ed esperienze poco soddisfacenti in Sardegna e in Sicilia, dove non sono a disposizione veri e propri sistemi di raccolta dati48. A tale difficoltà intende rispondere il progetto S.in. Ba per la creazione di un sistema informativo che dia conto degli utenti e delle prestazioni di cura e protezione a favore dei bambini e della loro famiglia49. Relativamente all’approfondimento sulle aree tematiche “qualitative” dei sistemi di raccolta dati, si segnala che non sono intervenute modifiche relativamente a quanto già segnalato nel 5° Rapporto CRC50. Si conferma quindi che le modalità di raccolta dati permangono frammentate e disomogenee a livello nazionale e portano ad una scarsa comparabilità delle informazioni ed alla difficile costruzione di una banca dati nazionale ritenuta necessaria per realizzare un serio monitoraggio dei minorenni fuori dalla famiglia, così come raccomandato dal Comitato ONU e dalla Commissione parla- 48 Il Rapporto di monitoraggio del III Piano Nazionale Infanzia, op. cit. “evidenzia quale elemento comune e trasversale alle esperienze regionali in riferimento alla raccolta dati il protagonismo delle stesse amministrazioni locali. Il quadro informativo dei minori fuori famiglia presenta lacune e zone d’ombra che sono riconducibili alla frammentarietà e disomogeneità delle informazioni a disposizione nelle diverse realtà regionali e dunque alla loro scarsa conseguente comparabilità, frutto anche dell’eterogeneità dei sistemi di raccolta.” 49 Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha siglato un Protocollo d’intesa con la Regione Campania per la realizzazione di questo progetto sperimentale volto alla creazione ed implementazione del sistema informativo condiviso e omogeneo sugli interventi e le prestazioni a favore dei bambini e della loro famiglia. Il progetto coinvolge altre undici Regioni: Basilicata, Emilia Romagna, Liguria, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Sardegna, Toscana, Umbria, Veneto. Il progetto è svolto in collaborazione con il Centro di Documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza, l’ANCI, l’ISTAT, il CISIS. In Sicilia, Puglia e Calabria le comunità di accoglienza che accolgono MSNA arrivati via mare sono monitorate da Save the Children nell’ambito del progetto Praesidium finanziato dal Ministero dell’Interno. Per maggiori informazioni www.savethechildren.it/page/t01/view html?idp=335 50 Vedi i dati pubblicati in Quaderni della ricerca sociale, n.19/2012, op. cit. mentare per l’Infanzia e l’Adolescenza nel documento conclusivo dell’indagine51. Il Gruppo CRC raccomanda pertanto: 1. Alla Conferenza Stato Regioni di definire gli standard essenziali per le diverse tipo- logie di comunità a cui le singole normative regionali devono far riferimento, in manie- ra omogenea su tutto il territorio naziona- le, garantendo un effettivo monitoraggio sull’esistenza e il mantenimento degli stan- dard richiesti e prevedendo atti formali di chiusura dove ciò non si verifichi; 2. Al Ministero del Lavoro e delle Politi- che Sociali e al Ministero della Giustizia di verificare la corrispondenza tra la vigente normativa italiana e i contenuti delle li- nee guida per l’accoglienza dei minoren- ni fuori famiglia, allegate alla risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Uni- te 64/142 al fine di definire i livelli essen- ziali delle prestazioni in riferimento all’ac- coglienza residenziale sull’intero territorio nazionale (Costituzione, art. 117 – lettera m) e di raccogliere e monitorare i dati sui minori affidati e su quelli inseriti nelle di- verse strutture di accoglienza; 3. Alle Procure della Repubblica per i mi- norenni il monitoraggio costante circa la situazione dei minorenni in comunità, in attuazione di quanto previsto dalla Legge 149/2001, ex art. 9 comma 2 e 3 e art. 25 CRC, al fine di rendere effettivo ed esigibi- le al minorenne il diritto alla famiglia. 51 Op. cit.: “Anche in tema di affidamento, si ripropone l’esigenza – già rilevata per le adozioni – di predisporre un sistema informativo nazionale integrato sui minori affidati od ospitati nei servizi residenziali. Tale sistema informativo potrebbe essere utilmente raccordato con le funzioni di vigilanza attribuite ai procuratori della Repubblica presso i tribunali per i minorenni, che dovrebbero vigilare sui minori ivi residenti. Il ruolo dei tribunali minorili appare infatti determinante per una efficace attuazione dei principi stabiliti dalla nostra legislazione, ove si consideri che ad essi spetta di verificare l’effettivo realizzarsi del progetto di affidamenti, attraverso l’esame delle relazioni semestrali inviate dai servizi sociali, nonché l’ascolto dei soggetti affidatari dei minori”. 3. la Kafala52 L’attenzione che le istituzioni italiane riservano alla kafala continua ad essere insufficiente, anche in considerazione dell’elevato numero di persone di religione islamica residenti in Italia e la crescente diffusione dei matrimoni misti. Per quanto concerne l’entità del fenomeno, i dati sui minori che vivono in kafala in Italia per avervi fatto ingresso attraverso il ricongiungimento con persone ivi residenti continuano a non essere disponibili, poiché i Ministeri competenti non hanno finora dato corso alle raccomandazioni loro formulate dal Gruppo CRC53. Tali dati sarebbero importanti anche per attivare un efficace sistema di controllo da parte dei servizi sociali, al pari di quanto avviene per i casi “interni” di affidamento. Ricordiamo, come già rilevato nel 5° Rapporto CRC, che il ricongiungimento dei minori ricevuti in kafala da cittadini extracomunitari residenti in Italia, è ammesso in virtù dell’articolo 29 del T.U. sull’immigrazione e sulla condizione dello straniero54. Pertanto la kafala dovrebbe essere riconosciuta automaticamente dagli organi della pubblica amministrazione, quanto meno ove disposta da un’autorità giudiziaria in capo a cittadini di Paesi islamici residenti in Italia. In merito alla kafala disposta in capo a cittadini italiani, la Corte di Cassazione ha, viceversa 52 La kafala è un istituto previsto nei paesi di diritto islamico per la tutela dei minori abbandonati. Per un quadro completo sulla funzione e sulle problematiche connesse alla sua mancata “regolamentazione” in Italia, si veda il precedente Rapporto CRC disponibile su www.gruppocrc. net/Ricongiungimento-familiare 53 Secondo il rapporto ISTAT pubblicato il 25/7/2012, al 1° gennaio 2012 i cittadini non comunitari regolarmente residenti in Italia erano 3.637.724. Rispetto all’anno precedente il numero è aumentato di circa 102 mila unità e quella del Marocco è la cittadinanza più rappresentata, con 506.369 persone (più 53.945 in un anno). I minori non comunitari presenti in Italia rappresentano in totale il 23,9% degli stranieri non comunitari regolarmente soggiornanti, mentre nel 2011 erano il 21,5%. Con lettera del marzo 2013 il Gruppo CRC ha rinnovato la richiesta di informazioni in merito ai dati al Ministero dell’Interno, senza tuttavia ricevere alcuna risposta.. 54 D.Lgs. 25.7.1998 n. 286. Si vedano le sentenze citate nel 5 Rapporto CRC (p. 56, nota 53), in cui la Cassazione aveva chiarito che il diritto del minore in kafala di ottenere il visto per ricongiungimento sussiste quando gli adulti kafil cui il minore è “affidato” sono cittadini stranieri regolarmente residenti e mai quando uno dei richiedenti fosse italiano. Questo perché l’art. 29 comma 2 del T.U. sull’Immigrazione, secondo cui “i minori adottati o affidati o sottoposti a tutela sono equiparati ai figli” (e che giustifica per gli stranieri l’inclusione dei minori in kafala tra i “familiari”), secondo i giudici non può applicarsi ai cittadini comunitari cui, a seguito del d.lgs. 30/2007 che ha recepito la Direttiva 2004/38/CE, deve applicarsi una definizione più ristretta dei familiari per il ricongiungimento negato, con giurisprudenza consolidata, ai cittadini italiani il ricongiungimento con minori ricevuti in kafala55. Quasi tutti i casi presi in esame dal Supremo Collegio hanno riguardato dei provvedimenti di kafala emessi dalle autorità del Marocco56. È di rilievo l’analisi contenuta nella relazione del 10 maggio 2012, redatta dall’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Cassazione, ove è messa in luce la necessità, allorché ci si trovi dinanzi a richieste di rilascio di un visto per ricongiungimento famigliare di un minore straniero in kafala, di operare una analisi caso per caso che, da una parte, tenga conto del superiore interesse dei minori coinvolti e, dall’altra, verifichi che gli adulti kafil richiedenti non abbiano messo in atto elusioni delle norme in materia di adozione internazionale57. Al riguardo si evidenzia che alcune associazioni58 vedono con favore il riconoscimento in Italia della kafala disposta in capo a cittadini italiani, anche se non rientra fra le forme di 55 Si veda, tra le altre, Cass., sez. 1^ civile, n. 4868, 1 marzo 2010. Cfr. anche Cass., sez. 1^ civile n.19450, 23 settembre 2011, secondo cui l’adozione internazionale di un minore straniero in stato di abbandono “rappresenta l’unico ragionevole punto di equilibrio tra le esigenze di protezione dei minori stranieri abbandonati e le richieste di inserimento familiare dei cittadini, e cioè una sintesi, che per la delicatezza delle posizioni coinvolte e per la cogenza della attuazione di norme sopranazionali, impedisce alcuna elusione o disapplicazione”. Si veda a contrario la Corte d’Appello di Ancona che ha invece riconosciuto il diritto di ricongiungimento di un minore con cittadini entrambi italiani, ma di religione musulmana, di cui uno con doppia cittadinanza (italiana e marocchina), in base ad una kafala pronunciata da una autorità amministrativa. Ordinanza n. 1572, depositata il 16/11/2011, con cui la Corte d’appello di Ancona ha accolto un reclamo avverso il diniego del visto per un minore egiziano in base ad un provvedimento di kafala non omologato dal Tribunale ma ritenuto comunque non inquadrabile come accordo di kafala “privato” essendo disposto da una autorità statale. La Corte inoltre ha concluso che non può non tenersi conto del riconoscimento anche da parte dell’Ordinamento Europeo della kafalah quale strumento di protezione dei minori. 56 Il 19 settembre 2012, il ministro della giustizia del Regno del Marocco ha emesso una dettagliata circolare nella quale è disposto espressamente che la kafala, unico strumento di protezione giuridica ivi riconosciuto in favore dei fanciulli privi di valida famiglia, può essere pronunciata dal giudice dei minori unicamente in capo a persone (singoli o coppie) che risiedano abitualmente nello Stato e che si impegnino ad allevare secondo i precetti dell’Islam. Circulaire N° 40 S/2 del 19 settembre 2012, consultabile in www.ejpd.admin.ch/... Id-marokko-rundschrei 57 Relazione n. 100 alle Sezioni Unite su una questione di particolare importanza n. Reg. Gen. 9608/2011, dove viene ritenuto, anche con riferimento alle analisi della dottrina, che non possa escludersi a priori, e debba anzi essere preferita una interpretazione del TU sull’immigrazione nel senso di ritenere applicabile la norma più favorevole contenuta nell’art. 29 comma 2 anche ai cittadini europei. 58 Si veda Manifesto di AiBi. Associazione Amici dei Babini per la riforma delle adozioni internazionali, disponibile sul sito internet www. aibi.it/ita/pdf/Manifesto_AI_raccolta_firme.pdf “affidamento” o “tutela” previste nell’ordinamento nazionale. Tale riconoscimento dovrebbe avvenire con funzioni differenti a seconda che il minore protetto sia o meno abbandonato e, soprattutto, in virtù del fatto che si tratta dell’unico strumento di accoglienza in alcuni Paesi che presentano un alto tasso di bambini abbandonati59 . In senso contrario, la maggioranza delle associazioni che si occupano di affido e di adozione ritengono, in linea con la giurisprudenza della Cassazione, che non è possibile riconoscere i provvedimenti di kafala disposti in capo a cittadini italiani, trattandosi di istituto che per sua natura non dà vita ad alcun legame familiare e che riguarda, le sole persone di cultura e di religione musulmana60. Al fine di evitare pratiche elusive della legislazione vigente in materia di adozione internazionale, sarebbe opportuno pensare all’introduzione di una normativa specifica, che faccia chiarezza sul punto come già evidenziato dal Gruppo CRC nel 2012 e confermato nelle conclusioni dell’indagine della Commissione parlamentare per l’infanzia del 23 gennaio 201361. La questione potrà essere risolta solo nel momento in cui il nostro Parlamento procederà alla ratifica della Convenzione de L’Aja sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dell’infanzia, del 19 ottobre 1996, introducendo norme che assicurino il riconoscimento della kafala con le misure dell’infanzia vigenti nel nostro Paese e mediante accordi bilaterali specifici tra l’Italia ed i Paesi di origine. La Convenzione de L’Aja ha confermato che il suddetto istituto, previsto dalla legislazione islamica, è da annoverare tra le misure di pro 59 Con riferimento al Marocco, nel 2010 uno studio sui minori abbandonati, condotto dall’Unicef e dalla Lega Marocchina per la Protezione dell’Infanzia, ha rivelato una situazione drammatica: nel 2008 il 2% dei nati sono stati abbandonati (Enfance abandonnée au Maroc: ampleur, état des lieux juridique et social, prise en charge, vécus, consultabile e scaricabile in francese su www.unicef.org/morocco/ french/2010-Etude_Enfance_abandon_UNICEF-LMPE.pdf 60 Cfr. Cass., sez. 6 civile, Ordinanza interlocutoria n. 996 del 24 gennaio 2012. Anche il caso che ha generato la rimessione della decisione alla sezioni unite della Cassazione riguarda un minore nato in Marocco e ricevuto in kafala da cittadini italiani. 61 Documento conclusivo Indagine della Commissione parlamentare per l’infanzia e l’Adolescenza, op. cit. tezione dei minori privi di assistenza familiare (articolo 3, lettera d)62. Tuttavia, l’Italia ad oggi non l’ha ancora ratificata e conseguentemente, non sono stati attivati i fondamentali principi ivi stabiliti in materia di cooperazione tra gli Stati nel campo delle misure di salvaguardia dell’infanzia diverse dall’adozione (si vedano, in particolare, oltre alla premessa, gli articoli 33 e 39 del Trattato), anche se il Parlamento della precedente legislatura ha lavorato in questa direzione63, ed occorrerà quindi riprendere i lavori64. Poiché le raccomandazioni contenute nel precedente Rapporto CRC non sono sta- te attuate, il Gruppo CRC reitera le stesse raccomandazioni: 1. Al Ministro dell’interno e al Ministro per la Cooperazione internazionale e l’Integra- zione: di raccogliere e far conoscere dati disaggregati sui minorenni in kafala che si trovano nel territorio dello Stato suddivi- si a seconda che il ricongiungimento sia avvenuto con cittadini italiani o stranieri, con il dettaglio del Paese di provenienza e l’età dei bambini; 2. Al Parlamento di concludere al più pre- sto l’emanazione della legge di ratifica della Convenzione sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’ese- cuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori, stipulata a L’Aja il 19 ottobre 1996; 62 Si tratta della Convenzione sulla giurisdizione, la competenza, la legge applicabile e l’esecuzione delle misure di protezione dell’infanzia, già firmata dall’Italia, che agli artt. 3 e 33 cita espressamente la kafala. 63 I quattro progetti di legge depositati alla Camera per la ratifica della Convenzione già nel 2010, pur avendo ricevuto i pareri favorevoli delle commissioni competenti, non sono stati completati in tempo utile, prima della fine della XVI legislatura. Si veda www.senato.it/ leg/16/BGT/Schede_v3/Ddliter/cons/36222_cons.htm. Il 4 aprile 2013 è stato depositato alla Camera dei Deputati il progetto di legge n.648 per la ratifica della Convenzione; analogo disegno di legge è stato depositato al Senato (Atto Senato n.572). 64 Ad oggi l’Italia resta l’unico paese europeo a non avere ratificato questo strumento, così violando la decisione del Consiglio dell’Unione europea 2008/431/CE del 5 giugno 2008, che aveva invitato gli Stati membri dell’Unione a ratificare “se possibile anteriormente al 5 giugno 2010”. 3. Al Ministro per la Cooperazione inter- nazionale e l’Integrazione, al Garante na- zionale per l’infanzia e l’adolescenza, all’Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia e alla Com- missione per le adozioni internazionali: di promuovere incontri di studio sulla kafala, al fine di favorire la formazione di una giu- risprudenza omogenea su questa tematica. 4. l’aDozIoNE NazIoNalE E INtErNazIoNalE 42. Il Comitato raccomanda che l’Italia: (a) introduca il principio dell’interesse superio- re del bambino come considerazione essen- ziale nella legislazione, incluse la legge n. 184/1983 e la legge n. 149/2001, e nelle pro- cedure che disciplinano l’adozione; (b) concluda accordi bilaterali con tutti i paesi di origine dei minori adottati che non hanno ancora ratificato la Convenzione de L’Aja del 1993; (c) in conformità con la Convenzione de L’Aja e con l’articolo 21(d) della Convenzione sui diritti del fanciullo, garantisca un monitorag- gio efficace e sistematico di tutte le agenzie di adozione private, valuti la possibilità di gestire o limitare l’elevato numero di queste ultime e garantisca che le procedure di ado- zione non siano fonte di proventi finanziari per alcuna parte; (d) garantisca un follow-up sistematico sul be- nessere dei bambini adottati durante gli anni precedenti e sulle cause e le conseguenze dell’interruzione dell’adozione. CRC/C/ITA/CO/3-4, punto 42 3. Al Ministro per la Cooperazione inter- nazionale e l’Integrazione, al Garante na- zionale per l’infanzia e l’adolescenza, all’Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia e alla Com- missione per le adozioni internazionali: di promuovere incontri di studio sulla kafala, al fine di favorire la formazione di una giu- risprudenza omogenea su questa tematica. 4. l’aDozIoNE NazIoNalE E INtErNazIoNalE 42. Il Comitato raccomanda che l’Italia: (a) introduca il principio dell’interesse superio- re del bambino come considerazione essen- ziale nella legislazione, incluse la legge n. 184/1983 e la legge n. 149/2001, e nelle pro- cedure che disciplinano l’adozione; (b) concluda accordi bilaterali con tutti i paesi di origine dei minori adottati che non hanno ancora ratificato la Convenzione de L’Aja del 1993; (c) in conformità con la Convenzione de L’Aja e con l’articolo 21(d) della Convenzione sui diritti del fanciullo, garantisca un monitorag- gio efficace e sistematico di tutte le agenzie di adozione private, valuti la possibilità di gestire o limitare l’elevato numero di queste ultime e garantisca che le procedure di ado- zione non siano fonte di proventi finanziari per alcuna parte; (d) garantisca un follow-up sistematico sul be- nessere dei bambini adottati durante gli anni precedenti e sulle cause e le conseguenze dell’interruzione dell’adozione. CRC/C/ITA/CO/3-4, punto 42 I numeri dell’adozione nazionale sono aggiornati al 2011 attraverso i dati statistici del Dipartimento di Giustizia Minorile del Ministero della Giustizia65 che non forniscono, però, indicazioni circa le caratteristiche personali dei minorenni quali l’età ed eventuali disabilità. Ci auguriamo che un monitoraggio più dettagliato possa arrivare dalla Banca Dati Nazionale dei Minori Adottabili e delle Coppie Disponibili all’Adozio 65 Inviati con lettera del 27/3/2013 al Gruppo CRC dalla Direzione Generale per l’attuazione dei provvedimenti giudiziari – Ufficio III e disponibili sul sito: www.giustiziaminorile.it/statistica/ ne che, dopo 12 anni di ritardo66 e una recente condanna da parte del TAR del Lazio67, è stata da poco attivata68 e dalla cui operatività dipende la messa in rete dei dati tra tutti i Tribunali per i Minorenni al fine di favorire una miglior tempistica ed efficacia all’abbinamento. Dai dati statistici risulta che, rispetto all’anno precedente, nel 2011 sono aumentate sia le sentenze di adottabilità sia quelle di adozione nazionale: sono stati infatti dichiarati adottabili 1.251 minorenni (erano 1.177 nel 2010); sono stati pronunciati 965 affidamenti preadottivi (776 nel 2010) e 1.016 adozioni legittimanti (932 nel 2010). Resta quindi ogni anno una percentuale di minorenni che, pur essendo adottabili, non vengono adottati. Dall’indagine “Bambine e bambini temporaneamente fuori dalla famiglia di origine” del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali risulta che dei 29.309 minorenni che al 31/12/2010 erano ancora in affidamento familiare o in collocamento in comunità in Italia, il 7% era in attesa di adozione e quindi oltre 2.000 bambini e ragazzi69. Un dato che fa emergere la realtà italiana di quei minorenni che, probabilmente perché grandi o con disabilità, non vengono adottati, malgrado le oltre 11.665 domande di adozione nazionale presentate nello stesso anno. Nel 2011 tali domande di disponibilità sono scese a 9.795, ma quelle giacenti al 31/12/2011 erano ancora tantissime, ben 33.256. Come già più volte rilevato dallo stesso Gruppo CRC70, è assolutamente necessario monitorare attentamente la situazione di ognuno di questi bambini, perché non siano considerati solo dei numeri ma dei soggetti di diritto, ognuno con una propria storia e realtà, al fine di verificare tutte le possibilità concrete di trovare per ognuno di loro famiglie che li possano acco66 Già prevista dall’art. 40 della Legge 149/2001. Si segnala che il Gruppo CRC ha sempre raccomandato l’attivazione della banca dati in tutti i precedenti rapporti. 67 Sentenza del 1/10/2012, n. 08231/2012 che, in accoglimento del ricorso di un’associazione del Gruppo CRC (di cui a pag. 58, nota 66, del 5 Rapporto) ha accertato l’inadempimento del Ministero della Giustizia cui è stato ordinato “di porre in essere gli adempimenti necessari alla realizzazione di tale banca dati (omissis) entro 90 giorni dalla comunicazione o notificazione della presente sentenza…”. 68 Con decreto attuativo del 15/2/2013 pubblicato in Gazzetta Ufficiale n.47 del 25/2/2013. 69 In Quaderni della ricerca sociale, n. 19/2012, op. cit. – dati al 31/12/2010, pag. 14. 70 5 Rapporto CRC, pag. 58. gliere in adozione. Dalla stessa indagine emerge un altro dato significativo: quasi la metà dei minorenni in affidamento familiare o in comunità si trova fuori dalla propria famiglia di origine da oltre 2 anni, quasi un terzo non ha alcun contatto con il padre e il 16% con la madre. A tal riguardo si segnala che sarebbe opportuna una maggior tempestività sia nelle segnalazioni alle Procure dei minorenni in possibile stato di adottabilità71, sia nella durata del procedimento sullo stato di adottabilità. Quest’ultima problematica è stata anche recentemente rilevata dalla Commissione Parlamentare per l’Infanzia e l’Adolescenza dove, nel Documento Conclusivo all’Indagine Conoscitiva sull’attuazione della normativa in materia di affido e adozione, si riporta che “…il procedimento di accertamento dello stato di adottabilità dei bambini, che si prolunga spesso oltre una ragionevole durata, continua a suscitare preoccupazione da parte degli operatori, ed in qualche caso il ritardo può determinare una vera e propria lesione del diritto del bambino a vedere tempestivamente definita la propria situazione”72. Preoccupazioni riprese anche dal Tavolo Nazionale Affido, che evidenzia che “nella prassi si constata che molti bambini, soprattutto piccoli, accolti in famiglie affidatarie o in comunità, con la previsione di tempi brevi vi rimangono in realtà per anni prima di veder definita la loro situazione giuridica… al termine di queste lunghe attese giudiziarie alcuni bambini sono diventati grandi e più difficilmente adottabili o si sono creati legami significativi per cui rimangono nella famiglia in affidamento anche se dichiarati adottabili”73. Il ddl 2805, di cui il Gruppo ha riferito nel precedente Rapporto74 e che conteneva, fra l’altro, la delega al Governo per la “specificazione della nozione di abbandono materiale e morale dei figli con riguardo alla provata irrecuperabilità delle capacità genitoriali in un tempo ragionevole da parte dei genitori”, è stato convertito 71 Segnaliamo, da prendere ad esempio, la delibera della Regione Piemonte del 19/1/2010 n. 30-13077, di “Approvazione di indicazioni operative per i servizi sociali e sanitari in materia di segnalazione di minori in presunto stato di abbandono”. 72 Op. cit., pag. 506. 73 In“Riflessioni sulla situazione dei minori in affidamento o in comunità in Italia”, op. cit. disponibile su www.tavolonazionaleaffido.it 74 5° Rapporto CRC, pag. 57, nota 63. nella Legge 219/201275. Il Governo è dunque chiamato a legiferare rispetto alla definizione dei presupposti per la dichiarazione dello stato di adottabilità tenendo conto della delega ricevuta. Rispetto a ciò, si ritiene che possa esserci il rischio di nuove e ulteriori incertezze in materia di dichiarazione dello stato di adottabilità quasi si volesse spostare il focus dai tempi del minore a quelli degli adulti. I tempi processuali, infatti, hanno certamente una valenza positiva se dedicati al recupero della famiglia d’origine, all’accurata valutazione della sussistenza e qualità delle capacità genitoriali e alla tutela del diritto della famiglia di origine76 ad impugnare la sentenza di adottabilità. Sono invece intollerabili quei tempi morti in cui nulla avviene, in attesa di relazioni, consulenze e provvedimenti e i tempi lunghissimi in cui vengono fissate le udienze in Cassazione. 77 Nell’ambito delle adozioni nazionali, la possibilità di una procedura che permetta di assicurare al minore – senza privarlo del suo diritto ad essere adottato – continuità affettive nel rispetto di quei legami importanti che possono sussistere anche qualora le carenze della famiglia di origine non siano recuperabili, consentirebbe decisioni più tempestive e sicuramente meno drammatiche anche per chi le deve emettere, attesa la non più radicale e irreversibile posta in gioco. Non comporta l’eliminazione dei rapporti con la famiglia di origine l’adozione in casi particolari, disciplinata dall’art. 44 della Legge 184/1983 e s.m., che è prevista nei confronti di quei minori non dichiarati adottabili ma che si trovano in una delle quattro situazioni previste per legge78. Consentita anche ai single 75 In G.U. n. 293 del 17 dicembre 2012. 76 Con il limite indicato dalla Corte di Cassazione che ciò avvenga “in tempi compatibili con l’esigenza del minore ad uno stabile contesto familiare” – così le recenti sentenze n.991 16/1/2013 e n.3062 del 8/2/2013, che sul punto richiamano entrambe la sentenza Cass. N.9769 del 14/1/2012. 77 Ai sensi dell’art. 8 comma 1 Legge. 184/1983 così come modificata dalla Legge 149/2001. 78 I casi riguardano minorenni adottati: a) da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, quando il minore sia orfano di padre e di madre; b) dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell’altro coniuge; c) quando il minore si trovi nelle condizioni indicate dall’art.3, comma 1, della Legge 104/1992 – con disabilità – e sia orfano di padre e di madre; d) quando vi sia la constata impossibilità di affidamento preadottivo. e ai conviventi, è revocabile e non ha effetti legittimanti. Sul punto occorre precisare che, a seguito dell’entrata in vigore della Legge 219/2012 che ha parificato lo status di figlio naturale a quello legittimo, non è chiaro se la nuova formulazione introdotta dalla legge79 attribuisca effetti legittimanti anche alle adozioni in casi particolari. La recente “Relazione Conclusiva della Commissione per lo studio e l’approfondimento delle questioni giuridiche afferenti la famiglia e l’elaborazione di proposte di modifica alla relativa disciplina” sembrerebbe essere di contrario avviso80 . La questione merita considerazione in quanto riguarda lo status di tanti figli adottivi: rileviamo che nel 2011 le adozioni in casi particolari hanno rappresentato il 41% delle adozioni nazionali totali81. Dai dati disaggregati sui 4 casi previsti dalla legge, risulta che il 67% delle adozioni pronunciate ai sensi dell’art. 44 della Legge 184/1983 riguarda il caso previsto dalla lettera b) cioè “dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell’altro coniuge”, ma nel 28% dei casi l’adozione in casi particolari viene pronunciata ai sensi della lettera d) cioè “quando vi sia la constata impossibilità di affidamento preadottivo”82. A tal riguardo rinnoviamo la preoccupazione che in molti casi i TM decidano di pronunciare un’adozione in casi particolari ex art. 44 lettera d), e non invece di tipo legittimante anche al fine di permettere la “continuità degli affetti” nel passaggio tra affido e adozione. In base ad alcune interpretazioni giurisprudenziali, invece, tale continuità degli affetti sarebbe invece possibile anche in presenza di un’adozione legittimante: “l’art. 27, 3° comma legge 184/1983, nel sancire la 79 Art. 74 c.c.: “la parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all’interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo. Il vincolo di parentela non sorge nei casi di adozione di persone maggiori di età, di cui agli articoli 291 e seguenti” 80 Del 4 marzo 2013, istituita con D.M. 9.3.2012. Sul punto si precisa che il riferimento ai figli “adottivi” deve essere inteso con riferimento alla sola adozione “piena” (pag. 142) anche se in altri punti della relazione il riferimento ad “adottivi” richiama le adozioni per casi particolari e dei maggiori di età (pagg. 174 e 176). 81 Dati del Dipartimento Giustizia Minorile, già citati: nel 2011 sono state 706 le adozioni in casi particolari, 700 nel 2010 e 682 nel 2009. 82 Nel 2011 sono state pronunciate 706 adozioni in casi particolari ai sensi dell’art. 44, Legge 184/1983: 27 ex lett. a); 473 ex lett. b); 9 ex lett. c) e 197 ex lett. d) cessazione dei rapporti dell’adottato verso la famiglia di origine, deve intendersi riferito (…) ai soli rapporti di tipo giuridico”83 e quindi non escluderebbe la possibilità di mantenere rapporti de facto. Dall’indagine prima citata relativa ai bambini in affido familiare o in comunità, emerge che “…circa il 4% di bambini presenta una crisi del percorso adottivo, lo 0,8% ha alle spalle un fallimento adottivo…”84. Tali dati sono solo il campanello di allarme di una situazione – quella degli esiti dell’adozione – che in Italia non è affatto monitorata. Lo stesso Comitato ONU, nelle sue raccomandazioni all’Italia, ha posto l’accento sulla necessità di un monitoraggio sistematico sul benessere dei bambini adottati e sulle cause e conseguenze dell’eventuale interruzione dell’adozione. Recentemente sono state espresse preoccupazioni anche dai Garanti dell’Infanzia Regionali, dove, nell’audizione alla Commissione Infanzia, rilevano “la necessità di un sostegno concreto e costante – anche, se non soprattutto, di natura psicologica – che possa ripristinare le condizioni del percorso adottivo o ridurre le conseguenza negative di un’eventuale interruzione del rapporto tra minore e famiglia adottante”. Ricordiamo che i bambini adottati sono sempre più spesso bambini con bisogni speciali perché grandi o con problemi di salute o fortemente traumatizzati, che hanno bisogno di genitori con “risorse altrettanto speciali”. La stessa Commissione Parlamentare Infanzia – nel citato Documento Conclusivo – si è pronunciata sottolineando “l’assenza di adeguati percorsi di accompagnamento delle coppie nel periodo post-adottivo, come già accennato, in cui massima è la richiesta da parte della famiglia di supporto psicologico e di assistenza anche materiale in presenza di bambini difficili o anche soltanto in età già scolare”. Il Gruppo concorda su questo aspetto e, d’altra parte, segnala che alcune delle proposte indicate dalla Commissione come possibile misura per facilitare l’adozione dei minori con biso83 Così il TM dell’Emilia Romagna del 28/11/2002, commento su “Minori e Giustizia”, n.1/2003, pag. 275. 84 Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, “Bambine e bambini temporaneamente fuori dalla famiglia di origine”, pag. 14. gni speciali – innalzamento dei limiti di età delle coppie o forme di affido internazionale – sono considerate, dalla maggior parte delle associazioni, inadeguate, complesse, costose e non tutelanti il minore. Sarebbe invece auspicabile sostenere maggiormente le famiglie adottive attraverso l’introduzione di quei sostegni psico-sociali85 ed economici che da tanti anni il Gruppo CRC segnala come indispensabili e denuncia come mai attuati malgrado siano stati previsti dalla stessa Legge 149/200186. Sostegni utili a favorire l’adozione di bambini con bisogni speciali e a supportare la famiglia adottiva nel corso del tempo. I dati sull’adozione internazionale sono aggiornati, grazie al Rapporto annualmente pubblicato dalla Commissione per le Adozioni Internazionali87 da cui si evince che, nel 2012, 2.469 famiglie italiane hanno adottato 3.106 bambini provenienti da 55 Paesi diversi, con un calo del 22,8% rispetto al numero delle adozioni internazionali realizzate nel 2011. Tale diminuzione ha indotto molti a ricercarne le cause nell’attuale crisi economica e ha portato qualcuno ad interrogarsi sulla necessità di una riforma delle nostre leggi e procedure interne. Se è vero che le coppie disponibili all’adozione, negli ultimi anni, sono in progressiva diminuzione, passando dalle 6147 del 2008 alle 5349 del 2011, con un calo negli ultimi 5 anni di circa il 13%, è pur vero che tale diminuzione non è sufficiente a giustificare da sola un crollo così significativo del numero delle adozioni internazionali. A questo proposito ci pare utile estendere l’analisi al contesto internazionale, in cui le adozioni internazionali sono numericamente diminuite in tutti i Paesi di accoglienza soprattutto a causa di cambiamenti politici, procedurali o legislativi dei Paesi di origine dei minori, così come rilevato dalla Commissione Adozioni In 85 Segnaliamo le “Linee Guida” per il sostegno post adottivo elaborate da CISMAI – www.cismai.org 86 Ricordiamo infatti che l’art.6, comma 8, Legge 149/2001 – che prevede che gli Enti Locali possano intervenire anche con misure economiche al sostegno delle adozioni di ultradodicenni o minori con disabilità – è ad oggi stato attuato solo dalla Regione Piemonte. 87 Coppie e bambini nelle adozioni internazionali – report sui fascicoli anno 2012 – dati provvisori al 4 gennaio 2013. ternazionali88. Crediamo inoltre che le crescenti difficoltà del progetto adottivo (età89 e situazione dei minori adottabili, burocrazia, tempi e costi), siano tra i principali motivi per cui sono diminuite le famiglie che adottano, malgrado restino numerose le segnalazioni dei bambini adottabili90. Come indicato anche dalla Commissione Parlamentare Infanzia, è certamente necessario attuare delle politiche nazionali e internazionali che vadano nella direzione di incoraggiare e sostenere chi si candida ad essere genitore adottivo senza sottovalutare però, aggiungiamo noi, la necessità di valutarne le effettive risorse e capacità. In questo senso ci parrebbe auspicabile orientarsi nella direzione in parte tracciata dalla medesima Commissione Parlamentare relativamente ad una “tempistica più breve di tutto l’iter procedurale”, che non comporti, però, una diminuzione degli incontri di informazione, formazione, e valutazione. Inoltre, sarebbe auspicabile introdurre politiche di riduzione dei costi per l’adozione attraverso un sistema di sovvenzioni e agevolazioni fiscali ai genitori adottivi tali da coprire almeno le spese Italia, sia nel pre che nel post-adozione. Sul fronte internazionale, è auspicabile una maggior collaborazione tra Commissione per le Adozioni Internazionali, Ministero degli Esteri e Ambasciate e diventa urgente promuovere la conclusione di accordi bilaterali con tutti quei Paesi che non hanno ancora ratificato la Convenzione de L’Aja91. La ratifica di accordi e convenzioni, infatti, appare 88 Vedi Comunicato della CAI: “Le adozioni internazionali nel 2012” del 7/1/2013 su www.commissioneadozioni.it 89 Rispetto all’età dei minori adottabili e alla differenza tra questa e quella degli adottanti, si ribadisce quanto evidenziato nel rapporto 2012 a p. 58 in nota 70 sulla prassi di inserire limiti di età dei minori adottabili nei decreti di idoneità all’adozione internazionale. 90 Specifichiamo che i 168 milioni di bambini “fuori famiglia”, segnalati a pag. 505 del documento conclusivo della Commissione Parlamentare Infanzia, già citato, sono invece bambini stimati da USAID e Unicef come bambini vulnerabili, tra cui anche gli orfani di un solo genitore e quindi non per questo abbandonati o fuori dalla propria famiglia. 91 Oltre il 45% degli Stati di Provenienza dei bambini adottati nel 2011 ( nel 2011 erano il 41,8% ) non ha ratificato la Convenzione de L’Aja. Segnaliamo quelli da cui sono arrivati più bambini: Federazione Russa (24,1%); Etiopia (7,5%); Ucraina (7.2%), Congo (4,4%), Ungheria (2,5%) Bielorussia (1,5%). Di questi, solo la Federazione Russa ha un Accordo Bilaterale con ’Italia del 2008 mentre la Bielorussia ha solo un processo verbale di collaborazione del 2001. Per lo stato aggiornato delle ratifiche: www.hcch.net/index_en.php?act=conventions. status&cid=69. Per lo stato aggiornato degli accordi bilaterali con L’Italia: www.commissioneadozioni.it condizione necessaria affinché possano essere garantiti i diritti fondamentali del bambino, primo fra tutti quello dell’accertamento del suo effettivo stato di adottabilità. Inoltre si segnala che l’elevato numero degli enti autorizzati all’adozione92 di fatto impedisce un reale controllo da parte della CAI sulle modalità operative degli enti autorizzati, soprattutto all’estero. Anche la Commissione Parlamentare Infanzia, nel documento citato, rileva come “alcuni enti autorizzati non sarebbero adeguatamente attrezzati né sul piano delle risorse né su quello delle competenze” e indica come necessaria una “razionalizzazione del settore mediante un innalzamento dei requisiti richiesti, così come già raccomandato dallo stesso Comitato ONU relativamente alla necessità di un controllo sistematico degli enti autorizzati e ad una riduzione del numero degli enti. Pertanto il Gruppo CRC raccomanda: 1. Al Ministero della Giustizia, la razionaliz- zazione dei tempi procedurali per la defi- nizione dello stato di adottabilità, soprat- tutto in considerazione dell’importanza del fattore tempo in relazione ai bambini. 2. Al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali la realizzazione di indagini qualita- tive sullo stato di benessere, nel corso del tempo, di tutti i bambini adottati in Italia, sia attraverso l’adozione nazionale che in- ternazionale, e l’introduzione di interventi di sostegno, anche economici alle famiglie adottive, in particolare per l’adozione di bambini con bisogni speciali così come anche previsto dall’art. 6 comma 8 Legge 184/1983 e s.m.; 3. Alla Commissione per le Adozioni Inter- nazionali, l’innalzamento degli standard di qualità degli enti autorizzati, con partico- lare attenzione all’attività svolta all’estero e l’indicazione di requisiti minimi essen- ziali quali l’obbligatorietà della certifica- zione di bilancio e la qualità dei servizi di accompagnamento e sostegno nel pre e post adozione 92 Sono 63 gli enti autorizzati inseriti nell’Albo della CAI. 5. sottrazIoNE INtErNazIoNalE DI MINorI Rispetto alla situazione delineata nel 5° Rapporto del Gruppo di Lavoro CRC, la situazione appare sostanzialmente invariata. In particolare per quanto riguarda la proposta di legge sul “Rapimento di Minori”93, non c’è stato nessun progresso e l’auspicio è che possa venir ripresa nella nuova legislatura. Per quanto riguarda la Task Force Interministeriale, istituita presso il Ministero degli Affari Esteri, ed in particolare il suo braccio operativo, che si dovrebbe occupare dell’esecuzione dei provvedimenti di rimpatrio dei Minori, non parrebbe ancora compiutamente operativa. Si sottolinea come le associazioni94 rilevino soluzioni giudiziarie differenti a seconda dei tribunali di riferimento, in quanto in casi analoghi di sottrazione di minori, le Procure presso i Tribunali e i Tribunali per i Minorenni adottano provvedimenti differenti. Sarebbe importante pertanto promuovere la formazione e specializzazione degli operatori giudiziari. È di fondamentale importanza la diffusione di una cultura del rispetto dei diritti agli affetti ed al godimento delle relazioni con entrambi i genitori e le loro famiglie di ogni bambino nato dall’unione di persone provenienti da Paesi diversi. Sotto l’aspetto della prevenzione, sarebbe auspicabile la realizzazione di un programma informativo, destinato alle nuove coppie miste, affinché acquisiscano consapevolezza dei propri doveri e diritti nei confronti dei figli e dell’importanza di impostare la loro educazione in un contesto culturale misto, rispettoso delle radici di entrambi i genitori. Contestualmente, riteniamo necessario sollecitare gli Enti preposti all’emissione di documenti per l’espatrio (es. questure, consolati), affinché nel caso di minori figli di coppie con diversa cittadinanza venga applicata la massima attenzione nel valutare le condizioni dell’espatrio, ovvero se c’è l’accordo di entrambi i genitori, con chi il minore è autorizzato ad espatriare e 93 Proposta di legge 212 del 28.4.2006 disponibile su www.camera. it/_dati/leg16/lavori/schedela/apriTelecomando_wai.asp?codice=16PDL 0021840&stampa=true&mostraP=false&mostraRif=false 94 Esperienza dell’Associazione Figli Sottratti. quali sono i tempi previsti per il rientro e/o gli eventuali vincoli. Cosi, come già evidenziato nel 5 Rapporto CRC, sarebbe opportuna una maggiore attenzione ai posti di frontiera, affinché controlli puntuali vengano effettuati a tutti i cittadini in transito con minori, anche se non inseriti nei circuiti di Schengen o SIRENE95, con lo scopo di scoraggiare e intercettare i tentativi di espatrio non autorizzati. Infine, si pone il problema relativo ai dati reali sulle sottrazioni internazionali di minori, poiché solo così si possono adottare tutti i provvedimenti necessari a risolvere questo fenomeno. Anche se il MAE e il Ministero della Giustizia mettono a disposizione una serie di informazioni e dati96, non vi sono invece quelli forniti dal Ministero dell’Interno, e le associazioni del settore lamentano il fatto che tali dati siano parziali e non tengano conto del numero dei minori coinvolti (un caso può infatti riferirsi anche a più figli coinvolti). Il Gruppo CRC raccomanda pertanto: 1. Al Ministero degli Esteri e della Giustizia di completare l’organizzazione della Task Force Interministeriale, creando un repar- to operativo, che si occupi dell’esecuzione dei rimpatri dei minori rapiti all’estero e la realizzazione e diffusione di documenta- zione informativa diretta alle nuove cop- pie con diversa cittadinanza; 2. Al Ministero dell’Interno di migliorare i controlli sui minori alle frontiere, nei porti e negli aeroporti; di rendere disponibili i dati sui rapimenti o sottrazioni di minori; di collaborare attivamente con la Task For- ce per l’esecuzione dei rimpatri; 3. Al Ministero della Giustizia di garanti- re la formazione e specializzazione degli operatori di giustizia. 95 Si veda anche 5° Rapporto CRC disponibile su www.gruppocrc.net/ Sottrazione-Internazionale-di 96 La comunicazione inviata dal MAE al Gruppo CRC nel 2012 faceva riferimento a n. 300 casi di minori contesi per il 2011, numero che ricomprendeva tanto i casi già aperti negli anni precedentie nona ncora definiti, quanto i casi aperti nel corso del solo 2011. Per approfondimento si veda www.esteri.it/MAE/approfondimenti/20110207_ scheda_sottrazione_internazionale_minori.pdf e www.giustizia.it/giustizia/ it/mg_2_5_10.wp Capitolo v salutE E assIstENza 1. NasCErE E CrEsCErE IN ItalIa 48. Il Comitato raccomanda che l’Italia prenda prov- vedimenti immediati per promuovere standard co- muni nei servizi di assistenza sanitaria per tutti i bambini in tutte le regioni e che: (d) intraprenda programmi di difesa e sensibilizza- zione destinati a scuole e famiglie, che sottoli- neino l’importanza dell’attività fisica, di abitudi- ni alimentari e stili di vita sani, incluso il Piano di prevenzione nazionale 2010-2012, e aumenti il numero di ore e la qualità dell’educazione fi- sica nei curricula delle scuole primarie e secon- darie. CRC/C/ITA/CO/3-4, 48, lett. d) Mortalità in età pediatrica Il tasso di mortalità infantile è uno dei più rilevanti indicatori delle condizioni sanitarie di un Paese ed è considerato un buon misuratore della qualità dei servizi per madri e bambini. I progressi scientifici e tecnologici e il miglioramento delle condizioni di vita, che hanno permesso una forte riduzione della mortalità nel primo anno di vita, non hanno del tutto eliminato i rischi, in particolare per il primo mese di vita. Nonostante la mortalità infantile abbia ormai raggiunto livelli molto contenuti, alcune aree del Paese sono tuttora penalizzate da rischi sensibilmente più elevati. Il tasso di mortalità infantile e il tasso di mortalità perinatale esprimono, rispettivamente, il numero di decessi nel primo anno di vita rapportato al numero dei nati vivi e il numero di nati morti e di morti nelle prime quattro settimane rapportati al totale dei nati vivi e dei nati morti. Gli ultimi dati forniti dall’ISTAT1 risalgono al 2010 e indicano un tasso di mortalità infantile pari a 3,2 morti ogni mille nati vivi, valore leggermente inferiore a quello osservato l’anno precedente (3,4‰). In Italia il valore del tasso di mortalità infantile è inferiore sia al livello medio dei Paesi dell’UE 27 (4,0‰)2, sia ai valori osservati in Paesi 1 Elaborazioni dati ISTAT, Cause di morte 2010. Disponibile al link, http:// dati.istat.it/?lang=it 2 Per approfondimenti, si veda http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/ page/portal/population/data/main_tables come la Germania, la Francia e gli Stati Uniti. Non va però sottovalutata la forte variabilità territoriale, con un indubbio svantaggio del Mezzogiorno. Nelle Regioni del Sud si osservano valori del tasso superiori a quelli della media italiana (mediamente 3,8 con un intervallo di variazione tra 3,3 della Puglia e 5,2 del Molise). In quelle del Centro-Nord non si riscontrano valori superiori alla media nazionale, ad eccezione della Valle d’Aosta (3,2) e della Provincia Autonoma di Bolzano (3,4) che si caratterizzano per una ridotta dimensione demografica. A livello provinciale la mortalità infantile segue lo stesso andamento regionale, tuttavia a Campobasso, Crotone, Messina, Agrigento, Enna e Carbonia-Iglesias il dato è di gran lunga superiore al più alto valore riscontrato per Regione, con tassi fino a 7,8‰ nati vivi3. La mortalità nel primo mese di vita resta la responsabile di oltre il 70% della mortalità infantile totale. Si rileva una concentrazione dei decessi in momenti sempre più prossimi alla nascita, anche se i flussi informativi derivanti dai Certificati di Assistenza al Parto (CeDAP) non si sono ancora stabilizzati e, al momento della stesura del presente Rapporto, la qualità della rilevazione dei nati morti aggiornata non è ancora disponibile. Le principali cause di decesso nel primo anno di età, per il 2010, sono rappresentate da condizioni che originano nel periodo perinatale (57,6%), seguite da malformazioni congenite e anomalie cromosomiche (23,4%). Per una quota ridotta di eventi, il decesso è dovuto a morte improvvisa inattesa: nel 2010 si sono verificati 24 decessi di questo tipo, con un tasso pari a 0,4 per 10.000 nati vivi. Per la mortalità nella fascia d’età 1-14 anni, la prima causa di morte è rappresentata da traumatismi e avvelenamenti (23,3%), mentre in quella 10-14 anni dai tumori (32,1%). Neonati e cure neonatali L’analisi dei dati sanitari e socio-demografici del CeDAP, conferma i dati riportati nel precedente 3 Elaborazioni dati ISTAT, Cause di morte 2010. Disponibile al link, http:// dati.istat.it/?lang=it Rapporto CRC4; purtroppo ad oggi non sono ancora disponibili i dati relativi al 2010. La distribuzione regionale dei nati secondo il peso alla nascita rileva, dal 2006 al 2009, un 1% di casi in cui il peso è stato inferiore ai 1.500 grammi. L’analisi congiunta della fonte informativa del CeDAP5 e dell’Anagrafica delle strutture di ricovero, permette di qualificare i Punti Nascita sul territorio nazionale in funzione di alcune caratteristiche organizzative associate ai tre livelli assistenziali individuati dal Progetto Materno-Infantile-D.M. 24 aprile 2000. La distribuzione regionale evidenzia che nelle Regioni del Nord oltre l’85% dei parti si svolge in Punti Nascita di oltre 1.000 parti annui; in quelle del Sud oltre il 26% dei parti avviene in strutture con meno di 500 parti annui. Troppe nascite avvengono ancora in centri privi di una copertura di guardia medico-ostetrica, anestesiologica, medico-pediatrica attiva 24h. La Conferenza Stato-Regioni, con l’Accordo del 16 dicembre 2010, ha approvato le “Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell’appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo”6, che prevede la razionalizzazione della rete dei Punti Nascita, l’abbinamento per pari complessità di attività delle Unità Operative ostetrico-ginecologiche con le Unità Operative neonatologiche/ pediatriche e l’attivazione o completamento e messa a regime del Sistema di Trasporto Assistito Materno (STAM) e Neonatale di Emergenza (STEN). Il percorso delineato dall’Accordo, che stabilisce la chiusura dei Punti Nascita con meno di 500 parti annui e la riduzione progressiva di quelli con meno di 1000, doveva concludersi entro il 2013, ma ad oggi questo obiettivo sembra difficile da raggiungere. A ottobre 20127 risultavano solo 57 i punti nascita chiusi o per i quali è stata disposta la chiusura sui 158 complessivi da chiudere, la maggior parte dei quali in Sicilia, Calabria e Puglia. Solo 8 Regioni hanno comunicato la chiusura dei loro punti na4 Per approfondimenti si veda 5° Rapporto CRC, pag. 63. 5 Certificato di assistenza al parto (CeDAP). Analisi dell’evento nascita-Anno 2009. Ministero della Salute www.salute.gov.it/ imgs/C_17_pubblicazioni_1731_allegato.pdf. 6 Gazzetta ufficiale del 18 gennaio 2011 (Serie generale, n. 13). 7 Pediatria magazine. Volume 2, 10, 29 Ottobre 2012. scita entro il termine stabilito per il 30 giugno 2012, e si tratta di un bilancio molto deficitario: il Molise è passato da 5 a 3 punti nascita, la Sardegna da 23 a 21, il Veneto da 42 a 40, la Liguria da 13 a 11, la Basilicata da 8 a 5. La Calabria ha chiuso 7 punti nascita pubblici e 2 cliniche private, mentre la Sicilia ha programmato la chiusura di 27 punti. La Puglia ha stabilito di disattivarne 10. Spicca la Campania che non ne ha chiuso nessuno, e solo 2 su 18 sono stati chiusi nelle Marche. Parti cesarei Come evidenziato nel 5° Rapporto CRC8, purtroppo i dati relativi al numero di parti cesarei effettuati in Italia risalgono ancora al 2009 e sottolineano il ricorso eccessivo al parto chirurgico nel nostro Paese: il 38% dei parti è avvenuto infatti con taglio cesareo (TC); il 23,6% in Toscana, il 52,6% in Sicilia e il 59,6% in Campania. Le percentuali sono molto superiori rispetto alla media europea (26,8%) e soprattutto alla soglia del 15% che secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) garantisce il massimo beneficio complessivo per la madre e il bambino. In particolare, si registra un’elevata propensione al taglio cesareo nelle Case di cura accreditate, in cui vi si ricorre nel 58,3% dei parti contro il 35% negli ospedali pubblici. Il parto cesareo è più frequente nelle donne con cittadinanza italiana rispetto alle donne straniere (il 40,1% contro il 28,6%)9. Diritti della donna e del bambino alla nascita Nella maggior parte dei punti nascita10, anche in questo caso con rilevanti differenze tra le diverse Regioni, non sono ancora assicurati standard internazionali relativamente ai diritti della donna e del bambino, quali ad esempio la scelta della posizione in travaglio di parto, la presenza di un familiare al parto, l’immediato (salvo complicanze) contatto tra madre e 8 Si veda 5° Rapporto CRC, pag. 63. Disponibile su www.gruppocrc. net/salute-e-servizi-sanitari 9 Certificato di assistenza al parto (CeDAP), op. cit. 10 Certificato di assistenza al parto (CeDAP), op. cit. neonato, l’attaccamento al seno entro la prima ora, il rooming in, una adeguata informazione alla dimissione ed un collegamento con i servizi territoriali per l’assistenza post-partum. Counselling preconcezionale Nonostante l’accesso all’informazione e al counselling preconcezionale sia in grado di ridurre significativamente l’incidenza di patologie genetiche, malformative ed infettive, non sono ancora stati realizzati interventi e politiche atti a garantire questo aspetto cruciale delle cure, oggetto di uno specifico programma del Ministero della Salute11. Malattie croniche Un problema particolarmente rilevante per la salute dei bambini e degli adolescenti è quello delle malattie croniche. Come già evidenziato dal 5° Rapporto CRC12, in Italia, ogni anno, circa 60.000 bambini hanno bisogno di cure particolari. Molte di queste patologie sono rare, alcune risultano curabili, altre comportano disabilità permanenti. Mediamente un bambino ogni 20 nati ha problemi di salute che lo accompagnano per tutta la vita, con frequenti interventi medici e ricoveri in ospedale. I dati disponibili su questo tema sono scarsi e mancano indagini appropriate che consentano un monitoraggio costante. Nel 2010 un’indagine dell’Istituto Superiore di Sanitàº13 ha poi stimato che il 22,9% e l’11,1% dei bambini di 8-9 anni sono rispettivamente sovrappeso e in condizioni di obesità, con percentuali tendenzialmente più basse al Nord e più alte nel Centro-Sud. Casi di hIv/aIDs pediatrico In Italia si stimano 140-150.000 casi di persone con HIV/AIDS. Fra i 63.891 casi di AIDS segnalati fino al 31 dicembre 2011, 780 (1,2%) sono casi pediatrici, cioè pazienti minori di 13 anni 11 Progetto “Pensiamoci prima”. Disponibile su www.pensiamociprima. net/content/Raccomandazioni.pdf. 12 Si veda 5° Rapporto CRC, pag. 64. 13 Spinelli, Lamberti, Baglio, Nardone, Gruppo OKkio alla SALUTE 2010 – Istituto Superiore di Sanità, “OKkio alla SALUTE. Anno 2010”. al momento della diagnosi di AIDS, o con età superiore ai 12 anni, ma con infezione acquisita dalla madre (30 casi, il 3,8%). Il numero di casi pediatrici si è drasticamente ridotto nell’ultimo decennio. La cospicua diminuzione dei casi di AIDS pediatrici, osservata a partire dal 1997, può considerarsi l’effetto combinato dell’applicazione delle linee guida relative al trattamento antiretrovirale delle donne in gravidanza per ridurre la trasmissione mamma- bambino, e della terapia antiretrovirale somministrata ai bambini infetti che ritarda la comparsa dell’AIDS conclamato14. Secondo il Registro Italiano di Pediatria, nel 2010 sono nati 189 bambini da madre con infezione da HIV, 3 dei quali (1,6%) hanno acquisito il virus. Nel 53% dei casi le madri che hanno partorito provengono da area endemica, il 27% riferisce come fattore di rischio rapporti sessuali e nel 5% l’uso di droghe per via iniettiva (nel 1990 erano quasi il 70%). Nel 2011 in Italia vivevano 464 minori con infezione da HIV di cui 268 adolescenti (quasi tutti infetti dalla nascita). Crescere con l’infezione da HIV richiede, oltre a competenze mediche specialistiche, un supporto psicosociale adeguato: alcuni connotati della patologia (trasmissibilità per via sessuale, possibili effetti collaterali dei farmaci, rappresentazione sociale stereotipata della malattia) e della storia familiare rendono particolarmente complessi i processi di separazione e identificazione tipici della fase adolescenziale e necessari per la crescita armoniosa dei ragazzi. vaccinazioni In Italia, come è noto, alcune vaccinazioni pediatriche sono obbligatorie per tutti (poliomelite, difterite, tetano ed epatite virale B), mentre per altre, definite raccomandate (pertosse, morbillo, parotite, rosolia ed Haemophilus influenzae b), l’obbligo non sussiste, nonostante specifici atti normativi prevedano sia l’offerta attiva da parte delle strutture sanitarie pubbliche, sia il raggiungimento di determinati livelli di copertura nella popolazione in età evolutiva. Il Piano nazionale della prevenzione vaccinale 14 Notiziario Istituto Superiore Sanità 2012;25 (10, Suppl. 1):3-47. 2012- 201415, approvato con Intesa Stato-Regioni nel febbraio 2012, ha tra i propri obiettivi, quello di garantire l’offerta attiva e gratuita delle vaccinazioni prioritarie per la popolazione generale. Per quanto riguarda l’infanzia e adolescenza, queste sono le principali novità: l’introduzione nel Piano del vaccino contro il papilloma virus, che, diventa gratuito per le ragazze tra gli 11 e i 12 anni; l’antimeningococco e l’antipneumococco sono calendarizzati a livello nazionale; il posticipo dell’introduzione del vaccino contro la varicella in tutte le Regioni al 2015. Il Gruppo CRC raccomanda pertanto: 1. Al Ministero del Lavoro e Politiche So- ciali, al Ministero della Salute e alle Re- gioni, nell’ambito delle rispettive compe- tenze, di: a) attivare politiche di governo dei servizi e programmi di informazione e di formazione atti a ridurre l’inaccettabile disuguaglianza tra aree geografiche nella qualità delle cure alla gravidanza; b) di aumentare l’attenzione rispetto ai nuclei familiari con bisogni speciali; c) di intro- durre sistematicamente il counselling pre- concezionale; d) di garantire il supporto alle competenze genitoriali con particolare attenzione ai primi anni di vita; e) di ga- rantire il rispetto dei diritti delle donne e dei bambini a partire dal momento della nascita; 2. Al Ministero del Lavoro e Politiche So- ciali, al Ministero della Salute e agli Enti preposti, di rafforzare gli attuali strumenti di monitoraggio di variabili di carattere sa- nitario, epidemiologico e socio-demografi- co relative alle cure prenatali e perinatali, inclusa l’informazione e la prevenzione. 15 Intesa tra il Governo, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano sul documento recante “Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale (PNPV) 2012-2014”. Intesa ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della Legge 131/2003. Rep. Atti n. 54/CSR del 22/02/ 2012, su www. statoregioni.it/Documenti/DOC_035260_54%20csr%20punto%204.pdf 2. aMbIENtE E salutE INfaNtIlE Il diritto di bambini ed adolescenti a crescere e vivere in un ambiente salubre non è ancora completamente assicurato in Italia, nonostante alcuni progressi registrati negli ultimi anni. Le criticità evidenziate durante la V Conferenza Interministeriale su “ambiente e salute” dell’ Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 2010 permangono, così come gli obiettivi prioritari allora individuati, inquadrabili in tre tematiche principali: Riduzione del traffico automobilistico urba no, con conseguente riduzione degli inciden ti stradali e della difficoltà per bambini ed adolescenti a muoversi autonomamente a piedi nel loro territorio; Riduzione dell’inquinamento atmosferico outdoor ed indoor e dei suoi effetti nocivi sulla salute; Riduzione dell’esposizione ad agenti chimici e fisici nocivi16. Gli incidenti sono la seconda causa di morte in Italia (per i bambini e ragazzi) nella fascia di età compresa tra 1 e 14 anni e la prima in assoluto nella fascia 15-34. Tra essi, i più importanti e gravi sono quelli stradali. Il Rapporto ISTAT-ACI 201117 sugli incidenti stradali indica che i morti fino a 14 anni sono stati 61 (0,7 per 100.000) e i feriti 12.501 (146,8 per 100.000). La disordinata urbanizzazione del territorio italiano negli ultimi decenni ha determinato un aumento del traffico automobilistico e quindi anche degli incidenti stradali. Contemporaneamente, si è ridotto di molto il numero dei bambini che vanno a scuola a piedi o in bicicletta (meno del 30% del totale)18. Gli incidenti sono dovuti ad una serie di fattori prevedibili e prevenibili, umani (educazione, rispetto delle regole), legislativi (divieti, limiti di velocità) ed ambientali (tipologia delle automobili, delle strade, dei parcheggi, numero di veicoli in circolazione). Agendo su tutti questi fattori, 16 “Protecting Children’s Health in a Changing Environment”, Report of the Fifth Ministerial Conference on Environment and Health, 2010. 17 ISTAT, ACI, Incidenti stradali anno 2011, disponibili al link www. istat.it/it/archivio/73732. 18 Cfr. Tonucci F. et al., “L’autonomia di movimento dei bambini italiani”, Quaderni del progetto “La città dei bambini” n. 1 Giu. 2002; ancora, “Children’s Independent Mobility in Italy” consultabile al link www.lacittadeibambini.org/ricerca/allegati/Report%20italiano1.pdf. gli incidenti diventerebbero più rari. I programmi necessari per ottenere questi risultati sono noti da tempo e si sono dimostrati estremamente efficaci19. In Italia recentemente sono stati avviati programmi di educazione stradale, volti a correggere i fattori umani che influenzano gli incidenti20, ma rimangono ancora carenti le iniziative legislative e strutturali volte a limitare il numero dei veicoli circolanti e la loro velocità, soprattutto in prossimità di centri cittadini e scuole. Rimane così invariata la difficoltà per bambini ed adolescenti di muoversi autonomamente a piedi nelle città, cosa che spiega in parte il tasso di sovrappeso ed obesità della popolazione infantile italiana. Questa difficoltà di movimento autonomo riduce anche la possibilità di socializzazione dei bambini, che oggi non sono più in grado di “frequentare” in modo indipendente le proprie città, e sono costretti spesso a vivere in spazi chiusi, con poche possibilità di contatto tra loro. Un intervento importante per contrastare questo rischio è rappresentato dal programma “Città amiche dei bambini”, attivo in Italia dal 1996 con l’obbiettivo di costruire un ambiente “a misura di bambino”º21. Le correlazioni tra inquinamento atmosferico e patologie respiratorie sono note da tempo. Le polveri ultrafini, di diametro inferiore a 0,1 micron, caratterizzate da un elevato contenuto di particelle carboniose, sono le più pericolose per la salute umana, essendo in grado di attraversare tutte le membrane biologiche, compresa la placenta, e di veicolare anche al feto una notevole quantità di molecole tossiche e metalli pesanti22. Sebbene sia dimostrato come la misura di queste ultime sia maggiormente in grado di monitorare i rischi dell’inquinamento atmosferico per la salute e gli esiti delle misure 19 Pucher J, Dijkstr L., “Promoting Safe Walking and Cycling to Improve Public Health: Lessons From The Netherlands and Germany”. Am J Public Health. 2003;93:1509–1516. 20 Rapporto di sintesi sugli esiti del monitoraggio del III Piano biennale nazionale di azioni e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva (PNI). Si veda infra Capitolo I, paragrafo “Il Piano Nazionale Infanzia”. 21 UNICEF, “Costruire città amiche delle bambine e dei bambini”, www.unicef.it/doc/154/citta-amiche-dei-bambini.htm. 22 Latzin P., Frey U., Armann J. et al.,“Exposure to moderate air pollution during late pregnancy and cord blood cytokine secretion in healthy neonates”, PloS One. 2011;6(8)e23130. di mitigazione del traffico e delle altre fonti di inquinamento23, l’indicatore più comunemente usato dalla normativa italiana continua ad essere il PM 10. In tal modo possiamo avere informazioni solo molto parziali del fenomeno, sottovalutando i rischi per la salute, specie quelli di medio-lungo termine. Tra tali rischi sono riportati non solo una maggior prevalenza di sensibilizzazioni allergiche ed asma24, ma soprattutto effetti negativi irreversibili sullo sviluppo dell’apparato respiratorio, con riduzione permanente della funzionalità respiratoria25. Aumentano inoltre gli studi che dimostrano come l’esposizione transplacentare ad inquinanti ambientali possa alterare l’epigenoma fetale, ed essere una delle cause dell’aumento, in tutto il mondo occidentale, di molte patologie cronico-degenerative e neoplastiche26. Apprezzabili sono gli sforzi delle istituzioni scientifiche italiane per ridurre questo gap di conoscenze. Si segnala in particolare uno studio in corso che si propone di effettuare una valutazione integrata dell’impatto ambientale e sanitario dell’inquinamento atmosferico (VIIAS) con particolare riguardo alle polveri fini ed ultrafini27. Anche sul tema dell’ inquinamento indoor sono stati fatti sforzi significativi per migliorare l’ambiente di vita infantile, in particolare negli ambienti scolastici. Sebbene non esista ancora in Italia una specifica normativa di riferimento, vanno segnalati due accordi siglati tra il Ministero della Salute e le Regioni relativi alle Linee guida per la tutela e la promozione della salute negli ambienti confinati ed alle Linee di indirizzo per la prevenzione nelle scuole dei fattori di rischio indoor per allergie ed asma28. Sempre in 23 Janssen N., Gerlofs-Nijland M, Lanki T, et al. “Health effects of black carbon”, WHO Regional office for Europe, 2012. 24 Clark N.A., Demers P.A., Catherine J.K., et al., “Effect of early life exposure to air pollution on development of childhood asthma”, Envir Health Perspect 2010; 118:284-290. 25 Gauderman WJ, Vora H., McConnel R., et al., “Effect of exposure to traffic on lung development from 10 to 18 of age: a cohort study”, Lancet 2007; 369: 571- 577. 26 Joss-Moore L.A., Lane R.H., “The developmental origins of adult disease”. Curr Opin Pediatr.2009,21.230-4. 27 Progetto Finalizzato: Metodi per la valutazione integrata dell’ impatto ambientale e sanitario (VIIAS) dell’inquinamento atmosferico, www.ccm network.it/documenti_Ccm/programmi_e_progetti/2011/ sostegnoPnp&GS/sorv-epid/ambiente%20e%20salute/2-progettoViias_ Lazio.pdf. 28 Notiziario dell’Istituto Superiore di Sanità 2012 (25);5:7-10. merito a questo tema, si deve inoltre ricordare una delle azioni promosse dal progetto “Genitori più”, inserito nel Piano nazionale della prevenzione 2010-2012 del Ministero della Salute, ovvero la protezione dei bambini dal fumo passivo29 e dal “fumo di terza mano”, che consiste nell’insieme delle tossine che restano negli ambienti confinati dopo lo spegnimento delle sigarette, e che colpisce in particolare i bambini che abitano con genitori fumatori e viaggiano in automobili in cui si fuma. Infine, per quanto concerne la protezione di bambini ed adolescenti dall’esposizione ad agenti chimici e fisici nocivi, si deve segnalare una carenza quasi assoluta di norme. Mancano infatti in Italia leggi che definiscano l’obbligo di programmi scolastici di prevenzione dai rischi delle radiazioni ultraviolette, auspicati dalla comunità scientifica30; le normative sull’esposizione alle radiazioni acustiche sono poco applicate, tanto che solo il 42,9% dei Comuni ha approvato il Piano di classificazione acustica previsto per legge31, ed i limiti fissati per l’esposizione alle radiazioni elettromagnetiche sono da molti esperti ritenuti eccessivamente elevati. Nonostante le evidenze scientifiche, si riscontra a tutt’oggi una scarsa attenzione da parte delle istituzioni italiane sui rischi dell’esposizione ai numerosi composti chimici immessi nell’ambiente e di cui sono documentati i possibili effetti endocrini, cancerogeni, immunologici e genotossici. Tra questi, una preoccupazione particolare destano i biocidi utilizzati in agricoltura, che possono contaminare le catene alimentari umane32. Tra le poche eccezioni vanno segnalati il progetto Previeni dell’Istituto Superiore di Sanità33 e le iniziative per l’attuazione del regolamento REACH (Registration, Evaluation and Authorisation and restriction of Chemical)34. 29 Progetto Nazionale Genitori più www.genitoripiu.it/it/pages/ilprogetto- 1 30 Si veda www.epicentro.iss.it/problemi/uv/uv.asp#Prevenzione 31 Si veda http://annuario.isprambiente.it/versione-integrale-2011. 32 Vinson F., Merhi M., Baldi I., et al. ”Exposure to pesticides and risk of childhood cancer: a meta-analysis of recent epidemiological studies”, Occup Environ Med. 2011 Sep;68(9):694 702. 33 Si veda www.iss.it/prvn/prog/cont.php?id=162&lang=1&tipo=39 34 Si veda www.minambiente.it/home_it/menu.html?mp=/menu/ menu_attivita/&m=argomenti.html%7CREACH.html Il Gruppo CRC reitera pertanto le prece- denti raccomandazioni: 1. Al Ministero del Lavoro e delle Politi- che Sociali, al Ministero della Salute, al Ministero Infrastrutture e Trasporti e al Ministero dell’Ambiente, Tutela del territo- rio e del mare, nell’ambito delle rispettive competenze, di migliorare le condizioni di mobilità, sicurezza e qualità della vita nel- le città, di incrementare gli sforzi per una riduzione del traffico veicolare privato, in particolare nei dintorni delle strutture sco- lastiche, incentivando la mobilità pedona- le sicura dei bambini, e di monitorare l’ap- plicazione delle Linee guida per la tutela e la promozione della salute negli ambienti confinati; 2. Al Ministero del Lavoro e delle Politi- che Sociali, al Ministero della Salute e al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, nell’ambito delle rispettive competenze di promuovere e sostenere le ricerche miranti a indagare le correlazioni tra gli inquinanti chimici e i rischi per la salute per mettere in atto tutte le azioni preventive possibili, in particolare conti- nuando ad implementare le azioni per l’attuazione del regolamento REACH (Re- gistration, Evaluation and Authorisation and restriction of Chemical); 3. Al Ministero del Lavoro e delle Politi- che Sociali, al Ministero della Salute e al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, di inserire l’argomento dell’ inquinamento ambientale nei corsi di laurea in Medicina e Chirurgia, e nei cor- si obbligatori di formazione continua in medicina per tutti i medici già in attività, secondo l’esempio che alcune Università hanno proposto per l’implementazione del regolamento REACH. 3. baMbINI E aDolEsCENtI IN CoNDIzIoNE DI PovErtà IN ItalIa 58. Il Comitato sollecita l’Italia a intensificare gli sforzi per risolvere e sradicare la povertà e le ineguaglianze, in particolar modo dei bambini, e a: (a) considerare la riforma sistematica delle poli- tiche e dei programmi correnti per risolvere efficacemente la povertà infantile in modo sostenibile attraverso un approccio multidi- sciplinare che tenga conto dei fattori socia- li, culturali e geografici della riduzione della povertà; (b) valutare il risultato dei programmi correnti sulla lotta contro la povertà e garantire che le politiche e i piani successivi contengano indicatori rilevanti e un quadro di monito- raggio; (c) aumentare la partecipazione femminile al mercato del lavoro e promuovere modalità di lavoro flessibili per entrambi i genitori, anche attraverso l’aumento dei servizi di custodia dei bambini; (d) aumentare e favorire il sostegno al reddito per le famiglie a basso reddito con figli e garantire che tale sostegno venga esteso alle famiglie di origine straniera. CRC/C/ITA/CO/3-4, punto 58 Se hai meno di 18 anni, hai più probabilità di essere povero rispetto ad un adulto o a un anziano. Questa è la triste conclusione cui porta la lettura dei dati sulla condizione di povertà dei cittadini europei. Nel 2011, infatti, il 27% dei bambini (<18anni) dei 27 paesi dell’Unione europea era a rischio povertà ed esclusione sociale, contro il 24,3% degli adulti e il 20,5% degli over 6535. Per quanto riguarda l’Italia, secondo la stessa fonte, i dati sono tutti al di sopra della media UE: nel nostro Paese, infatti, il 32,3% dei minori è a rischio povertà, contro il 28,4% degli adulti e il 24,2% dei più anziani. Se si confrontano, poi, i dati del 2011 con quelli del 2008, si evince un peggioramento della situazione nel 35 Eurostat, “Children were the age group at the highest risk of poverty or social exclusion in 2011”, Statistics in focus 4/2013. Secondo la definizione utilizzata a livello comunitario nell’ambito della strategia 2020 l’indicatore di “rischio povertà o esclusione sociale” (AROPE) deriva dalla combinazione del rischio di povertà, della grave deprivazione materiale e della bassa intensità di lavoro ed è definito come la quota di popolazione che sperimenta almeno una delle suddette condizioni. nostro e in altri 20 Paesi, mentre in altri, come Austria, Germania, Portogallo, Polonia, Regno Unito e Romania la tendenza è inversa. In Italia, secondo gli ultimi dati ufficiali disponibili, riferiti al 2011, erano 2 milioni 782 mila le famiglie in condizione di povertà relativa (l’11,1%), per un totale di 8 milioni 173 mila di individui poveri, il 13,6% dell’intera popolazione36. La povertà continua a risultare più diffusa nel Sud Italia, tra le famiglie più ampie, in particolare con tre o più figli, soprattutto se minorenni. L’intensità della povertà, che misura di quanto in percentuale la spesa media delle famiglie povere è al di sotto della soglia di povertà, nel 2011 è risultata pari al 21,1% (corrispondente a una spesa media di 797,50 euro mensili), mentre nel Mezzogiorno è del 22,3% (corrispondente a 785,94 euro mensili); le situazioni più gravi si osservano tra i residenti in Sicilia (27,3%) e Calabria (26,2%), dove sono povere oltre un quarto delle famiglie. Dai dati relativi all’ampiezza, alla tipologia familiare, al numero di figli minori presenti e alla residenza, risulta in condizione di povertà relativa il 28,5% delle famiglie con cinque o più componenti, che diventa il 45,2% fra le famiglie che risiedono nel Mezzogiorno. Si tratta per lo più di coppie con tre o più figli, famiglie tra le quali l’incidenza di povertà è pari al 27,2% (43% al Sud). Il disagio economico è più diffuso se all’interno della famiglia sono presenti più figli minori: l’incidenza di povertà, pari al 14,8% tra le coppie con due figli e al 27,2% tra quelle che ne hanno almeno tre, sale, rispettivamente, al 16,2% e al 27,8% se i figli sono minori. Il fenomeno, ancora una volta, è particolarmente evidente 36 Istat, “La povertà in Italia. Anno 2011”, “Statistiche Report” 17 luglio 2012. La stima dell’incidenza della povertà relativa (cioè la percentuale di famiglie e persone povere) viene calcolata sulla base di una soglia convenzionale (linea di povertà) che individua il valore di spesa per consumi al di sotto del quale una famiglia viene definita povera in termini relativi. La soglia di povertà relativa per una famiglia di due componenti è pari alla spesa media mensile per persona nel Paese, che nel 2011 è risultata di 1.011,03 euro (+1,9% rispetto al valore della soglia nel 2010). Le famiglie composte da due persone che hanno una spesa mensile pari o inferiore a tale valore vengono classificate come povere. Per famiglie di ampiezza diversa il valore della linea si ottiene applicando un’opportuna scala di equivalenza che tiene conto delle economie di scala realizzabili all’aumentare del numero di componenti. nel Mezzogiorno, dove è povera oltre la metà (il 50,6%) delle famiglie con tre o più figli minori37. Analoghe conclusioni si possono trarre dalla lettura dei dati sulla povertà assoluta, secondo cui sono 723mila i minori poveri. Nel 2011, in Italia, 1 milione e 297 mila famiglie (il 5,2%) risultano in condizione di povertà assoluta, per un totale di 3 milioni e 415 mila individui (il 5,7% dell’intera popolazione)38. La metà di queste famiglie (640 mila) risiede al Sud, così come oltre la metà degli individui (1 milione e 828 persone). Sempre al Sud, la povertà assoluta raggiunge l’8%. Anche per la povertà assoluta, si conferma lo svantaggio delle famiglie più ampie: l’incidenza è pari al 12,3% se i componenti sono almeno cinque e al 10,4% tra le coppie con tre o più figli: se poi i figli sono minori si arriva al 10,9%. La povertà minorile si addensa in situazione familiari particolari (famiglie operaie, con un solo genitore, composte da immigrati) e incide in misura crescente anche sulle coppie più giovani, contribuendo a scoraggiare i tassi di natalità. Inoltre, si associa ad altri importanti fattori di povertà, quali la variabile territoriale e il livello di istruzione dei genitori. Come si è visto dai dati, chi nasce al Sud ha una maggiore probabilità di crescere in una famiglia povera, considerando anche che proprio al Sud si rilevano una maggiore presenza di famiglie numerose, bassi tassi di occupazione femminile, un’alta percentuale di famiglie monoreddito o in cui entrambi i genitori sono disoccupati, e tassi di scolarizzazione più bassi e alti livelli di dispersione. Inoltre, la povertà minorile è assai più elevata se il capo famiglia ha un basso tasso di istruzione39. 37 Istat, “La povertà in Italia. Anno 2011”, cit. Cfr. anche: Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali-Inps-Istat, “Rapporto sulla coesione sociale anno 2012”, Vol. 1, p. 40. 38 Ibidem. L’incidenza della povertà assoluta viene calcolata sulla base di una soglia di povertà corrispondente alla spesa mensile minima necessaria per acquisire il paniere di beni e servizi che, nel contesto italiano e per una determinata famiglia, è considerato essenziale a uno standard di vita minimamente accettabile. Vengono classificate come assolutamente povere le famiglie con una spesa mensile pari o inferiore al valore della soglia (che si differenzia per dimensione e composizione per età della famiglia, per ripartizione geografica e ampiezza demografica del comune di residenza). 39 Save the Children, “Atlante dell’Infanzia (a rischio): Mappe per (ri) connettersi al futuro”. A cura di G. Cederna 2012, p. 91. La pubblicazione, nel marzo 2013, da parte del Cnel e dell’ISTAT, del primo “Rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile (Bes)”, ha posto le basi per accogliere, almeno in parte, la richiesta avanzata nel 5° Rapporto CRC, in cui si raccomandava di “considerare la povertà minorile quale oggetto specifico di indagine al fine di meglio specificare le caratteristiche e di fornire al decisore politico un quadro esatto della situazione italiana”40 . Nel Rapporto infatti si annuncia che è allo studio “un indice di deprivazione dei bambini” sulla base della constatazione che “nel nostro Paese la povertà e la deprivazione dei minori sono i più elevati in Europa e mostrano una tendenza al peggioramento”, posto che, ad esempio, tra i minori nel nostro Paese si osservano più alti livelli di deprivazione (12%) e peggiori condizioni abitative (12,4%, a fronte dell’8,9% medio nazionale)41. Purtroppo la crisi economica ha aggravato quegli aspetti, specificatamente riferiti al contrasto della povertà minorile nel nostro Paese, già segnalati nei precedenti Rapporti CRC, quali il disequilibrio della spesa sociale (specie quella destinata alla famiglia e alla maternità), la fragilità dei servizi di welfare, aggravata dalle politiche di forte riduzione delle risorse finalizzate agli interventi sociali. Anche quest’anno, dunque, dobbiamo ripetere che il riconoscimento, nell’ambito del “Terzo Piano biennale nazionale di azioni e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva”, della lotta alla povertà quale obiettivo prioritario nelle politiche a favore dell’infanzia non si traduce ancora in precisi interventi e azioni, adeguatamente fi 40 Si veda 5° Rapporto CRC, pag. 86. 41 Cnel-Istat, “Bes 2013. Il benessere equo e sostenibile in Italia”, 2013, pp. 99-100, 104: “Le variabili e la fonte di riferimento sono ancora da definire: peraltro, nel biennio 2013-2014, nell’ambito dell’indagine Eu-Silc e a livello europeo, verrà sperimentato un modulo specifico volto alla messa a punto di indicatori sui minori.” Sul tema della ricerca in ambito di povertà infantile si guardi anche UNICEF- Centro di Ricerca Innocenti, “Misurare la povertà tra i bambini e gli adolescenti”, 2012. Infine, ci sembra utile segnalare l’iniziativa della Koning Boudewijnstichting che ha creato il “Transatlantic Forum on Inclusive Early Years” coinvolgendo soggetti di cinque Paesi europei (tra cui l’Italia), più Usa e Canada (www.kbs-frb.org/otheractivity. aspx?id=293963&langtype=1033). Nell’ambito di questo progetto, è stato pubblicato in italiano il rapporto “Bambini poveri: chi sono, cosa chiedono, cosa ricevono”, 2013 (www.fondazionezancan.it/ pubblicazioni/view/563). nanziati42, e ciò nonostante il fatto che, anche a livello comunitario, emerga l’urgenza di elaborare strategie integrate, basate sull’accesso a risorse sufficienti, l’accesso a servizi di qualità a un costo sostenibile e il diritto dei minori a partecipare alla vita sociale43. Il Gruppo CRC raccomanda pertanto: 1. All’ISTAT, di concerto con l’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, la Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza e il Garante nazionale per l’in- fanzia e l’adolescenza, di realizzare, nell’am- bito del Programma Statistica Nazionale, una specifica rilevazione sulla povertà minorile; 2. Al Governo di prevedere, in sede di ela- borazione delle politiche economiche e delle riforme strategiche, una valutazione dell’im- patto che queste possono avere sulla popo- lazione da 0 a 18 anni, soprattutto per quan- to attiene il rischio povertà ed esclusione sociale e di adottare disposizioni volte ad attenuare eventuali ripercussioni negative; 3. Al Governo di definire, anche consultan- do le organizzazioni del Terzo Settore, di concerto con le Regioni, e al Parlamento di approvare, un Piano straordinario na- zionale di contrasto alla povertà minori- le, ispirato ai Principi guida delle Nazioni Unite su povertà estrema e diritti umani e tenendo conto del quadro di priorità della strategia Europa 2020. 42 III Piano nazionale Infanzia (cit.). Si veda, al proposito, anche il Rapporto di monitoraggio del III Piano nazionale, op.cit.. Anche nel PNR 2012, non v’è alcuna previsione d’intervento relativo in particolare alla povertà minorile nel nostro Paese (cfr. Ministero dell’Economia e delle Finanze, Documento di Economia e Finanza 2012. Sezione III: Programma Nazionale di Riforma). Da segnalare positivamente la previsione di azioni specificatamente rivolte al contrasto della povertà minorile nell’ambito del quadro strategico proposto dal governo Monti per l’utilizzo dei Fondi comunitari per la coesione 2014-2020 (cfr. Ministro per la Coesione Territoriale, Metodi e obiettivi per un uso efficace dei Fondi comunitari 2014-2020, 27 dicembre 2012). 43 In tal senso si esprime la Raccomandazione della Commissione europea “Investire nell’infanzia per spezzare il circolo vizioso dello svantaggio sociale”, del 20 febbraio 2013 (2013/112/UE), in Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, Legge 59/2013. Anche i “Principi guida delle Nazioni Unite su povertà estrema e diritti umani”, adottati dal Consiglio dei Diritti umani delle Nazioni Unite il 27 settembre 2012, indicano nella lotta alla povertà minorile la priorità per gli Stati al fine di sradicare la povertà (cfr. la traduzione italiana dei “Principi guida” a cura della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato della Repubblica nella XVI legislatura: www. ohchr.org/Documents/Issues/Poverty/UNGuidelines_Italian.pdf). 4. allattaMENto 50. Il Comitato raccomanda che l’Italia prenda provvedimenti per migliorare le prassi dell’allat- tamento materno esclusivo per i primi sei mesi, attraverso misure di sensibilizzazione che inclu- dano campagne, informazioni e formazione per i funzionari governativi competenti e in parti- colare per il personale che opera nei reparti di maternità e per i genitori. Il Comitato raccomanda, inoltre, che l’Italia raf- forzi il monitoraggio delle norme di commercia- lizzazione esistenti correlate agli alimenti per i bambini e le norme correlate alla commercializ- zazione dei sostituti del latte materno, inclusi biberon e tettarelle, e garantisca il monitoraggio periodico di tali norme e l’azione nei confronti di coloro che violano il codice. CRC/C/ITA/CO/3-4, punto 50 Nei primi 6 mesi di vita il cosiddetto “allattamento esclusivo”, senza l’aggiunta di latte artificiale, acqua, tisane e camomille, frutta o pappine soddisfa da solo e in maniera equilibrata tutti i bisogni nutrizionali del bambino. In seguito, per maggiori esigenze nutrizionali, va integrato con cibi complementari, continuando l’Allattamento al Seno (AS) fino 2 anni ed oltre se desiderato della mamma e del bambino44. In Italia i 10 Passi OMS/UNICEF45 non sono ancora diffusi come dovrebbero nei punti nascita: gli “Ospedali Amici dei Bambini” (BFH) coprono meno del 4% dei nati sul territorio nazionale46. Programmi specifici per la promozione dell’AS come le iniziative Ospedali&Comunità Amici dei Bambini, sono stati inseriti in vari documenti e programmi governativi come il progetto “La promozione dell’AS nei reparti ospedalieri”, attivo in cinque Regioni italiane47 e che ha prodotto anche un sito con materiali 44 Linee di indirizzo nazionali sulla protezione, la promozione ed il sostegno dell’allattamento al seno. G.U. Serie Generale, n. 32 del 7 febbraio 2008 45 Tra i fattori di successo dell’AS, l’OMS e l’UNICEF citano la consapevolezza della madre del valore e delle modalità dello stesso, il contatto pelle a pelle prolungato fino all’avvio della prima poppata, l’attacco al seno frequente e precoce dalla prima ora dopo il parto, il rooming-in nelle giornate di degenza e il sostegno da parte di operatori formati. www.unicef.it/Allegati/Dichiarazione_congiunta_ OMS-UNICEF_1989.pdf 46 Si veda www.agenas.it/agenas_pdf/181110_per_PSN.pdf 47 Si veda www.ccm-network.it/programmi/2009/allattamento_ospedali utili48, ed il progetto della Regione Veneto49. Nonostante l’indicazione ad allattare sia inserita anche in altri piani e programmi nazionali50, non esiste ancora un comportamento uniforme nella realizzazione di progetti. L’attuazione di questi obiettivi trasversali è importante per garantire protezione, promozione e sostegno efficaci dove attualmente mancano, così come sono carenti interventi per il monitoraggio e la formazione del personale. La regionalizzazione del SSN rende ancora più difficile una regia che coordini enti ed ambiti d’azione, e non è stato possibile avere informazioni dal Ministero della Salute sulle iniziative che sono state intraprese e sui fondi dedicati alla protezione e promozione dell’AS. Nel marzo 2012, il Comitato Nazionale Multi- settoriale per l’Allattamento Materno (CMAM) ha concluso il primo mandato, che non è stato rinnovato. Nell’autunno 2012 è stato creato un tavolo tecnico sull’AS (TAS), che non rispecchia i criteri di composizione di un CMAM. Durante il triennio 2009-2012, il CMAM ha proposto degli indicatori, secondo gli orientamenti OMS/UNICEF51, per realizzare una raccolta dati nazionale, prodotto un “Impegno di autoregolamentazione da parte di Società scientifiche, Organismi Professionali e Associazioni componenti del CMAM nei rapporti con le Industrie che producono prodotti coperti dal Codice Internazionale”52, proposto al MIUR una revisione curriculare per tutte le professioni sanitarie pertinenti e l’inserimento della tematica dell’AS all’interno delle scuole per sensibilizzare dirigenti scolastici e personale docente. Il TAS proseguirà la campagna di comunicazione “Il latte della mamma non si scorda mai”. 48 Si veda www.lattematerno.it 49 http://prevenzione.ulss20.verona.it/docs/Promozionesalute/Sito_ Allattamento_Provvisorio.pdf 50 Si veda 5° Rapporto CRC (Guadagnare Salute, Genitori Più, la Bozza del Piano Sanitario Nazionale 2011-2013, il Piano Nazionale della Prevenzione 2010-2012 e le “Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell’appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo”). 51 USAID, AED, UC Davis, IFPRI, UNICEF, and WHO. Indicators for Assessing Infant and Young Child Feeding Practices: Part 1 Definitons – Conclusions of a Consensus Meeting Held 6–8 November 2007 in Washington, DC, USA. Geneva: WHO, 2008. http://whqlibdoc.who.int/ publications/2008/9789241596664_eng.pdf 52 Non ancora disponibile sul sito del Ministero Non esistono dati nazionali sull’AS successivi a quelli presentati nel 5° Rapporto CRC53; a livello regionale esistono solo dati parziali54 e difficilmente aggregabili. Una ricerca attualmente in corso per valutare l’efficacia dei 7 Passi dell’iniziativa Comunità Amiche dei Bambini sta raccogliendo dati su coorti di bambini seguite fino a 12 mesi in 18 aree di 9 regioni. I risultati55 riferiti a 1500 bambini nati tra la fine del 2009 e l’inizio del 2010, mostrano che il 96% delle madri inizia l’AS (77% esclusivo). A 3 mesi, il 77% dei bambini riceve ancora latte materno (54% esclusivo nelle 24 h precedenti, 46% nei 7 gg precedenti. A 6 mesi le percentuali cadono rispettivamente al 62%, 10% e 7%. A 12 mesi il 31% dei bambini continua ad essere allattato. A questo proposito il CMAM ha raccomandato di utilizzare in futuro un sistema omogeneo di raccolta dati. Anche la protezione dell’AS attraverso l’applicazione del Codice Internazionale sulla Commercializzazione dei Sostituti del Latte Materno56 è garantita solo in parte dalla legislazione nazionale57, che prevede che le strutture sanitarie realizzino interventi per contrastare forme di pubblicità palese o occulta dei sostituti del latte materno e proteggano da scorrette pratiche che interferiscono con l’AS. Attività irregolari possono essere segnalate alle Direzioni Sanitarie, ma questa possibilità non viene pubblicizzata58. Sono ancora poche le ASL che, a livello nazionale, organizzano eventi formativi (ECM o no) per aggiornare gli operatori sui contenuti del Codice ed il suo recepimento nella normativa italiana. A supporto della legislazione italiana in materia di tutela della maternità e della paternità, la Legge 92/201259 ha introdotto il congedo di 53 Per approfondimenti si veda 5° Rapporto CRC, pag. 71. 54 Si veda 5° Rapporto CRC per dati su Friuli Venezia Giulia e la città di Trieste, l’Emilia Romagna, la Lombardia, il Piemonte, la Liguria, il Lazio e la Sardegna. 55 Macaluso, A., Bettinelli, M. E., Chapin, E. M., Córdova do Espírito Santo, L., Murante, A. M., Montico, M., et al., “ (2013). Establishing baby-friendly communities throughout italy: Methods and baseline data. Breastfeeding Medicine”, 8(2) 56 Si veda, www.unicef.it/Allegati/Codice_sostituti_latte_ materno_11dic2012.pdf. 57 DM 9 aprile 2009 n.82. 58 Si veda www.ibfanitalia.org/wp-content/uploads/2012/10/modello_ lettera.pdf. 59 Si veda www.lavoro.gov.it/Lavoro/Notizie/20120704_Legge+riforma +lavoro.htm paternità obbligatorio di un giorno, spettante al padre lavoratore entro i 5 mesi dalla nascita del figlio, e quello facoltativo di 2 giorni in sostituzione della madre durante il periodo di astensione obbligatoria. La legge di stabilità 201360, recependo le modifiche disposte dal DL 216/2012 attuativo della direttiva 2010/18/ UE, consente la fruizione dei congedi parentali anche a ore, secondo le disposizioni adottate dai CCNL. Nel 2012 è partita la Campagna Nazionale per la difesa del latte materno dai contaminanti ambientali61, volta a sensibilizzare sull’importanza dell’AS e sui modi per prevenire o ridurre la sua contaminazione. Tra le richieste della Campagna alle Istituzioni competenti: un biomonitoraggio a campione del latte materno e del sangue cordonale, la ratifica della Convenzione di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti62, l’attuazione di buone pratiche, l’approvazione del disegno di legge per creare un marchio “dioxin free” per gli alimenti. Considerando quanto sopra, il Gruppo CRC reitera le precedenti raccomandazioni: 1. Al Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali e alle Regioni di ga- rantire la piena applicazione delle Linee di indirizzo nazionali su protezione, promo- zione e sostegno dell’AS a partire dall’i- stituzione di un monitoraggio nazionale dei tassi di AS secondo le definizioni OMS e di uno studio delle cause di fallimento dell’AS; 2. Al Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali e alle Regioni di as- sicurare l’adeguamento di tutti i provvedi- menti nazionali, regionali e locali ai requi- siti del Codice Internazionale OMS/UNICEF e delle pertinenti Risoluzioni successive dell’Assemblea Mondiale della Salute per la tutela dell’AS; 3. Al Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali e alle Regioni di ga- 60 Si veda www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglio Atto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2012-12-29&atto. codiceRedazionale=012G0252. 61 http://difesalattematerno.wordpress.com/ 62 Si veda www.salute.gov.it/sicurezzaChimica/.../ConvenzioneStoccolma .pdf. rantire l’attuazione del progetto Guadagna- re Salute e del Piano Nazionale della Pre- venzione con politiche e azioni concrete, coerenti e coordinate di programmi volti a favorire l’AS, come gli Ospedali&Comunità Amici dei Bambini. 5. la tutEla DEI DIrIttI DEI baMbINI IN osPEDalE 48. Il Comitato raccomanda che l’Italia prenda provvedimenti immediati per promuovere stan- dard comuni nei servizi di assistenza sanitaria per tutti i bambini in tutte le regioni e che: (a) proceda a un’analisi dell’applicazione del Pia- no sanitario nazionale 2006-2008 con riferi- mento al diritto dei bambini alla salute; (b) definisca senza indugio i livelli essenziali di assistenza sanitaria (LEA) per quanto riguar- da le prestazioni dal momento del concepi- mento all’adolescenza; (c) migliori i programmi di formazione per tutti i professionisti che operano in ambito sani- tario in conformità con i diritti dell’infanzia. CRC/C/ITA/CO/3-4, punto 48, lett. a), b), c) Le cure primarie pediatriche in Italia sono erogate dalle Aziende territoriali, che le realizzano attraverso la pediatria di famiglia e la pediatria di comunità ove presente, in collaborazione con la rete dei consultori familiari, i dipartimenti di prevenzione e con il coordinamento su base distrettuale. Non in tutte le Regioni i servizi riescono a garantire i medesimi standard di qualità nei servizi erogati (che tendono a penalizzare di più i bambini con particolari esigenze, come malati cronici, diversamente abili o con situazioni multiproblematiche) e nell’integrazione tra servizi sanitari, socio-educativi e sociali; in alcuni casi, poi, si riscontrano tuttora carenze nella formazione del personale. Recentemente si è assistito ad uno squilibrio tra nuovi specialisti e pensionamenti, che porterà nel giro di un decennio ad una grave carenza di pediatri. Desta poi preoccupazione l’ipotesi di una limitazione alla fascia 0-6 anni della copertura pediatrica, proposta del tutto in contrasto con le evidenze e le raccomandazioni provenienti dal livello europeo63. Il 63 Cfr. Wolfe I,Thompson M, Gil P, Tamburlini G, Blair M, Van den Bruel A et al., “Health services for children in western Europe”, Lancet, March 2013. “Manifesto per il diritto alla salute e al benessere dei bambini e degli adolescenti in Italia”64, promosso da una delle associazioni del Gruppo CRC65, sottolinea la pericolosità di ulteriori tagli alla spesa sociosanitaria per l’infanzia che stanno portando alla chiusura di numerosi reparti pediatrici, in particolare in alcune Regioni come Calabria, Puglia, Lazio. Come già portato alla luce nel 5° Rapporto CRC66, per quanto riguarda l’assistenza ospedaliera, gli indicatori disponibili forniscono utili informazioni sia per valutarne l’equità e documentare eventuali differenze nell’accesso alle cure, sia ai fini della programmazione regionale. Nel 2011 sono stati effettuati circa 727.388 ricoveri nella fascia 0-17 anni. La prima causa di ospedalizzazione è rappresentata dalle malattie del sistema respiratorio (11,9‰), seguita dalle patologie neonatali (8,2‰) e dai traumatismi (6,6‰), che insieme costituiscono il 37,1% dei ricoveri pediatrici. Per quanto riguarda i tassi di ospedalizzazione per Regione, la situazione è alquanto diversificata, passando da un tasso di 91,9 per 1.000 in Puglia e il regime ordinario a 44,4 del Friuli Venezia Giulia. Le differenze nei tassi di ospedalizzazione, che indicano, soprattutto se confrontate con gli standard europei, la presenza di un eccesso di ospedalizzazione in molte Regioni, variano a seconda delle fasce d’età e sono superiori nei primi anni di vita. Anche la durata media della degenza diminuisce con l’età. Inoltre, i ricoveri dei bambini, indipendentemente dall’età e dalla Regione di residenza, sono oltre il 10% più frequenti rispetto a quelli delle bambine67. La “migrazione sanitaria”, vale a dire il ricovero in un ospedale localizzato in altra Regione o Paese rispetto a quello di residenza, rappresenta un fenomeno che ha accompagnato l’estensione dell’assistenza all’intera popolazione ed il raggiungimento dell’uniformità di prestazioni per tutti i cittadini. In Italia la mi64 “Neonati, bambini e adolescenti hanno il diritto di essere assistiti sia sul territorio che in ospedale da personale medico, infermieristico, da professionisti e volontari specificamente formati e di essere accolti in ambienti a misura di bambino o di adolescente”, Manifesto per il diritto alla salute e al benessere dei bambini e degli adolescenti in Italia, promosso dalla Società Italiana di Pediatria (SIP), www.sip.it. 65 Società Italiana di Pediatria. 66 Si veda 5° Rapporto CRC, pag. 66. 67 Ministero della Salute. Dati SDO 2011. grazione si attesta intorno all’8,5%, nel 2011. Sono le Regioni del Centro-Nord ad avere una forte attrazione di utenza, in particolare la Liguria (3,6%), la Toscana e il Lazio (2,3%), mentre al Sud sono più elevati i valori dell’indice di fuga (in particolare in Calabria e Campania, rispettivamente 4,5% e 3,5%)68. Tra i determinanti di queste migrazioni, svolgono un ruolo importante, oltre a motivi strettamente sanitari e alla presenza di centri specialistici solo in alcune Regioni, anche fattori culturali, geografici e familiari. La conoscenza dell’entità del fenomeno migratorio è importante ai fini della programmazione degli investimenti e dei servizi a livello nazionale, regionale e locale. Come già evidenziato nei precedenti Rapporti CRC, l’esperienza dell’ospedalizzazione può essere difficile per bambini, adolescenti e le loro famiglie: il distacco dall’ambiente familiare, le cure mediche talvolta dolorose e/o invasive, la mancanza di preparazione al ricovero sono fattori che possono concorrere a determinare un vero e proprio trauma. Per questi motivi è fondamentale che si operi a livello nazionale e regionale per ridurre le ospedalizzazioni evitabili e la durata della degenza al minimo indispensabile. Si sottolinea come i programmi di “ospedale senza dolore”69, volti a minimizzare le procedure dolorose per i minori, avviati con successo in alcune realtà pediatriche italiane, non sono ancora prassi comune. Numerose Carte dei diritti dei bambini in ospedale, a partire dalla Carta di EACH70, sono state adattate al contesto italiano, includendovi le problematiche degli adolescenti, sia per quanto riguarda gli ospedali pediatrici che per i reparti di pediatria negli ospedali generali71. Per quanto riguarda i reparti di pediatria, per rendere concrete e misurabili le procedure è stato realizzato un Manuale per la certificazio 68 Ministero della Salute. Dati SDO 2011. 69 www.fondazione-livia-benini.org/archivio/docs/BENINI.PDF 70 EACH, acronimo di European Association for Children in Hospital. 71 A cura di Fondazione ABIO, in collaborazione con la Società Italiana di Pediatria (SIP); il testo della Carta dei Diritti dei Bambini e degli Adolescenti in Ospedale e disponibile sul sito www.abio.org.; Carta dei Diritti del Bambino in Ospedale, a cura dell’Associazione Ospedali Pediatrici Italiani, disponibile sul sito www.aopi.it/cartadiritti.html. Il Gruppo CRC reitera le precedenti racco- mandazioni: 1. Al Ministero della Salute di emanare, di concerto con le Regioni, direttive per assi- curare un migliore coordinamento tra servi- zi sanitari socio-educativi e assistenziali, di assicurare la copertura completa dell’assi- stenza pediatrica sul territorio e un amplia- mento dell’orario di accesso sulle 24 ore, sia incentivando la pediatria di gruppo e le associazioni multiprofessionali, sia garan- tendo un numero maggiore di accessi alla specializzazione, sia considerando l’affian- camento ai pediatri di personale infermieri- stico al fine di aumentare i massimali e so- prattutto di garantire migliori competenze sul piano della prevenzione e della comu- nicazione con le famiglie, incluse quelle mi- granti, sia predisponendo programmi mirati di cure a domicilio per i casi con bisogni specifici, sia infine attivando un program- ma nazionale finalizzato in particolare alla minimizzazione del dolore e delle procedu- re dolorose nel bambino; 2. Al Ministero della Salute di aggiornare e diffondere annualmente le statistiche sull’as- sistenza ospedaliera pediatrica, indicatori di appropriatezza e di qualità dei ricoveri e del- la continuità delle cure per malattie croniche e di avviare o almeno promuovere un’inda- gine presso tutti i reparti pediatrici italiani al fine di rilevare se e come i principi afferma- ti nella Carta dei Diritti dei Bambini e degli Adolescenti in Ospedale vengano applicati e, sulla base dei risultati ottenuti, emanare una Circolare in cui, precisando il necessario rispetto della Carta, si chiariscano le moda- lità di promozione dei diritti dei bambini in ospedale; 3. Al Ministero della Salute, anche al fine di dare piena attuazione all’art. 6 della Carta dei Diritti dei Bambini e degli Adolescen- ti in Ospedale, di prevedere per il perso- nale medico e paramedico delle strutture pediatriche e dei servizi pediatrici territo- riali la formazione sui diritti dei bambini, che affrontino anche le questioni connesse all’adolescenza, alle differenze culturali e Il Gruppo CRC reitera le precedenti racco- mandazioni: 1. Al Ministero della Salute di emanare, di concerto con le Regioni, direttive per assi- curare un migliore coordinamento tra servi- zi sanitari socio-educativi e assistenziali, di assicurare la copertura completa dell’assi- stenza pediatrica sul territorio e un amplia- mento dell’orario di accesso sulle 24 ore, sia incentivando la pediatria di gruppo e le associazioni multiprofessionali, sia garan- tendo un numero maggiore di accessi alla specializzazione, sia considerando l’affian- camento ai pediatri di personale infermieri- stico al fine di aumentare i massimali e so- prattutto di garantire migliori competenze sul piano della prevenzione e della comu- nicazione con le famiglie, incluse quelle mi- granti, sia predisponendo programmi mirati di cure a domicilio per i casi con bisogni specifici, sia infine attivando un program- ma nazionale finalizzato in particolare alla minimizzazione del dolore e delle procedu- re dolorose nel bambino; 2. Al Ministero della Salute di aggiornare e diffondere annualmente le statistiche sull’as- sistenza ospedaliera pediatrica, indicatori di appropriatezza e di qualità dei ricoveri e del- la continuità delle cure per malattie croniche e di avviare o almeno promuovere un’inda- gine presso tutti i reparti pediatrici italiani al fine di rilevare se e come i principi afferma- ti nella Carta dei Diritti dei Bambini e degli Adolescenti in Ospedale vengano applicati e, sulla base dei risultati ottenuti, emanare una Circolare in cui, precisando il necessario rispetto della Carta, si chiariscano le moda- lità di promozione dei diritti dei bambini in ospedale; 3. Al Ministero della Salute, anche al fine di dare piena attuazione all’art. 6 della Carta dei Diritti dei Bambini e degli Adolescen- ti in Ospedale, di prevedere per il perso- nale medico e paramedico delle strutture pediatriche e dei servizi pediatrici territo- riali la formazione sui diritti dei bambini, che affrontino anche le questioni connesse all’adolescenza, alle differenze culturali e religiose, nonché nelle Scuole di Specializ- zazione in Pediatria programmi di forma- zione specifici in “comunicazione”, per svi- luppare la capacita di relazionarsi in modo adeguato alle condizioni (età, cultura, tra- dizioni, ecc.) del paziente minore e della sua famiglia. 6. salutE MENtalE 52. Il Comitato, riferendosi al proprio Commento generale n. 4 (2003) sulla salute e lo sviluppo degli adolescenti, raccomanda che l’Italia rafforzi servizi e programmi disponibili e di qualità per la salute mentale e in particolare che: (a) applichi ed effettui il monitoraggio senza in- dugio delle Linee guida nazionali sulla salute mentale; (b) sviluppi una politica generale nazionale sulla salute mentale chiaramente incentrata sulla salute mentale degli adolescenti e ne garan- tisca l’applicazione efficace attraverso l’attri- buzione di finanziamenti, risorse pubbliche adeguate, sviluppo e applicazione di un si- stema di monitoraggio; (c) applichi un approccio multidisciplinare al trattamento dei disturbi psicologici e psico- sociali tra i minori attraverso la definizione di un sistema integrato di assistenza sanitaria per la salute mentale dei minori che coin- volga, a seconda dei casi, genitori, famiglia e scuola. CRC/C/ITA/CO/3-4, punto 52 Nell’ambito della salute mentale in infanzia e adolescenza, permangono le criticità già evidenziate nel 5° Rapporto CRC76. L’Italia ha buoni modelli e normative77, anche se poco applicate, e con ampie disuguaglianze intra e inter-regionali. Resta insufficiente lo stanziamento di risorse da parte delle Regioni per garantire alle ASL e ai Servizi di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (NPIA) di diffondere e consolidare la necessaria rete di strutture territoriali, semiresidenziali, residenziali e di ricovero, garantendo al loro interno 76 5° Rapporto CRC, pag 71-76, www.gruppocrc.net/IMG/pdf/5o_ Rapporto_di_aggiornamento__Gruppo_CRC.pdf. 77 Ad esempio, è l’unico paese al mondo che mantiene integrate neurologia, psichiatria e neuropsicologia all’interno dei servizi di Neuropsichiatria Infantile, nell’ottica di guardare al bambino nella sua globalità e non solo alle singole funzioni; è anche il primo Paese ad avere avviato l’integrazione dei disabili nelle scuole e ad avere chiuso i manicomi e altre istituzioni totali. le équipe multidisciplinari indispensabili per l’efficacia dei percorsi diagnostici e terapeutici. Continuano ad esservi Regioni78 in cui mancano gli stessi servizi territoriali e/o il personale è gravemente insufficiente e/o non sono previste tutte le figure multidisciplinari necessarie per i percorsi terapeutici79. La situazione è peggiorata nel 2012 a seguito dei provvedimenti di contenimento della spesa pubblica. Come già evidenziato nel 5° Rapporto CRC80, nelle Regioni in situazione meno precaria l’accesso ai servizi di NPIA continua a collocarsi intorno al 5-6% della popolazione infantile81, con un bisogno che è più che doppio. La patologia psichiatrica resta quella maggiormente negletta82, in particolare in adolescenza, sia nell’ambito della diagnosi precoce sia in quello della gestione delle emergenze che richiedono ricovero o interventi intensivi, per le quali il quadro è assai critico. Dei 382 letti di NPIA esistenti, quelli disponibili per acuzie psichiatrica sono solo 79. Solo un terzo dei ricoveri ordinari riesce ad avvenire in reparto di neuropsichiatria infantile, mentre gli altri avvengono in reparti inappropriati, compresi quelli psichiatrici per adulti83, con il rischio di percorsi di cura inefficienti e inefficaci, e di cronicizzazio 78 Ad esempio, Calabria, Campania, Liguria, Puglia, Sardegna ed altre. 79 Ad esempio, in Piemonte, che è una delle pochissime Regioni di cui vi siano dati aggiornati sia di attività che di personale (si veda dopo), il 62% dei servizi di NPIA non ha al proprio interno il personale riabilitativo. 80 Si veda 5° Rapporto CRC 2011-2012, pag. 72. 81 Regione Piemonte, www.sinpia.eu/regionali/sezione/cat/37/page/ documenti; Regione Emilia-Romagna, www.saluter.it/documentazione/ rapporti/ssr/Pubbli_SSR_2011.pdf; Regione Toscana, I servizi di salute mentale in Toscana: Rapporto novembre 2010.www.regione.toscana. it/regione/multimedia/RT/documents/2010/11/23/1290501980781_ Servizi%20di%20salute%20mentale%20in%20Toscana.pdf.; Documento GAT Acuzie Psichiatrica in Adolescenza Regione Lombardia, http://normativasan.servizirl.it/port/GetNormativaFile?fileName=3400_ DOCUMENTO%20GAT.pdf 82 Riesce ad accedere ai servizi di NPIA 1 utente su 2 con disturbo specifico di apprendimento, contro 1 su 4 con disturbo psichiatrico (si vedano i rapporti regionali citati). 83 Calderoni D., “Criticità di sistema nei ricoveri psichiatrici in adolescenza”, intervento al Convegno “Modelli innovativi di intervento nella crisi acuta in adolescenza”, Milano, maggio 2010; documento GAT Acuzie Psichiatrica in Adolescenza, Regione Lombardia, febbraio 2012. http://normativasan.servizirl.it/port/GetNormativaFile?fileName=3400_ DOCUMENTO GAT.pdf ne84. La maggior parte dei ricoveri psichiatrici in adolescenza avvengono per disturbi della condotta, abuso di sostanze o di alcool, gravi disturbi d’ansia e disturbi del comportamento alimentare.85 Altrettanto critica è la situazione relativa agli inserimenti in comunità terapeutica, su cui non esistono dati nazionali e che, spesso, avvengono lontano dalla residenza dei ragazzi a causa della carenza di strutture, con lunghe attese e difficoltà nel reinserimento nel proprio territorio86. L’impatto dei disturbi della condotta appare essere sempre più rilevante, come l’abuso di sostanze e di alcool87, che raramente è una vera e propria tossicodipendenza, ma ha comunque un ruolo significativo sia nella slatentizzazione del disturbo psichiatrico che nella complessità della sua gestione. Ciò implica la necessità di rimodulare i percorsi diagnostici e terapeutici e di giungere a definire modalità di raccordo stabile con i Dipartimenti Dipendenze. Anche i Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) rappresentano un’area che richiede attenzione. In adolescenza (13-17 anni), la prevalenza lifetime per la Anoressia Nervosa (AN) è 0.3%, per la Bulimia Nervosa (BN) è 0.9%, per il Binge Eating Disorder (BED) 1.6%, con una prevalenza sottosoglia88 di 0.8% per la AN e 2.5% per il BED89. Dati italiani indicano invece una prevalenza tra 12 e 25 anni del 2% per l’AN, tra il 2 e il 3% per la BN, e del 3-4% 84 Royal College of Psychiatrists, “Recommendations for In-patient psychiatric care for young people with severe mental illness”, London 2005, WHO (2005), “Child and Adolescent Mental Health Policies and Plans”, Mental Health Policy and Service Guidance Package, www.who. int/mental_health/policy/Childado_mh_module.pdf. 85 Calderoni D., “Criticità di sistema nei ricoveri psichiatrici in adolescenza”, Intervento al Convegno “Modelli innovativi di intervento nella crisi acuta in adolescenza”, Milano, maggio 2010; Clavenna, A., Cartabia M., Sequi M., Costantino M.A., Bortolotti A., Fortino I., Merlino L., Bonati M., “Burden of psychiatric disorders in the pediatric population”, European Neuropsychopharmacology 23, 2013, 98–106. 86 Direzione Generale Sanità Regione Lombardia, Report relativo ai ricoveri extracontratto 2010, nota della DG Sanità del 4-6-2012 prot H1.2012.0017581 http://normativasan.servizirl.it/port/GetNormativaFile?fileName=3660_ Ricoveri extracontratto psichiatria e NPIA 2010.doc 87 Si veda anche Capitolo VII, paragrafo “Il consumo di droghe e alcool tra i minori”. 88 In cui cioè un disturbo alimentare sembra comunque presente, anche se non vengono rispettati completamente i criteri diagnostici del DSM-IV 89 Swanson, S. A., Crow, S. J., Le Grange, D., Swendsen, J., Merikangas, K. R. (2011), “Prevalence and Correlates of Eating Disorders in Adolescence”, Archives of General Psychiatry, 68 (7), 2011, pp. 714723. per i disturbi EDNOS90. L’assenza di un sistema di classificazione universalmente accettato e di modalità standardizzate per determinare la presenza e il tipo di disturbo alimentare tra i bambini rende difficile il confronto tra i risultati degli studi sull’epidemiologia e le risposte al trattamento. L’incidenza dei DCA si è mantenuta abbastanza stabile negli ultimi anni, con un abbassamento nell’età d’esordio. L’incidenza dei DCA fino a 13 anni è stimata in 3,01 nuovi casi ogni 100.000, con una chiara relazione tra incidenza e aumento dell’etàº91. Non sono stati identificati casi di DCA al di sotto dei 5 anni. In recenti studi italiani92, l’incidenza dell’AN è di 4-8 nuovi casi anno per 100.000 individui, e di 9-12 per la BN, e l’età di esordio è stabilizzata fra i 10 e i 30 anni, con una età media di 17 anni. Questi dati mostrerebbero un aumento soprattutto per la BN e il BED. Inoltre, il rapporto maschi-femmine, finora stimato a 1/9, si sta modificando per l’aumento del numero dei maschi in età pre-adolescenziale e adolescenziale colpiti dalla malattia o con nuovi disturbi tipici del sesso maschile come, ad esempio, la bigoressia o reverse anorexia93. La creazione di una piattaforma online94, con una mappa aggiornata e dettagliata dei servizi pubblici e convenzionati su scala nazionale e delle associazioni dedicate ha confermato che sono pochissime le strutture specifiche per il trattamento dei DCA in età evolutiva e le prime risposte terapeutiche finiscano per essere prevalentemente affidate ai singole figure professionali (pediatri, psicologi, dietologi etc.), che per lo più rispondono al problema solo foca 90 Dati Aba (Associazione Bulimia Anoressia, 2012) e SISDCA (Società Italiana per lo Studio dei Disturbi del Comportamento Alimentare, 2012). 91 Nicholls, D., Bryant-Waugh, R., “Eating Disorders of Infancy and Childhood: Definition, Symptomatology, Epidemiology, and Comorbidity”, Child and Adolescent Psychiatric Clinics of North America, 18, 2009, pp. 17-30. 92 AAVV., “Il coraggio di guardare. Prospettive e incontri per la Prevenzione dei Disturbi del Comportamento Alimentare”, Collana Mettere le Ali, 2012. 93 Fonte: ABA (Associazione Bulimia Anoressia), www.bulimianoressia. it/. 94 La piattaforma www.disturbialimentarionline.it è stata realizzata nell’ambito del progetto nazionale ‘Le Buone Pratiche di cura e la Prevenzione sociale nei disturbi del comportamento alimentare’ promosso dal Ministero della Salute e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri- Dipartimento della Gioventu’ (2007-2010). lizzandosi sull’aspetto concreto dell’alimentazione, trascurando l’importanza delle famiglie e dei genitori nella cura dei DCA. In realtà un intervento non corretto rischia di rinforzare il sintomo e di favorirne l’evoluzione verso la cronicità. Le raccomandazioni del Documento di Consenso a cura dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS)95 confermano l’efficacia di un modello organizzativo per la gestione dei DCA età-specifico, multidimensionale, interdisciplinare e multi-professionale integrato, e sottolineano la necessità di celebrare al più presto una consensus conference specifica per i DCA in età infantile e adolescenziale. Per quanto riguarda i suicidi, gli ultimi dati si riferiscono al periodo 1993-2009 e i quozienti per classe d’età pubblicati consentono analisi solo per gli under 2596. La mortalità è diminuita significativamente, con un dimezzamento del numero di suicidi ogni centomila abitanti, che sono passati per i maschi da valori vicino a 4 per centomila nel 1993 a 2,1 nel 2009. Importanti riduzioni, quasi un terzo di suicidi in meno rispetto al valore di inizio periodo, si sono registrate anche tra le donne con meno di 24 anni (da 0,9 a 0,6 per centomila). La composizione per sesso evidenzia la maggiore propensione dei maschi al suicidio, più di tre volte superiore a quella delle femmine. Per quanto riguarda la prescrizione degli psicofarmaci per i bambini e gli adolescenti, i dati più recenti evidenziano che non ci sono stati sostanziali cambiamenti negli ultimi anni. Come già illustrato nel 5° Rapporto CRC97, la prevalenza di prescrizioni in età pediatrica di antipsicotici e antidepressivi dal 2003 al 2010 è diminuita rispetto ai tre anni precedenti ed è stabile (1,1 per mille per gli antidepressivi e 0,7 per mille per gli antipsicotici). I dati del registro nazionale dell’ADHD indicano che nel periodo 2007-2012 sono stati 2239 (0,03% della popolazione italiana tra i 6 e i 17 anni) i bambini e i ragazzi in trattamento con metilfenidato o ato 95 www.iss.it 96 ISTAT, “I suicidi in Italia”, www.istat.it/it/archivio/68812, 2012 97 Si veda 5° Rapporto CRC moxetina98. Sostanzialmente stabile risulta l’uso di sedativi e tranquillanti senza prescrizione medica negli adolescenti (12% nelle ragazze e 8% nei ragazzi)99. Nonostante tale situazione, la preoccupazione nell’opinione pubblica sull’uso di psicofarmaci nei bambini affetti da ADHD è in crescita. Sebbene tali terapie sembrino ben tollerate, è senza dubbio necessario pianificare studi di verifica longitudinali più a lungo termine, poiché un terzo dei bambini in terapia interrompe il trattamento prima di un anno per eventi avversi a volte gravi100. Va inoltre segnalato come il trattamento farmacologico di bambini al di sotto dell’età che consente di effettuare diagnosi di ADHD secondo i criteri internazionali (6 anni) risulti inefficace ed inappropriato, con il 90% dei bambini che continuano a manifestare i sintomi anche molto tempo dopo l’inizio del trattamento farmacologico101. Andrebbero inoltre implementate le risorse per i trattamenti non farmacologici scientificamente validati. La perdurante assenza di un sistema di monitoraggio complessivo della salute mentale in età evolutiva e dello stato dei servizi e delle iniziative in questo campo è particolarmente critica proprio nell’ambito degli interventi intensivi per la patologia psichiatrica in adolescenza, che pur essendo carenti sul piano quantitativo, maggiormente si potrebbero prestare a rischi di istituzionalizzazione di ritorno. Resta da realizzare la sensibilizzazione e formazione dei pediatri di famiglia, nella direzione di un raccordo stabile con i servizi di NPIA. Sul piano dei documenti istituzionali e linee guida, si segnala che sono stati approvati in Conferenza Stato-Regioni un documento di indirizzo sui disturbi dello spettro autistico e due 98 Istituto Superiore di Sanità, Registro nazionale ADHD, www.iss.it/ adhd/ 99 The 2011 ESPAD Report Substance Use Among Students in 36 European Countries www.espad.org/Uploads/ESPAD_reports/2011/ The_2011_ESPAD_Report_FULL_2012_10_29.pdf 100Didoni A, Sequi M., Panei P., Bonati M., “Lombardy ADHD Registry Group. One-year prospective follow-up of pharmacological treatment in children with attention-deficit/hyperactivity disorder”, Eur J Clin Pharmacol. 2011 Oct;67(10):1061-7 101 The Preschool Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder Treatment Study (PATS) 6-Year Follow-Up -www.jaacap.com/article/S08908567( 12)00993-8/abstract sui disturbi specifici di apprendimento102, ed è stato approvato il Piano d’Azione Nazionale Salute Mentale con un’ampia parte relativa ai servizi di NPIA e alla necessità di un adeguato sistema di monitoraggio103. È stata inoltre celebrata presso l’ISS la Consensus Conference sui DCA104. Proseguono, in alcune Regioni, programmi di intervento mirati per migliorare il coordinamento e la rete105, e per potenziare i servizi attraverso progetti innovativi106. Nel Piano Nazionale Prevenzione107 è previsto il contrasto ai DCA, con lo sviluppo di programmi di prevenzione nelle scuole. Si segnalano in questo senso positive esperienze108, numericamente contenute, volte a evitare fattori di rischio e a favorire quelli protettivi, che evidenziano la centralità di un approccio multi-fattoriale e di una modalità relazionale di interazione e condivisione dei vissuti emotivi con ragazzi e ragazze, genitori e insegnanti. Ciononostante, nel campo della promozione della salute mentale in infanzia e adolescenza e della diagnosi precoce dei disturbi neuropsichici, le iniziative continuano a restare poche, frammentate, con fondi molto limitati soprattutto nell’attuale periodo di crisi, e non sufficientemente coordinate tra le diverse componenti sanitarie (Dipartimento di Salute 102Conferenza Stato-Regioni del 25 luglio 2012, “Indicazioni per la diagnosi e la certificazione dei diagnostica dei disturbi specifici di apprendimento (DSA)”, Atti n.140/CSR www.statoregioni.it/Documenti/ DOC_037451_140%20%20csr%20punto%20%201bis.pdf ); Conferenza Unificata del 22 novembre 2012, “Linee di indirizzo per la promozione e il miglioramento degli interventi assistenziali nel settore dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo (DPS), con particolare riferimento ai disturbi dello spettro autistico”, rep. Atti n. 132/CU www.statoregioni. it/Documenti/DOC_038443_132%20CU%20(P.%205%20BIS%20ODG). pdf; Conferenza Stato-Regioni, “Linee guida per la predisposizione dei protocolli regionali per le attività di individuazione precoce dei casi sospetti di DSA in ambito scolastico”, Atti n. 13/CSR del 24/01/2013 www.statoregioni.it/Documenti/DOC_039336_13%20%20csr%20 punto%201%20odg.pdf). 103“Piano di azioni nazionale per la salute mentale”, Accordo tra il Governo, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano del 24/01/2013 2013, rep. Atti n. 4/CU www.statoregioni.it/Documenti/ DOC_039329_4%20CU%20(P.%2010%20ODG).pdf 104Informazioni su www.iss.it. 105Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte, Toscana. 106Emilia Romagna, Lombardia, Toscana. 107Si veda ultimo Piano Nazionale della Prevenzione 2010-2012, pag. 45-46. 108Progetto nazionale “Le Buone Pratiche di cura e la Prevenzione sociale nei disturbi del comportamento alimentare” promosso dal Ministero della Salute e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri- Dipartimento della Gioventu’ (2007-2010); AA VV., “Il coraggio di guardare. Prospettive e incontri per la Prevenzione dei Disturbi del Comportmamento Alimentare”, Collana Mettere le Ali, 2012 Mentale degli adulti, servizi di NPIA e pediatrici, servizi consultoriali, Dipartimento Dipendenze) e con l’area scolastica, educativa e sociale. Pertanto il Gruppo CRC, come già nel 2012, raccomanda: 1. Al Ministero della Salute e alla Commis- sione Salute della Conferenza delle Regioni di garantire, attraverso adeguati investi- menti di risorse, la presenza omogenea in tutto il territorio nazionale di un sistema integrato di servizi di Neuropsichiatria In- fantile, sia in termini di professionalità che di strutture, in grado di operare in coerente sinergia con pediatri, pedagogisti clinici e altre figure professionali riconosciute, così da garantire un approccio il più possibile multidisciplinare ai disturbi neuro psichici dell’infanzia e dell’adolescenza, e di strut- turare al suo interno Centri di Riferimen- to per patologie particolarmente rilevanti come DCA, autismo ecc., riferendo annual- mente l’esito dell’azione alla Commissione Parlamentare per l’Infanzia e l’Adolescenza e alla Commissione salute della Conferenza delle Regioni; 2. Al Ministero della Salute, alla Commis- sione Salute della Conferenza delle Regio- ni, all’Istituto Superiore di Sanità, ai Servizi di Neuropsichiatria di strutturare un ade- guato sistema di monitoraggio della salute mentale dei bambini e degli adolescenti, dello stato dei servizi ad essa dedicati e dei percorsi diagnostici e assistenziali dei disturbi neuropsichici nell’età evolutiva, ri- ferendo annualmente l’esito dell’azione alla Commissione Parlamentare per l’Infanzia e l’Adolescenza e alla Commissione salute della Conferenza della Regioni; 3. Al Ministero della Salute, al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricer- ca, alla Commissione Salute della Confe- renza delle Regioni di pianificare interventi coordinati di promozione della salute men- tale, con particolare attenzione alla sen- sibilizzazione e formazione dei pediatri di famiglia e degli operatori scolastici, all’uso appropriato dei farmaci, alla prevenzione dei suicidi, dei DCA e di altri analoghi di- sturbi ad elevato impatto, riferendo annual- mente l’esito dell’azione alla Commissione Parlamentare per l’Infanzia e l’Adolescenza e alla Commissione salute della Conferenza della Regioni. 7. baMbINI, aDolEsCENtI salutE E DIsabIlItà 46. Il Comitato raccomanda che l’Italia riveda le politiche e i programmi esistenti per garantire un approccio basato sui diritti in relazione ai bambini con disabilità e valuti iniziative di infor- mazione e formazione volte a garantire un’ele- vata sensibilizzazione dei funzionari governativi competenti e della collettività in merito a questo tema. Il Comitato raccomanda, anche, che l’Ita- lia provveda a fornire un numero sufficiente di insegnanti specializzati a tutte le scuole affinché tutti i bambini con disabilità possano accede- re a un’istruzione completa e di elevata qualità. Inoltre, il Comitato raccomanda che l’Italia ef- fettui la raccolta di dati specifici e disaggregati sui bambini con disabilità, inclusi quelli di età compresa tra 0 e 6 anni, per adattare politiche e programmi in base a tali esigenze. A tale propo- sito, il Comitato invita l’Italia a tenere conto del Commento generale n. 9 (2006) del Comitato sui diritti dei bambini con disabilità. CRC/C/ITA/CO/3-4, punto 46 Rispetto a quanto evidenziato nell’ultimo Rapporto CRC109, tra i provvedimenti assunti dall’ultimo Governo, ad eccezione dell’Accordo tra Stato e Regione in tema di appropriatezza degli interventi assistenziali nel campo dei disturbi dello spettro autistico110, non si evidenziano iniziative e/o azioni volte a favorire le condizioni delle politiche a favore dei bambini e degli adolescenti con disabilità e delle loro famiglie111. 109Si veda 5° Rapporto CRC, pag. 76. 110 “Linee d’indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità e dell’appropriatezza degli interventi assistenziali nel settore dei disturbi pervasivi dello sviluppo (DSP) con particolare riferimento ai disturbi dello spettro autistico”, (rep. Atti n. 132/CU del 22/11/2012 www.statoregioni.it/Documenti/DOC_038443_132%20CU%20(P.%20 5%20BIS%20ODG).pdf. 111 In attuazione della Legge 18/2009, è stato approvato dal Consiglio dei Ministri su proposta del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali il testo del primo Programma d’azione biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità. Il testo del programma d’azione è ora disponibile al link: www.fishonlus. it/files/2013/03/programma_azione_disabilita.pdf. La condizione di disabilità si conferma sempre più un fattore di povertà economica della famiglia112; inoltre, sul territorio nazionale, i percorsi di presa in carico sono ancora caratterizzati da elevata difformità e frammentazione. Tra le questioni di elevata gravità si rileva il permanere della violazione del diritto alla diagnosi precoce e certa, così come del diritto al trattamento abilitativo individualizzato, raramente riconosciuto nei modelli di welfare regionali tra i livelli essenziali di assistenza sanitaria. La specificità dell’intervento riabilitativo in età evolutiva, essenziale per l’appropriatezza delle risposte e ribadita anche recentemente a livello nazionale113, non è stata, però, accolta nel Piano di Indirizzo della Riabilitazione114. Manca tuttora un modello d’intervento valido su tutto il territorio nazionale, coerentemente con i principi su cui si fondano i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza). Si conferma grave il ritardo dei servizi di “presa in carico precoce”, che rimangono, come già più volte rilevato dal Gruppo CRC nei precedenti Rapporti, tardivi e frammentati. L’organizzazione dei servizi risulta ancora carente e in troppe realtà lasciata all’impegno oneroso dei genitori. Questa situazione diventa particolarmente gravosa per le famiglie che devono far fronte a gravi situazioni patologiche, tra cui, soprattutto, quelle genetiche. L’accesso tardivo ai servizi di diagnosi e cura, come rilevato dal Quaderno del Ministero della Salute115, può determinare il mancato miglioramento del quadro clinico-funzionale favorito dalla plasticità tipica della struttura cerebrale della prima infanzia; si evidenzia quindi come siano importanti la diagnosi precoce e certa e i programmi tempestivi di abilitazione per le prospettive di vita del bambino e della sua famiglia. 112 Una conferma dell’elevata incidenza della disabilità di un figlio per una famiglia arriva dall’ultimo Rapporto sulla povertà della Fondazione Zancan, “Vincere la povertà con un welfare generativo. La lotta alla povertà. Rapporto 2012”, Il Mulino, Bologna, 2012, nel quale si sottolinea l’elevata incidenza dei costi di cura, l’elevata possibilità di riduzione del reddito per assumere l’onere della cura famigliare, l’elevata possibilità di aumento dei costi connessi alle maggiori spese per sostenere il diritto alla socialità, ecc. 113 “Riabilitazione delle persone con disabilità dello sviluppo”, Quaderni del ministero della salute, n 8, marzo-aprile 2011 pg 74-79. 114 “Piano di Indirizzo per la Riabilitazione”, approvato dalla Conferenza Stato-Regioni il 10 febbraio 2011. 115 Ibidem. Sarebbe poi necessario stabilire dei legami tra i servizi d’intervento precoce e gli istituti prescolastici e scolastici per facilitare la transizione del bambino, così che queste prestazioni siano efficienti e semplici, evitando lunghe attese ed elevata burocrazia116. Nonostante le ripetute sollecitazioni, scarseggiano le iniziative per l’adozione di strumenti d’indagine e monitoraggio in grado di misurare l’entità quantitativa e qualitativa dello stato di salute dei bambini con disabilità nel nostro Paese, in particolare nella fascia d’età 0-5 anni; sono disponibili solo informazioni parziali a partire dai 6 anni. Pertanto non si conoscono l’entità e le caratteristiche della disabilità nella prima infanzia, né il suo impatto sulle fasce di popolazione a possibile maggior rischio nell’accesso e nell’equità delle cure, come i bambini stranieri. Rilevante appare la mancanza d’informazioni sulla presenza di disturbi di comunicazione e/o di comportamento. Il rischio di sviluppare problemi emotivi e comportamentali, per i ragazzi con Disabilità Intellettiva, è tre-quattro volte superiore rispetto a quello dei soggetti non disabili, e i disturbi della comunicazione e del linguaggio hanno una frequenza maggiore dell’80% negli individui con Disabilità Intellettiva grave o profonda117. Come già sottolineato nel 5° Rapporto CRC, i dati epidemiologici evidenziano un incremento di alcune tipologie di limitazioni funzionali, come le patologie multiple e complesse e l’autismo. Nonostante le evidenze richiamate dai documenti culturali e scientifici dell’OMS in tema di salute e disabilità e la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità118, ratificata dall’Italia nel 2009, nel nostro Paese le Leggi fondamentali sono ancora concepite secondo il concetto di handicap, impedendo così il diffondersi di una cultura e di una legislazione ade 116 Comitato ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, Commento Generale n. 9, “I diritti dei bambini e degli adolescenti con disabilità”, punto 57, “Diagnosi Precoce”, 2006. 117 La Malfa G., Ruggerini C., Castellani A., Manzotti S., Moncheri S., Nardocci F., “La promozione della salute mentale nella disabilità intellettiva. Consenso multidisciplinare e intersocietario”, Erickson, 2010. 118 Si veda www.lavoro.gov.it/NR/rdonlyres/74966B31-0855-4840B542- 3D9D0AEFCB83/0/Libretto_Tuttiuguali.pdf guata ai tempi, a cominciare dalla Legge quadro per l’assistenza 104/1992119, che andrebbe aggiornata. La Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (art. 25) e la CRC (art. 24) prevedono che tutti i bambini e gli adolescenti hanno diritto a godere del miglior stato di salute possibile. Inoltre, nell’ottica dell’art. 12 della CRC e dell’art. 3 della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, lo Stato deve impegnarsi a favorire la partecipazione di bambini e adolescenti con disabilità e ascoltare da loro quali possano essere i miglioramenti nei servizi sanitari di cui usufruiscono per meglio soddisfarne le esigenze120. Le due Convenzioni parlano lo stesso linguaggio ed individuano nell’inclusione sociale121 l’obiettivo e la prospettiva cui dovrebbero mirare le politiche nazionali in favore di tutti i bambini e adolescenti. È indispensabile che istituzioni e servizi si adoperino per favorire il coinvolgimento attivo delle famiglie e per supportarle in un percorso d’informazione e formazione sulle tutele e sull’accesso ai servizi. In quest’ottica, i Consultori pubblici devono assumere un ruolo centra 119 Per il testo integrale si veda www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir :stato:decreto.legge:1992-02-05;104!vig= 120 Il diritto al miglior stato di salute possibile dell’adolescente con disabilità è dettagliato anche nell’art. 35 del Commento generale n.4, “Salute e sviluppo degli adolescenti nel contesto della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza” del Comitato ONU sui diritti dell’infanzia: “In conformità con l’articolo 23 della Convenzione, gli adolescenti disabili mentalmente o fisicamente hanno pari opportunità di accesso al più alto standard possibile di salute fisica e mentale. Gli Stati parti hanno l’obbligo di fornire agli adolescenti disabili i mezzi necessari per realizzare i propri diritti. Gli Stati parti dovrebbero: (a) assicurarsi che le strutture sanitarie, i beni e i servizi siano disponibili e accessibili a tutti gli adolescenti disabili e che tali strutture e servizi promuovano la loro autonomia e la loro partecipazione attiva all’interno della società; (b) assicurarsi che l’attrezzatura necessaria e l’assistenza personale siano disponibili per permettere loro di muoversi, partecipare e comunicare; (c) porre attenzione specifica alle esigenze particolari relative alla sessualità degli adolescenti disabili; e (d) rimuovere le barriere che ostacolano gli adolescenti disabili a realizzare i loro diritti”. 121 La ratifica della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità ha ulteriormente rafforzato la necessità di ripensare l’intero sistema di protezione sociale in chiave inclusiva. La sintesi di tale processo di cambiamento è riconducibile al passaggio dal modello medico al modello bio-psico-sociale. Nel modello medico la società ha un problema: la persona con disabilità ha bisogno di cure e riabilitazione; le soluzioni sono ospedali o centri specializzati; i protagonisti sono gli operatori sanitari. Nel modello bio-psicosociale la società è un problema per le persone con disabilità: la discriminazione mette a rischio il pieno godimento dei loro diritti; le soluzioni sono l’eliminazione delle discriminazioni per favorire le pari opportunità. le, attraverso l’attivazione di percorsi specifici di accoglienza e orientamento. L’adeguatezza della modalità informativa, messa in atto da professionisti ed operatori socio-sanitari direttamente coinvolti nell’assistenza del bambino e della famiglia, fornisce sostanza al raggiungimento dell’obiettivo “formativo” che è il fine ultimo del processo, senza il quale non è possibile ipotizzare la costruzione di reti tra personale sanitario, bambini e adolescenti e loro familiari. In questo quadro di sistema, la condizione di disabilità sta assumendo nel nostro Paese sempre più la connotazione di problema privato della famiglia, a causa del graduale ma sistematico disinvestimento delle politiche governative in particolare nei confronti del diritto alla presa in carico e all’accessibilità alla rete dei servizi da parte di bambini italiani e stranieri. Alla luce di tali considerazioni il Gruppo CRC raccomanda: 1. Al Ministero della Salute e alla Commis- sione Salute della Conferenza delle Regio- ni di garantire risposte omogenee in tutto il territorio nazionale ai minori con disa- bilità, nella direzione di un superamento delle disparità e discrepanze della qualità dell’assistenza tra regioni/territori, defi- nendo con accuratezza i Livelli Essenziali di Assistenza appropriati e riferendo an- nualmente l’esito dell’azione alla Commis- sione Parlamentare per l’Infanzia e l’Ado- lescenza e alla Commissione salute della Conferenza delle Regioni; 2. Al Governo, ai Ministeri competenti e alle Regioni di recepire e rendere opera- tive con urgenza in Italia le osservazioni del Comitato ONU concernenti le limitate informazioni sui minori con disabilità e, in particolare, la mancanza di dati statistici relativi alla fascia d’età 0-6 anni; 3. Alle Regioni e agli Enti Locali di rea- lizzare, alla luce del decentramento delle politiche sociali a livello regionale, politi- che e modelli di welfare regionali e locali di tipo “inclusivo”, ispirati ai principi della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ponendo il diritto alla salu- te l’accessibilità al centro delle azioni pro- grammatiche e ad adoperarsi con le asso- ciazioni e le altre realtà che si occupano di disabilità al fine di rendere effettivamente conosciuta ed applicata detta Convenzio- ne in tutte le sue parti. 8. aCCEsso aI sErvIzI saNItarI PEr I MINorI straNIErI 48. Il Comitato raccomanda che l’Italia prenda provvedimenti immediati per promuovere stan- dard comuni nei servizi di assistenza sanitaria per tutti i bambini in tutte le regioni e che: e) sviluppi e metta in atto una campagna di informazione e di sensibilizzazione sul dirit- to all’assistenza sanitaria di tutti i bambini, inclusi quelli di origine straniera, con parti- colare attenzione alle strutture di assistenza sanitaria utilizzate dalle comunità straniere; tale campagna deve includere la correzione degli elevati tassi di natimortalità e di morta- lità prenatale tra le madri straniere. CRC/C/ITA/CO/3-4, 48, lett. e) La tutela della salute è una priorità sempre più correlata alla capacità di programmazione e pianificazione a livello locale di interventi di promozione della salute122. Ancora di più, in un’epoca come l’attuale, dove i rapidi e profondi mutamenti sociali, la crisi economica e la contrazione della spesa sociale e sanitaria mettono a rischio il benessere del bambino e della sua famiglia. Gli studi che nel corso dell’ultimo decennio hanno approfondito le dinamiche di presenza dei minori stranieri in Italia mostrano come il Paese sia ormai diventato un luogo di “stabilizzazione” della popolazione immigrata e sia dunque entrato nella seconda fase del ciclo migratorio, caratterizzato dalla presenza sia di singoli, sia di nuclei familiari in costante rapporto con il tessuto sociale autoctono. È pertanto indispensabile che il ripensamento dei servizi socioeducativi e la pianificazione delle risorse relative all’assistenza sanitaria seguano il profilo dei cambiamenti, basandosi 122Marceca, M., Geraci, S., Baglio G., “Immigrants’ health protection: political, institutional and social perspectives at international and Italian level”, IJPH – 2012, Volume 9, Number 3. su una analisi evidence based della natura e dell’entità dei fenomeni. Dal 2000 al 2011, si è registrato un incremento del 332%123, del numero di bambini, adolescenti e giovani di origine straniera, che raggiungono circa il milione di presenze (993.238). Dal punto di vista della natalità, la popolazione immigrata ha ammortizzato un’altrimenti inevitabile riduzione della popolazione di questa fascia di età: le donne immigrate hanno in media 2,07 figli contro l’1,33 delle italiane. I nati da donne straniere rappresentano il 18% delle nascite complessive del 2011124. Nel 2012, in Italia i minori stranieri titolari di un permesso di soggiorno proprio o di uno o entrambi i genitori, erano un quarto dei soggiornanti: tra 0-14 anni sono 755.506 unità, mentre gli adolescenti (1517 anni) sono 117.080 (rispettivamente 20,4% e 3,2% sul totale dei permessi di soggiorno)125. A questi vanno aggiunti i minori stranieri irregolari, quindi non censibili, costituiti soprattutto da figli di immigrati senza permesso di soggiorno, Rom non residenti, bambini profughi non registrati, minori non accompagnati e da minori stranieri oggetto di tratta ai fini della prostituzione e della microcriminalità. Mentre nell’Unione Europea si stima ci siano tra 1,6 e 3,8 milioni di immigrati irregolari, a oggi non si è in possesso di dati ufficiali sul numero di bambini irregolari126. Questo universo merita un’attenzione particolare alla luce della “fragilità sociale” e della “triplice vulnerabilità” di migranti, irregolari e bambini127. Sebbene i dati non consentano uno sguardo d’insieme esaustivo, essi sono significativi di una tendenza irreversibile: la popolazione straniera è sempre più formata da bambini e ragazzi con alle spal 123Giovannetti M., Nicotra V., “ Da residenti a cittadini – Il diritto di cittadinanza alla prova delle seconde generazioni”, Cittalia – Anci, 2012 Disponibile su www.cittalia.it/images/file/DA%20RESIDENTI%20 A%20CITTADINI_md(4).pdf 124Caritas Migrantes, Dossier Statistico Immigrazione 2012. XXII Rapporto. Idos, Roma, 2012: 159-166 125Ibidem 126Triandafyllidou A. “CLANDESTINO Project Final Report” 2009 November, p.11. Disponibile al seguente link: htpp://clandestino. eliamep.gr/wp-content/uploads/2010/03/clandestino-final-report_ november2009.pdf 127Platform for International Cooperation on Undocumented Migrants (PICUM) (2013) “Children A guide to realising the rights of children and families in an irregular migration situation”, 2013. Disponibile al seguente link: http://picum.org/picum.org/uploads/publications/ Children%20First%20and%20Foremost.pdf le un vissuto più o meno diretto di migrazione, sia in condizioni di regolarità che di irregolarità, che ne condiziona la crescita e lo sviluppo personale e sociale. Le ragioni del maggior disagio dei migranti possono essere ricondotte a diverse condizioni: la disoccupazione conseguente alla lunga crisi economica, la mancanza di reti familiari allargate da attivare in caso di difficoltà, l’inasprimento di alcune misure di contrasto all’immigrazione (Pacchetto Sicurezza)128 con particolare riferimento a quella irregolare, ma anche alcuni aspetti inerenti i requisiti di legge vincolanti il rinnovo del permesso di soggiorno e il ricongiungimento familiare, che di fatto non tengono conto delle maggiori difficoltà di accesso alla casa e al lavoro129. Da più parti, in Europa e in Italia, si sottolinea come sia complesso ottenere dati statistici significativi sul bambino immigrato. La pianificazione delle politiche e dei sistemi socio-sanitari a livello locale andrebbe supportata da attività di ricerca periodiche, promuovendo, nel rispetto della necessità espressa dalle società scientifiche, dal privato sociale e dal volontariato, un integrato e concreto lavoro di rete, per far emergere i nodi e le problematiche ed individuare le possibili soluzioni. È dimostrato come politiche migratorie restrittive130 possano porre i bambini in situazioni di vulnerabilità e violazione dei diritti fondamentali in tutte le fasi del percorso migratorio, in quanto l’accesso ad istruzione, salute e alloggio risulta limitato sia sotto il profilo giuridico sia nella pratica. Le numerose indicazioni normative che disciplinano l’accesso ai servizi sanitari da parte di vari Ministeri – cui si aggiungono indicazioni regionali ed europee – sono complesse e spesso soggette a cambiamenti e aggiornamenti, ingenerando confusione e difficoltà interpretative a 128Legge 94/2009: www.asgi.it/public/parser_download/save/legge.15. luglio.2009.n.94.pdf vedi anche il dossier sull’abrogazione del divieto di segnalazione: www.simmweb.it/index.php?id=358 129Tali aspetti critici, come il prolungamento del permesso di soggiorno per gravidanza a 12 mesi con la possibilità di trasformarlo in permesso di lavoro, il ricongiungimento familiare e i relativi percorsi di inclusione delle famiglie straniere, sono stati sottolineati nelle raccomandazioni espresse lo scorso anno a tutela dell’accesso alla salute per i minori e rimangono in atto disattesi (5° Rapporto CRC, pag.79). 130Geraci S., Mazzetti M., “Buone leggi fanno buona salute”, Il Mondo Domani, Unicef, 2010;30:8-9. livello dei settori amministrativi delle Regioni e delle Aziende Sanitarie. L’esercizio del diritto all’accesso alla salute, infatti, è funzione della corrispondenza/congruità tra il bisogno di salute del minore e l’offerta e fruibilità dei servizi. Il bisogno, pur avendo anch’esso un’importante componente oggettiva, spesso non raggiunge la visibilità dei servizi per varie ragioni, tra cui lo stato di emarginazione legale e sociale, il valore culturale sulla sua percezione da parte delle famiglie con le relative barriere linguistico-culturali, e infine gli ostacoli, propri dell’età infantile, nel manifestarsi. I minori richiedono un tipo di assistenza sanitaria arti- colata in più servizi e in più figure professionali, come risposta ai differenti bisogni di salute. Il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) affida al Pediatra di libera scelta (PLS) l’assistenza specialistica di primo livello del bambino (dalla nascita fino ai 14-16 anni)131. In questo modo, il sistema garantisce un’accoglienza socio-sanitaria omogenea su tutto il territorio nazionale, al fine di assicurare continuità e coordinamento tra realtà assistenziali, ospedaliere e territoriali. Il pediatra di famiglia, tutore della salute del bambino intesa come benessere globale psico-fisico, oggi più che in passato, ha un ruolo centrale nella strategia assistenziale del bambino immigrato e, instaurando un rapporto continuativo con le famiglie, nell’attività di prevenzione e educazione alla salute. Indipendentemente dal grado di accesso ai servizi sanitari, la mancanza di campagne di sensibilizzazione e informazione porta a una scarsa consapevolezza dei propri diritti da parte della popolazione immigrata. A ciò si aggiunge che medici e operatori sanitari in genere non conoscono i rischi sullo stato di salute legati al fenomeno migratorio132 e il più delle volte non sono preparati ad affrontare i bisogni sanitari degli immigrati, perché nel loro percorso formativo non sono previsti insegnamenti ad hoc, mentre dovrebbe essere contemplata una formazione che includa l’insegnamento di temi sanitari legati ai fenomeni migratori. 131 Burgio G. R., Bertelloni S., “Una pediatria per una società che cambia”, Edizione Tecniche Nuove, 2007. 132Cataldo F., Geraci S., Sisto M.R., “Bambini immigrati: tutela legale e politiche socio-sanitarie”, in “Medico e Bambino”, 5/2011: 306-310. Un’impostazione di politica sanitaria inclusiva, in un’ottica di tutela sanitaria senza esclusioni133, deve necessariamente accompagnarsi ad una disponibilità da parte delle amministrazioni locali, reali protagoniste delle politiche sociali e sanitarie per gli stranieri, a recepire e rendere operative le indicazioni normative. Il decentramento amministrativo e politico ha prodotto estrema eterogeneità sul territorio nazionale, con rischio elevato di determinare disuguaglianze nella salute e nell’accesso ai servizi, soprattutto a danno della popolazione immigrata più vulnerabile, come quella rappresentata dai minori stranieri134. Con l’approvazione dell’Accordo per l’applicazione delle norme in materia di assistenza sanitaria a cittadini stranieri e comunitari (Conferenza Stato-Regioni del 20/12/2012)135 si compie un rivoluzionario passo avanti nella storia dell’assistenza sanitaria al bambino migrante: viene sancita l’iscrizione obbligatoria al SSN dei “minori stranieri presenti sul territorio a prescindere dal possesso del permesso di soggiorno”. È da sottolineare che non si tratta di una nuova legge, ma del livello interpretativo di norme esistenti. Quanto alla forza giuridica di tale atto, occorre tenere presente che l’art. 4 D. lgs. 281/1998 dispone che l’accordo si perfeziona con l’assenso del Governo e dei Presidenti delle Regioni: non sono richiesti, dunque, ulteriori passaggi per il suo perfezionamento. L’effetto giuridico dell’accordo è quello di vincolare le parti stipulanti (Stato, Regioni e Province) agli impegni assunti, nel rispetto delle competenze che caratterizzano ciascuna amministrazione136. 133Decreto Legislativo 286/1998 e documenti collegati. 134Carletti P., Geraci S., “Una rete istituzionale nella rete per la saute degli immigrati”, Atti XII Congresso Nazionale SIMM, Viterbo 10-12 ottobre 2012 (www.simmweb.it). 135Rep. Atti n. 255/CSR del 20/12/2012. Disponibile al seguente link: www.statoregioni.it/Documenti/DOC_038879_255%20csr%20-%20 5%20quater.pdf. 136www.sanita.ilsole24ore.com/pdf2010/Sanita2/_Oggetti_Correlati/ Documenti/Regioni-e-Aziende/MIGRANTI2.pdf?uuid=f6a98842-96c911e2- a1d3-6e2e5ff235b7 Pertanto il Gruppo CRC raccomanda: 1. Alla Presidenza del Consiglio dei Ministri di promuovere la raccolta di dati di popola- zione, sociali ed epidemiologici affidabili e completi sui minori stranieri e in particola- re sui minori “undocumented” e metterli a disposizione per permettere l’elaborazioni di rapporti che supportino il processo di pianificazione delle politiche e dei sistemi socio-sanitari sul territorio nazionale e a li- vello locale; 2. Ai Ministeri della Salute, del Lavoro e delle Politiche Sociali di promuovere, a li- vello nazionale, la realizzazione di percorsi di presa in carico e integrazione dei minori stranieri, valorizzando le reti già esistenti in ambito istituzionale, scientifico e dell’asso- ciazionismo, e implementando l’attività di formazione per gli operatori socio-sanitari e amministrativi finalizzata all’acquisizione di una maggiore competenza transculturale; 3. Alle Regioni e Province Autonome di pre- vedere l’iscrizione obbligatoria al SSN con l’attribuzione del Pediatra di libera scelta o il Medico di medicina generale a tutti i minori stranieri presenti sul territorio na- zionale a prescindere dalla loro condizio- ne giuridica (STP137) come previsto dall’Ac- cordo della Conferenza Stato-Regioni sul documento “Indicazioni per la corretta applicazione della normativa per l’assisten- za sanitaria alla popolazione straniera da parte delle Regioni e Province autonome italiane” e di estendere tale opportunità ai minori comunitari in possesso di codice ENI138 o analogo. Pertanto il Gruppo CRC raccomanda: 1. Alla Presidenza del Consiglio dei Ministri di promuovere la raccolta di dati di popola- zione, sociali ed epidemiologici affidabili e completi sui minori stranieri e in particola- re sui minori “undocumented” e metterli a disposizione per permettere l’elaborazioni di rapporti che supportino il processo di pianificazione delle politiche e dei sistemi socio-sanitari sul territorio nazionale e a li- vello locale; 2. Ai Ministeri della Salute, del Lavoro e delle Politiche Sociali di promuovere, a li- vello nazionale, la realizzazione di percorsi di presa in carico e integrazione dei minori stranieri, valorizzando le reti già esistenti in ambito istituzionale, scientifico e dell’asso- ciazionismo, e implementando l’attività di formazione per gli operatori socio-sanitari e amministrativi finalizzata all’acquisizione di una maggiore competenza transculturale; 3. Alle Regioni e Province Autonome di pre- vedere l’iscrizione obbligatoria al SSN con l’attribuzione del Pediatra di libera scelta o il Medico di medicina generale a tutti i minori stranieri presenti sul territorio na- zionale a prescindere dalla loro condizio- ne giuridica (STP137) come previsto dall’Ac- cordo della Conferenza Stato-Regioni sul documento “Indicazioni per la corretta applicazione della normativa per l’assisten- za sanitaria alla popolazione straniera da parte delle Regioni e Province autonome italiane” e di estendere tale opportunità ai minori comunitari in possesso di codice ENI138 o analogo. 137Stranieri non appartenenti all’Unione europea senza permesso di soggiorno (Straniero Temporaneamente Presente – STP). 138Cittadini dell’Unione Europea indigenti, senza TEAM, senza attestazioni di diritto di soggiorno, senza requisiti per l’iscrizione obbligatoria al SSN (Europei Non Iscritti – ENI). Capitolo vI EDuCazIoNE, GIoCo E attIvItà CulturalI 1. INtroDuzIoNE: l’IstruzIoNE al tEMPo DElla CrIsI Ai primi di dicembre del 2012 la Ragioneria Generale dello Stato comunicava al Parlamento che i tagli previsti dal Decreto Ministeriale n.81 del marzo 2009 (Norme per la riorganizzazione della rete scolastica ed il razionale ed efficace utilizzo delle risorse umane della scuola) non avevano raggiunto gli obiettivi finanziari prefissati. Si rendeva in tal modo esplicito il legame tra una riforma presentata come capace di rinnovare e qualificare il sistema scolastico italiano, rimuovendone insufficienze e sprechi ed una severa politica di tagli sul sistema dell’istruzione determinata dalla crisi. Per comprendere se con la riforma siano aumentate le capacità formative della nostra scuola primaria o se la scuola secondaria, che ha visto diminuire le ore destinate ai laboratori e l’orario complessivo di insegnamento, sia più efficace nella formazione delle nuove generazioni sarebbero necessari dati più dettagliati, ma le pubblicazioni del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) “La scuola in cifre” e “La scuola statale- sintesi dei dati” non sono state pubblicate nelle edizioni 2010-2011 e 2011-2012. Né è sufficiente, per un’analisi comparativa, il focus pubblicato dallo stesso Ministero1, in cui si registra per quanto riguarda gli studenti, rispetto allo scorso anno scolastico 2011/2012 un aumento di 36.238 unità, così distribuiti: +3.146 nella scuola dell’infanzia, +11.097 nella primaria, + 20.891 nella secondaria di II grado, mentre nella secondaria di I grado si assiste ad una diminuzione pari a 4.461 studenti. Complessivamente gli studenti, considerate tutte le scuole di ogni ordine e grado, sono 7.862.470, per 365.255 classi e 625.878 posti in organico. Se infatti si sottolinea nella scuola primaria un aumento del 3% delle sezioni a tempo pieno sul territorio nazionale (però senza la presenza congiunta di due insegnanti per classe come nel modello originario e spesso con una pluralità di docenti che si alternano per poche ore ed ognuno per una disciplina specifica), non si riesce a quantificare quanti alunni siano stati privati del tempo prolungato (31 o 36 ore settimanali di scuola) per passare ad un orario scolastico di 30 o 27 ore settimanali e non usufruiscano più dei relativi, anche se non generalizzati, servizi di mensa. Un dato certo su cui riflettere è quello richiamato dal report Eurydice2, che registra tagli per un totale del 5% al budget dell’istruzione in Italia, a fronte di incrementi di spesa tra l’1 e il 5% in altri nove Paesi/regioni europei. Inoltre nel nostro Paese il numero degli insegnanti è diminuito dell’8,5%, mentre il numero degli studenti ha continuato a crescere. Che la crisi abbia determinato una situazione di affanno nelle scuole italiane, prive spesso delle risorse per il normale funzionamento organizzativo, è dimostrato anche dalla diffusione della richiesta alle famiglie degli studenti nella fascia dell’obbligo dei cosiddetti contributi “volontari”, un’erogazione richiesta all’atto dell’iscrizione scolastica insieme alle tasse governative. Il fenomeno è talmente diffuso che il MIUR si è visto costretto in più occasioni (e da ultimo nella nota ministeriale del 7 marzo 2013) a chiarire l’assoluta “volontarietà” del contributo e a specificare che la sua unica destinazione è quella dell’ampliamento dell’offerta formativa rivolta a tutti gli alunni in modo non discriminante. Il 27 dicembre 2012 il MIUR ha emanato una Direttiva, secondo cui l’area dello svantaggio scolastico è molto più ampia di quella riferibile esplicitamente alla presenza di deficit. La complessità delle classi, il loro sovraffollamento, la riduzione degli organici degli insegnanti, infatti, lo rendono sempre più evidente e sono in costante aumento gli alunni che presentano una richiesta di speciale attenzione, per molteplici ragioni. Quest’area dello svantaggio scolastico, che ricomprende problematiche diverse, viene indicata come area dei Bisogni Educativi Speciali (BES), nella quale sono comprese tre grandi sotto-categorie: la disabilità; i disturbi specifici di apprendimento 1 Disponibile su www.miur.pubblica.istruzione.it/alfresco/d/d/workspace/ 2 European Commission/EACEA/Eurydice, “Funding of Education in EuSpacesStore/ 9fd8f30a-1ed9-4a19-bf7d-31fd75361b94/cm8_13.pdf rope 2000-2012: The Impact of the Economic Crisis”. Eurydice Report, 2013 6orapportodiaggiornamento2012-2013 e/o disturbi evolutivi specifici e lo svantaggio socioeconomico, linguistico o culturale. Per disturbi evolutivi specifici si intendono, oltre i Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA), anche i deficit del linguaggio, delle abilità non verbali, della coordinazione motoria, dell’attenzione e dell’iperattività (ADHD). Queste ed altre differenti problematiche non vengono certificate ai sensi della Legge 104/1992 e non danno quindi diritto alle misure da essa previste, tra cui il docente di sostegno. La Direttiva contiene importanti indicazioni sugli strumenti d’intervento. In particolare, viene evidenziata la necessità di elaborare un percorso individualizzato e personalizzato, anche attraverso la redazione di un Piano Didattico Personalizzato, individuale o riferito a tutti i bambini della classe con BES, che serva come strumento di lavoro in itinere per gli insegnanti, al fine di documentare alle famiglie le strategie di intervento programmate. Tante attenzioni, dunque, alle nuove e complesse realtà della scuola italiana, con il riconoscimento delle varie, numerose e mutevoli situazioni di bisogno, che necessitano di interventi didattici individualizzati e personalizzati. Rimane da chiedersi, però, se essi possano essere realizzati dal solo docente curricolare, che lavora in classi sempre più numerose e problematiche. Né più confortanti sono i dati forniti dall’ISTAT sull’abbandono scolastico3 nel 2012. La strategia di Lisbona aveva posto, tra i cinque obiettivi europei da raggiungere entro il 2010 nel campo dell’istruzione e della formazione, la riduzione al 10% della quota di giovani che lasciano la scuola senza essere in possesso di un adeguato titolo di studio. In Italia l’obiettivo non è stato raggiunto e si è ancora lontani dagli obiettivi europei: nel 2010 la quota di giovani che ha interrotto precocemente gli studi è pari al 18,8% contro il 13,3% della media UE. I giovani tra i 20 e i 24 anni in possesso di diploma nel 2011 raggiungono il 76,9%, a fronte di una media europea del 79,3%; il dato del 56,% dei diplomati riferito all’intera popolazione adulta resta ancora lontano dalla media europea del 73,2%. 3 ISTAT, “Noi Italia 2012 – 100 statistiche per capire il Paese in cui viviamo”, http://noi-italia2012.istat.it. L’incidenza degli abbandoni è maggiore per la componente maschile rispetto a quella femminile. Una possibile forma di intervento sul problema è rappresentata dal decreto legislativo interministeriale 13/20134, che recependo le direttive europee, apre l’orizzonte dell’istruzione anche agli apprendimenti non formali ed informali. In Italia è ancora assente un sistema nazionale degli standard di validazione e certificazione degli apprendimenti. Attualmente, in ciascuna filiera formativa (apprendistato, istruzione e formazione tecnico superiore, obbligo formativo, formazione professionale, formazione continua, educazione degli adulti) esistono o sono in via di definizione differenti standard, con metodologie e stati di avanzamento significativamente diversificati. I processi di certificazione descritti dal D.Lgs. 13/2013, infatti, si svolgono in quattro fasi: accoglienza, informazione e orientamento; identificazione delle competenze con riferimento ad un repertorio (regionale, settoriale, nazionale, europeo,…); raccolta delle evidenze e/o valutazione con prove e test delle competenze; rilascio di un documento che ne attesti il possesso. Le esigenze dei ragazzi al primo impiego possono essere lette e interpretate con un adeguato servizio di orientamento per gli individui, che possa anche indirizzarli verso nuovi percorsi formativi o professionali. Il problema si pone per il reperimento degli investimenti necessari per una seria politica dell’orientamento. Per quanto riguarda l’Agenda digitale nel settore dell’istruzione, è stata approvata una norma destinata a cambiare nei prossimi anni il volto della scuola: il D.M. n.209 del 26 marzo 2013 che prevede il passaggio dalla carta al digitale anche per i libri di testo, che dall’attuale versione solo cartacea si orienteranno verso quella mista, in cui le parti con esercizi, documenti, foto ed immagini, carte geografiche etc. saranno disponibili solo in digitale. Si tratta di un intervento che introduce nella pratica educativa elementi di innovazione “a 4 Il testo integrale del Decreto è consultabile al sito www.tecnostruttura. it/cms/file/DOCUMENTI/2229/Decreto-interministeriale--26-sett2012--- recepimento-accordo-certificazione-19-aprile-2012.pdf i diritti dell’infanzia lunga scadenza”. Non si potrà continuare cioè a riprodurre le stesse modalità della didattica trasmissiva tradizionale. Se mutano gli strumenti del modello trasmissivo della scuola, l’architettura didattica tradizionale entra in crisi e sollecita l’adozione di nuove metodologie. Ancora una volta, i punti di criticità riguardano le risorse, in particolare i costi a carico delle famiglie per la dotazione di strumenti tecnologici e di un serio piano di formazione per gli insegnanti. Inoltre, nell’adeguamento alle direttive europee, su proposta del Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca, il Consiglio dei Ministri ha approvato in via definitiva, l’8 marzo 2013, il Regolamento relativo all’istituzione e la disciplina del Sistema Nazionale di Valutazione anche in vista della programmazione dei fondi strutturali europei 2014/2020. Tale Sistema si basa sull’attività dell’Invalsi (Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema di Istruzione e Formazione), che ne assume il coordinamento funzionale; sulla collaborazione dell’Indire (Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa), che può aiutare le scuole nei piani di miglioramento; sulla presenza di un contingente di Ispettori con il compito di guidare i nuclei di valutazione esterna. Ogni scuola redigerà il proprio rapporto di autovalutazione secondo un quadro di riferimento comune e con i dati messi a disposizione dal sistema informativo del MIUR (Scuola in chiaro), dall’Invalsi e dalle stesse istituzioni scolastiche. Il percorso si concluderà con la predisposizione di un piano di miglioramento e la diffusione dei risultati. Un passaggio importante per la scuola italiana, ma tutto ciò pone in primo e preliminare piano le basi della “politica pubblica” che promuove la valutazione stessa. Spesso si dice “valutazione” per intendere “meritocrazia e premialità”. Una vera e propria “trappola” culturale che comporta l’adesione al presupposto secondo cui la valutazione consiste essenzialmente nell’ordinare in classifiche per individuare e premiare selettivamente i migliori a scapito dell’inclusione di tutti. È inoltre illusorio ritenere che l’introduzione di un apparato tecnico valutativo riesca in modo quasi taumaturgico ad attivare processi di miglioramento del sistema di istruzione e formazione senza intervenire sugli altri elementi portanti del sistema stesso, quali la valorizzazione professionale, la riforma degli organi di governo della scuola e, più in generale, la destinazione di qualificanti investimenti finanziari. 2. I sErvIzI PEr baMbINI IN Età 0-6 aNNI: sErvIzI EDuCatIvI E DI Cura PEr la PrIMa INfaNzIa E lE sCuolE DEll’INfaNzIa 15. Il Comitato ribadisce la sua precedente rac- comandazione (CRC/C/15/add.198, par.9) al fine di effettuare un’analisi completa sull’allocazione delle risorse per le politiche a favore dei minori a livello nazionale e regionale. Sulla base dei risultati di tale analisi, l’Italia dovrà assicurare stanziamenti di bilancio equi per i minori in tutte le 20 regioni, con particolare attenzione alla pri- ma infanzia, ai servizi sociali, all’istruzione ed ai programmi di integrazione per i figli dei migran- ti e delle altre comunità straniere. Il Comitato raccomanda che l’Italia affronti con efficacia il problema della corruzione e garantisca che, pur nell’attuale situazione finanziaria, tutti i servizi per i minori siano protetti dai tagli. 19. Il Comitato ribadisce la sua raccomandazione di istituire un sistema di formazione regolare, obbligatorio e continuo sui diritti dei minori per tutte le figure professionali che lavorano con i minori, in particolare funzionari di polizia, cara- binieri, giudici e personale penitenziario. CRC/C/ITA/CO/3-4,punto15 e 19 Nella prospettiva dell’attuazione del diritto all’educazione, il tema dell’accesso universale a quella prescolare deve ricevere grande attenzione. La Commissione europea ha recentemente sottolineato l’importanza di garantire a tutti i bambini, nella prima infanzia, l’accesso a servizi di educazione e di cura inclusivi e di alta qualità, affinché le differenze nello status socioeconomico delle famiglie non si riflettano nelle esperienze dei bambini nei primi fondamentali anni di vita5. Si tratta, quindi, di rivalutare l’esperienza educativa offerta ai bambini nei servizi e nelle scuole dell’infanzia come opportunità 5 Commissione europea, “Educazione e cura della prima infanzia: consentire a tutti i bambini di affacciarsi al mondo di domani nelle condizioni migliori”, COM (2011) 66 def. del 17/02/2011. di prevenzione dell’esclusione sociale. La non obbligatorietà della frequenza ai servizi educativi prescolari non riduce la responsabilità pubblica nel garantirne l’accesso universale, pur nel rispetto della libera scelta delle famiglie. Alla luce di queste considerazioni, assume particolare rilievo il rinnovato richiamo, rivolto al Governo italiano dal Comitato ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, perché inverta la tendenza a ridurre gli aiuti pubblici nel settore dell’istruzione, procedendo ad un’equa distribuzione di risorse tra le Regioni italiane e assicuri la formazione sistematica sui diritti dei minori a tutti coloro che operano per l’infanzia. L’offerta educativa per i primi anni è necessariamente connotata da un più stretto rapporto tra operatori e famiglie, dall’integrazione di aspetti di cura ed educativi, dalla priorità data ai percorsi di socializzazione e agli apprendimenti non formali. Purtroppo, la continuità dei percorsi educativi trova raramente riscontro in una progettazione concordata tra i diversi servizi che accolgono i bambini nelle diverse età. Il settore dell’educazione prescolare in Italia è caratterizzato dal cosiddetto sistema diviso (split system), che vede i servizi che accolgono i bambini sotto i tre anni e quelli dedicati ai bambini dai tre ai sei anni progettati e governati da diversi livelli istituzionali e definiti da diversi ordinamenti. In entrambi i segmenti si individuano elementi di criticità. L’offerta educativa per i bambini sotto i tre anni consiste in due tipologie di servizi: gli asili nido (inclusi nidi e micronidi pubblici e aziendali e Sezioni Primavera) e i servizi integrativi per la prima infanzia (inclusi gli Spazi gioco, i Centri per bambini e famiglie e i servizi in contesto domiciliare)6. Nella legislazione nazionale, i diversi servizi trovano riconoscimento in provvedimenti disparati e perlopiù obsoleti7, ma la loro natura educativa, socialmente e diffusamente apprezzata, è stata riconosciuta dalla Corte Costituzionale e in varie leggi nazionali8. 6 Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, “Nomenclatore interregionale degli interventi e dei servizi sociali”, 29 ottobre 2009. 7 Legge 1044/1971 “Piano quinquennale per l’istituzione di asili-nido comunali con il concorso dello Stato”; Legge 285/1997, art. 5. 8 Legge 42/2009 “Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione”. Cfr. anche 5° Rapporto CRC, pag. 83. In assenza di una legge nazionale organica, che definisca le norme generali e i livelli essenziali delle prestazioni per i servizi, i requisiti strutturali e organizzativi, i titoli di studio del personale educativo e le procedure di autorizzazione, accreditamento e valutazione della loro qualità, variano a seconda delle diverse normative regionali. Negli ultimi anni, in questo quadro normativo riemergono proposte e sperimentazioni di servizi variamente denominati (flessibili, conciliativi, ecc.), che non tengono presente la dimensione educativa inerente l’azione di cura dei bambini e propongono iniziative di tipo assistenziale e non adeguatamente regolate. Va poi segnalato che non tutte le Regioni e i Comuni hanno ancora definito procedure di vigilanza e monitoraggio dei servizi per l’infanzia, comunque denominati, tali da garantire una qualità adeguata anche quando le famiglie ricorrano all’offerta privata. Nonostante il forte incremento dovuto al Piano straordinario triennale di sviluppo dei servizi socio-educativi varato dal Governo nel 2007 e parzialmente rifinanziato nel 20109, al 31/12/2011 la percentuale (14%) di presa in carico complessiva della popolazione sotto i tre anni da parte dei servizi a titolarità pubblica (comunali, privati convenzionati o sovvenzionati dal settore pubblico)10 risulta largamente inferiore al 33% auspicato dalle autorità europee11. Riguardo all’offerta di servizi privati non sono disponibili dati certi, anche per mancanza di osservatori regionali adeguatamente attrezzati. Tuttavia, una recente indagine campiona- ria ISTAT12 stima che l’offerta di servizi privati possa offrire un’ulteriore copertura del 4%. È, comunque, preoccupante rilevare che i servizi per l’infanzia sono distribuiti in modo assai diverso sul territorio; si registra l’esistenza di una vera e propria questione meridionale: mentre nel Centro-Nord solo in Veneto la co 9 Rapporti sul Monitoraggio del piano di sviluppo dei servizi socio- educativi per la prima infanzia, redatti per il Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza dall’Istituto degli Innocenti, 2008, 2009, 2010, 2011, www.minori.it. 10 ISTAT, “L’offerta comunale di asili nido e altri servizi socio-educativi per la prima infanzia – Anno scolastico 2010/2011”, Statistiche Report, 25 giugno 2012, www.istat.it. 11 Consiglio delle Comunità europee, Barcellona, 2002. 12 ISTAT, “Aspetti della vita quotidiana”, 2011, www.istat.it. pertura è inferiore alla media nazionale, tutte le Regioni del Sud e la Sicilia registrano percentuali molto inferiori. Inoltre, mentre il 93,2% dei bambini sotto i tre anni nel Nord-Ovest, l’87,1% nel Nord-Est e l’84,9% del Centro risiede in un Comune che provvede loro un asilo nido, solo al 49,5% dei coetanei residenti nel Sud si offre questa opportunità. L’analisi del trend evolutivo dei servizi nel periodo 1993-201113 evidenzia la minore dinamicità delle Regioni meridionali (che registrano nel periodo un incremento del 3,1% contro il 12,7%, il 14,4% e il 12% rispettivamente registrati nel Nord-Ovest, Nord-Est e Centro). Appare, quindi, opportuno il Piano di azione previsto dal Ministro per la Coesione Territoriale, che destina 400 milioni di euro dei fondi comunitari per lo sviluppo del Sud al riequilibrio dei servizi per l’infanzia nelle Regioni Calabria, Campania, Sicilia e Puglia. Costituiscono ulteriore elemento di diseguaglianza i criteri di accesso ai servizi a titolarità pubblica, che, pur variando da Comune a Comune, sono sempre riferiti all’organizzazione familiare (soprattutto al reddito) più che ai diritti del bambino all’accesso. Inoltre, i criteri di determinazione del reddito familiare rischiano di proiettare comportamenti fiscali non corretti sul diritto dei bambini all’educazione. A fronte della crisi economica e finanziaria per la riduzione dei trasferimenti finanziari a Regioni ed Enti Locali e i vincoli sui bilanci comunali indotti dal patto di stabilità, diverse amministrazioni comunali hanno trasferito parte dei servizi alla gestione di privati o cooperative, contando sulla riduzione dei costi del personale, che questi operano applicando contratti di lavoro di minor favore14. In assenza di adeguate procedure di sostegno alla qualità dei servizi, ciò contribuisce ad ampliare le diseguaglianze dell’offerta educativa per i bambini. I diritti dei bambini sono ulteriormente minacciati in molti Comuni dalla richiesta alle fami 13 ISTAT “La scuola e le attività educative”, Statistiche Report, 2 ottobre 2012, www.istat.it. 14 CNEL “Nidi e servizi educativi integrativi per l’infanzia: orientamenti per lo sviluppo delle politiche a partire dall’analisi dei costi”, maggio 2010; Fortunati, A., Moretti, E., Zelano, M., “Costi di gestione, criteri di accesso e tariffe dei nidi d’infanzia. Monitoraggio del piano di Sviluppo dei servizi socioeducativi per la prima infanzia”, 31 dicembre 2011, www.minori.it. glie di una maggiore compartecipazione alla spesa del servizio, che, a fronte delle attuali difficoltà economiche, causa una diminuzione delle iscrizioni. Va, inoltre, segnalato che, se complessivamente le famiglie contribuiscono al 18,3% del costo dei servizi a titolarità pubblica15 e più del doppio nei nidi privati16, si rilevano grandi differenze da Comune a Comune per quanto riguarda l’importo delle rette, il ventaglio delle classi di importo e il reddito annuale ISEE di esenzione dal pagamento della retta17. Si evidenzia, pertanto, la necessità di meccanismi di finanziamento nazionale tesi non solo ad ampliare e consolidare l’offerta di servizi, ma anche a tutela della possibilità di accesso da parte delle famiglie. Un discorso specifico meritano le Sezioni primavera, attivate presso scuole dell’infanzia statali, comunali o paritarie private o nidi per intervento del MIUR, così da ampliare l’offerta educativa per i bambini dai due ai tre anni18. Purtroppo, in un quarto di casi non risultano rispettati i requisiti organizzativi (soprattutto il rapporto numerico adulto-bambini 1 a 10), l’età dei bambini (il 7% ha meno di due anni) e non esistono criteri contrattuali uniformi per il personale educativo19. Si evidenzia l’importanza di riprogettare la sperimentazione, ricollocandola in un quadro normativo unitario assieme al resto dell’offerta educativa per i bambini sotto i tre anni. Il diritto all’educazione dei bambini da tre a sei anni trova risposta in una normativa nazionale, che la riconosce come parte del sistema dell’istruzione e ne definisce le norme generali e i livelli essenziali20, così come il titolo di studio 15 ISTAT “L’offerta comunale di asili nido e altri servizi socio-educativi per la prima infanzia – Anno scolastico 2010/2011”, Statistiche Report, 25 giugno 2012, www.istat.it. 16 Cfr. Fortunati, Moretti, Zelano, op. cit. 17 Ibidem. 18 Ai finanziamenti erogati dallo Stato (vedi accordi in Conferenza Unificata, 2007: 34.783.656,00; 2008: 29.800.000,00; 2010: 23.500.000,00; 2011: 11.751.007,00; 2012: 0) sono stati aggiunti contributi da alcune Regioni e Enti Locali. 19 Coordinamento Gruppo Paritetico Nazionale Sezioni Primavera “Monitoraggio Sezioni Primavera, a.s. 2010-2011”, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, aprile 2012. 20 Legge 53/2003 “Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale”; Decreto 59/2004 “Definizione delle norme generali relative alla scuola dell’infanzia e al primo ciclo dell’istruzione”. del personale insegnante21. Inoltre, per la scuola dell’infanzia sono stati più volte formulati orientamenti pedagogici a livello nazionale22. Tuttavia, emerge una spinta all’omologazione della scuola dell’infanzia alla primaria, sia negli ordinamenti, con la riduzione delle ore di compresenza degli insegnanti a scapito dell’organizzazione di momenti di laboratorio e di interventi educativi più adeguati alle età dei bambini, sia nell’approccio pedagogico, valorizzando forme precoci di apprendimento formale a scapito di approcci educativi più coerenti con il periodo di sviluppo dei bambini. Si stima che la scuola dell’infanzia raggiunga circa il 94% dei bambini dai tre ai sei anni con percentuali simili nelle diverse aree geografiche23. Alla copertura dell’utenza contribuiscono tre forme gestionali diverse consolidate storicamente (lo Stato, gli Enti Locali e i gestori privati, in maggioranza di ispirazione religiosa cattolica) che si distribuiscono diversamente per aree geografiche: l’intervento statale è percentualmente più consistente nel Sud. Nella scuola dell’infanzia trova accoglienza anche un certo numero di bambini sotto i tre anni, anticipatari, soprattutto nel Sud e nelle Isole, dove è più carente l’offerta di servizi di infanzia, senza che siano messe in atto misure strutturali, organizzative e pedagogiche per accogliere bambini in così tenera età. Quasi tutte le scuole ricevono finanziamenti pubblici24, ma di diversa consistenza: le scuole statali a copertura dell’intero costo al netto dei servizi accessori forniti dai Comuni, le comunali e le private paritarie per una quota del budget che varia annualmente. Queste differenze si ripercuotono sulla compartecipazione delle famiglie. Si lamenta, inoltre, la mancata integrazione delle procedure di accesso nelle scuole pubbliche e paritarie sul territorio e l’assenza 21 D.M. 26.5.2004 “Criteri generali per la disciplina da parte delle università degli ordinamenti dei corsi di laurea in scienze della formazione primaria e delle scuole di specializzazione per l’insegnamento nella scuola secondaria”. 22 Il più recente: D.M. 254/2012 “Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione”. 23 Calcoli precisi sono resi difficili dal fatto che è possibile l’accesso di bambini che abbiano compiuto i tre anni entro il 30 aprile dell’anno di iscrizione o i due anni se in Comuni piccoli privi di servizi educativi per bambini in età 0-3 anni. 24 Legge 62/2000 “Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione”. di sostegni formativi continuativi (coordinatori pedagogici, formazione in servizio sistematica e obbligatoria per gli insegnanti) nelle scuole statali e in molte paritarie. Pertanto il Gruppo CRC raccomanda: 1. Al Governo e al Parlamento di defini- re, nell’attuale cornice costituzionale, una normativa generale di riferimento per tutto il settore dell’educazione prescolare che ne delinei il carattere unitario preveden- do procedure di continuità, orizzontale tra i servizi offerti da diversi gestori e verti- cale tra i servizi per l’infanzia e le scuole dell’infanzia e tra queste e la scuola prima- ria; stabilisca le norme generali, i principi fondamentali e i livelli essenziali quanti- tativi e qualitativi dei servizi per l’infanzia da garantire in tempi certi sull’intero ter- ritorio nazionale, con particolare attenzio- ne alla qualificazione professionale degli operatori; identifichi meccanismi stabili di finanziamento per garantire in tempi pre- visti l’accesso di tutti i bambini a un’edu- cazione prescolare di qualità, nelle more prevedendo nella legge finanziaria 2014 il rifinanziamento di un Piano di estensione dei servizi; 2. Alle Regioni e Province Autonome di prevedere norme che stabiliscano requi- siti strutturali e organizzativi uguali per i servizi pubblici e privati e procedure di governance dell’intero sistema territoriale integrato dei servizi per l’infanzia, facendo riferimento al citato Nomenclatore Interre- gionale, e delle scuole per l’infanzia; 3. Ai Comuni di mettere in atto azioni di sostegno della qualità dei servizi pubblici e privati, con interventi formativi e con la presenza di figure di sistema, quali i coor- dinatori pedagogici, e di attivare procedure stabili di vigilanza del rispetto dei criteri e requisiti di funzionamento in tutti i servizi. 3. il diritto all’istruzione Per i minori Con disabilità Importanti novità in materia di disabilità, che riguardano anche l’ambito scolastico, sono rappresentate dall’avvio dell’Osservatorio sulla condizione delle persone con disabilità, istituito con Legge 18/200925, dalla redazione del primo rapporto sull’attuazione della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (CRPD), presentato dall’Italia alle Nazioni Unite nel novembre 2012 e del primo Programma d’azione biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità approvato dallo stesso Osservatorio nel febbraio 201326, che dovrà essere adottato con Decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Nel rapporto si evidenzia una sostanziale rispondenza dell’ordinamento italiano ai dettami della CRPD in materia di inclusione scolastica. Il programma d’azione mette invece in luce un quadro più articolato, sottolineando innanzitutto la necessità di vigilare affinché i principi normativi “trovino ovunque reale e convinta applicazione”, al fine di migliorare qualitativamente il sistema di inclusione scolastica; attivare reti di supporto, formazione e consulenza; garantire la continuità del rapporto docente di sostegno/ alunno; introdurre nella legislazione italiana il concetto di “accomodamento ragionevole”27; garantire adeguata formazione a tutto il personale scolastico e di assistenza; realizzare un piano di adeguamento e progettazione degli edifici scolastici secondo i criteri della progettazione universale28. Gli alunni con disabilità sono protagonisti anche del “Rapporto di sintesi definitivo sugli esiti del monitoraggio del III Piano biennale nazionale di azioni e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età 25 Legge di ratifica della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. 26 Si veda il sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, www.lavoro.gov.it. 27 Il concetto di accomodamento ragionevole viene introdotto all’art. 5 della CRPD. 28 Si veda quanto contenuto nel “X Rapporto Sicurezza a scuola 2012” di Cittadinanzattiva in merito alla presenza di barriere architettoniche negli edifici scolastici. evolutiva”29 che indica tra le azioni da intraprendere la realizzazione di “una maggiore integrazione scuola/servizio specialistico Infanzia e Adolescenza /Enti locali /Terzo Settore, al fine di rafforzare la validità dei protocolli condivisi di valutazione delle abilità e dei bisogni dei minori con bisogni educativi speciali […] con particolare attenzione al processo di valutazione, redatto sul modello bio-psico-sociale dell’ICF, che costituisce la base per la proposizione del piano educativo individualizzato” In aggiunta a quanto sopra sono da segnalare le seguenti questioni: Rispetto ai dati sul numero e sulla qualità dell’inclusione scolastica degli alunni con disabilità, nonché alla presenza degli insegnanti di sostegno, alla data di stesura del presente Rapporto30 non si hanno da parte del Ministero competente dati completi aggiornati. Sono invece disponibili dati ISTAT in merito all’a.s. 2011/2012 relativi alle scuole primarie e secondarie di I grado31. Stando a questi, ammontavano a circa 145.000 gli alunni con disabilità (cui dovrebbero sommarsene circa 60.000 delle scuole secondarie di II grado32) con un aumento dello 0,1% rispetto all’anno precedente, a conferma della tendenza osservata negli ultimi dieci anni che sembra destinata a proseguire a fronte di un numero di docenti che resterà invariato per effetto del blocco approvato con la Legge 111/201133. Nell’indagine si evidenzia il permanere di problemi relativi all’assegnazione degli insegnanti di sostegno (circa il 9% delle famiglie ha fatto ricorso ai Tribunali per ottenere un aumento delle ore ed un numero considerevole di alunni ha cambiato insegnante di sostegno nel corso dell’a.s. o nel passaggio da un anno all’altro) ed una loro disomogenea distribuzione territoriale (nel Mezzogiorno gli alunni con disabilità risultano più svantag 29 Realizzato dall’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza. 30 22 marzo 2013. 31 ISTAT, “L’integrazione degli alunni con disabilità nelle scuole primarie e secondarie di primo grado statali e non statali” reperibile sul sito www.istat.it. 32 Tale numero si può stimare dai dati MIUR relativi alle anticipazioni a.s. 2010/2011. 33 Legge 111/2011 – Conversione in legge, con modificazioni, del De- creto-legge 98/2011 recante disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria. giati: la quota di famiglie meridionali che ha presentato un ricorso per le ore di sostegno è circa il doppio rispetto a quella del Nord). Inoltre, il numero totale degli insegnanti di sostegno è bloccato da un triennio, stante il fatto che anche nell’ultima Circolare del MIUR n. 10 del 21/03/2013 si prevede che il contingente sia uguale a quello individuato per l’a.s. 2010/2011 (90.469 docenti). La formazione del personale resta un punto altamente critico. Infatti, nonostante l’individuazione dei nuovi criteri per la specializzazione nelle attività di sostegno34, risultano ancora carenti iniziative volte a garantire adeguata formazione a tutti i docenti (soprattutto in servizio)35, ai dirigenti scolastici, al personale ATA ed agli assistenti all’autonomia ed alla comunicazione36. Ciò rappresenta un serio ostacolo all’inclusione scolastica degli alunni con disabilità, alimentando il fenomeno della “delega” ai soli insegnanti di sostegno (peraltro essi stessi non sempre adeguatamente formati) e seri rischi di esclusione e discriminazione37. Continuano ad essere scoraggianti i dati relativi alla partecipazione degli alunni con disabilità alle attività extra-scolastiche: secondo i dati ISTAT, solo un alunno su due le svolge ed è minimo il numero di quelli che partecipano a gite scolastiche e viaggi di istruzione. Si sottolinea il permanere di questioni già ampiamente segnalate, quali il mancato rispetto del tetto massimo di venti-ventidue alunni per classe (come previsto dal DPR 81/2009); l’assenza di un monitoraggio in tal senso e le conseguenze del venir meno del limite massimo di alunni con disabilità per classe; le carenze nella valutazione e progettazione educativa, nella corretta e tempestiva (come previsto dalla legge) redazione ed nell’utilizzo del Piano Educativo Individualizzato e della Diagnosi 34 Decreto Ministeriale 30 settembre 2011 che stabilisce i “Criteri e le modalità per lo svolgimento dei corsi di formazione per il conseguimento della specializzazione per le attività di sostegno, ai sensi degli articoli 5 e 13 del decreto 10 settembre 2010, n. 249”. 35 Si veda in particolare quanto evidenziato nel 5° Rapporto CRC a proposito dell’esiguo numero di crediti previsto dal D.M. 249/10. 36 Si veda quanto evidenziato nel 5° Rapporto CRC a proposito dell’assenza di un profilo professionale per tale figura. 37 Molte famiglie segnalano la deprecabile prassi di “concordare” una riduzione dell’orario di frequenza dell’alunno in funzione del numero di ore di sostegno/assistenza educativa assegnate. Funzionale e nel coinvolgimento delle famiglie ed operatori; le difficoltà nell’uso delle tecnologie; l’assenza o non corretto funzionamento dei GLHI (Gruppo di Lavoro Handicap di Istituto) e GLHO (Gruppo di Lavoro Handicap Operativo) ed in generale un significativo scollamento tra le norme esistenti e le prassi adottate dai soggetti competenti ai più diversi livelli, insieme alla carenza di sistemi di monitoraggio e verifica circa il rispetto delle leggi e la reale qualità dell’inclusione scolastica38. È da segnalare che l’Osservatorio Permanente per l’integrazione degli alunni con disabilità riistituito nel 2011 presso il MIUR, che dovrebbe avere funzione consultiva e propositiva, anche al fine dell’adeguamento delle politiche con la partecipazione delle organizzazioni del settore, continua ad operare in maniera assai discontinua e pertanto poco rispondente agli obiettivi. In ogni caso, è da segnalare la Direttiva del 27 dicembre 2012, intitolata “Strumenti d’intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica”39, emanata dal MIUR, che riguarda gli alunni con disabilità, con disturbi specifici dell’apprendimento e con svantaggio socioeconomico, linguistico e culturale. La Direttiva pone l’accento sulla necessità di intervento per gli alunni non certificati ex Legge 104/1992 o 170/2012 e fornisce una serie di indicazioni organizzative per la loro inclusione scolastica, concentrando in particolare l’attenzione sul ruolo e sviluppo dei Centri Territoriali di Supporto, con funzioni legate alla didattica speciale ed all’uso e sviluppo delle tecnologie. La Direttiva, anche in seguito alle richieste di chiarimenti da parte delle Associazioni su alcuni punti critici (relativi, ad esempio, ai fondi per l’inclusione scolastica, ai GLIP – Gruppi di Lavoro Interistituzionali Provinciali, ecc.)40 è stata ripresa e approfondita dalla Circolare Ministeriale n. 8 del 6 38 Ad Anffas Onlus giungono costanti segnalazioni: per esempio mancata/ ritardata predisposizione di PEI e DF, arbitrario allontanamento degli alunni dalle classi, difficoltà nello svolgimento delle prove d’esame, etc. 39 Il documento è disponibile su http://hubmiur.pubblica.istruzione. it/alfresco/d/d/workspace/SpacesStore/8d31611f-9d06-47d0-bcb73580ea282df1/ dir271212.pdf 40 Si veda www.superando.it/2013/01/31/la-direttiva-ministeriale- suibisogni-educativi-speciali/ e www.ledha.it/page. asp?menu1=12¬izia=4023 marzo 201341, che affronta in maniera organica temi importanti, quali ad esempio: il potenziamento dei GLHI, la programmazione e verifica la raccolta dati. Pertanto il Gruppo CRC raccomanda: 1. Al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di provvedere a mettere in atto con urgenza quanto necessario alla definitiva adozione del Programma biennale sulla disa- bilità e sua successiva completa attuazione; 2. Al Ministero dell’Istruzione, Università e ricerca di ri-convocare e garantire un’attivi- tà continuativa e stabile dell’Osservatorio Nazionale Permanente per l’integrazione degli alunni con disabilità; 3. Al Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca di avviare meccanismi di monito- raggio e verifica, anche tramite la raccolta di dati qualitativi ed azioni di promozione, sulla reale inclusione scolastica degli alun- ni con disabilità e ciò a partire dalla pre- disposizione ed efficace utilizzo del Piano Educativo Individuali 4. Il DIrItto all’IstruzIoNE PEr I MINorI straNIErI 61. Il Comitato raccomanda vivamente che l’Italia: f) sviluppi programmi per migliorare l’integrazio- ne scolastica di stranieri e bambini apparte- nenti a minoranze. CRC/C/ITA/CO/3-4,punto 61 f) Gli alunni stranieri, per poter in concreto godere del loro diritto all’integrazione scolastica, dovrebbero poter usufruire sia dei necessari sostegni educativi, anche integrativi rispetto a quelli previsti per i non stranieri, che, come tutti gli alunni, su adeguati sostegni economici nel caso in cui le loro famiglie non dispongano di un reddito sufficiente. Una condizione che in Italia coinvolge particolarmente i cittadini immigrati, spesso inseriti (come risulta anche dalle rilevazioni statistiche) nelle fasce più vulnerabili della società e dell’economia, cosa questa che può condizionare negativamente le opportunità di 41 Per un commento approfondito si veda www.superando. it/2013/03/11/bisogni-educativi-speciali-importante-quella-circolare accesso e successo scolastico dei loro figli. Ciascun bambino, infatti, può esercitare appieno il diritto/dovere all’istruzione solo se può contare su un sistema scolastico adeguato (insegnanti ordinari, insegnanti di sostegno, mediatori interculturali, libri di testo, supporti informatici, sostegno ai genitori, ecc.), ma anche su una famiglia che possa garantirgli un’abitazione dignitosa, spazi adeguati per lo studio, supporto nello svolgimento dei compiti a casa e, più in generale, un ambiente di vita sereno. I figli degli immigrati, i bambini appartenenti a minoranze e in particolare i minori rom, sin- ti e caminanti, sono certamente più a rischio per quanto riguarda l’accesso alla scuola, la conclusione degli studi (almeno della scuola dell’obbligo) e i risultati scolastici. La conoscenza della lingua italiana è solo una delle cause. Ad essa si aggiungono le frequenti lacune del personale docente, la mancanza di risorse finanziarie e di figure professionali specifiche, le condizioni di vita delle famiglie e la condizione abitativa (è esemplare il caso dei rom che vivono nei campi e che, in molte città italiane, a seguito dei frequenti e ripetuti sgomberi, si trovano a vivere in zone sempre più distanti dalle scuole)42. In Italia, nell’ultimo anno scolastico monitorato dal MIUR (2011/2012), gli studenti di cittadinanza non italiana iscritti a scuola sono risultati 755.939, l’8,4% degli 8.960.166 iscritti complessivi. Il 35,5% degli alunni stranieri frequenta la scuola primaria, che si conferma così come il grado scolastico con il più alto numero di questi studenti; il 22% la secondaria di I grado; il 21,8% la secondaria di II grado e il 20,7% la scuola dell’infanzia. Le loro origini vedono rappresentati quasi tutti i Paesi del mondo. A prevalere, come accade anche nei flussi migratori verso l’Italia, è il continente europeo, da cui proviene il 50,1% degli 42 Associazione 21 luglio, “Rom(a) Underground. Libro bianco sulla condizione dell’infanzia rom a Roma”, Roma, febbraio 2013, pp. 37-46. Per una riflessione sul possibile nesso tra la diminuzione, negli ultimi tre anni, degli alunni rom, sinti e caminanti nelle scuole italiane e la cosiddetta “emergenza nomadi” in atto dal 2008, in molti casi consistita quasi esclusivamente in una politica degli sgomberi, si vedano i dati riportati in Miur, “Alunni con cittadinanza non italiana. Verso l’adolescenza. Rapporto nazionale a.s. 2010/2011”, Quaderni Ismu, 4/2011, pp. 17-18. alunni di cittadinanza straniera; circa un quarto ha origini africane (24,2%), il 15,8% asiatiche e il 9,4% americane. I più numerosi sono gli studenti di cittadinanza romena (141.050), che da soli rappresentano il 18,7% degli iscritti, seguiti dagli albanesi (102.719, il 13,6%) e dai marocchini (95.912, il 12,7%). Altri gruppi particolarmente numerosi nelle scuole italiane sono i cinesi (34.083), seguiti da moldavi, indiani e filippini (tutti sopra le 21mila unità) e ecuadoriani, tunisini, ucraini e peruviani (con presenze tra le 19mila e le 18mila unità). Se invece se ne osserva la distribuzione sul territorio nazionale, il 65% risulta iscritto in una scuola del Nord Italia (37,1% Nord-Ovest e 27,9% Nord-Est); il 23,3% al Centro; l’8,2% al Sud e il 3,5% nelle Isole. Anche l’incidenza statistica sulla totalità degli studenti, che come ricordato è in media dell’8,4%, non è uguale dappertutto: raggiunge i picchi massimi in Emilia Romagna (14,6%) e in Lombardia (13,2%), si aggira intorno al 12% in Veneto, Piemonte, Toscana e Umbria, e intorno all’11% nelle Regioni Marche, Liguria, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige. Sul versante opposto si collocano invece il Sud e le Isole, con incidenze rispettivamente del 2,6% e del 2,4%. La Provincia che registra il primato per numero di studenti di cittadinanza non italiana è Milano, con 69.794 alunni, seguita da Roma (56.810), Torino (36.245), Brescia (32.064) e Bergamo (22.419). Presenze consistenti si rilevano anche in altre Province del Nord e del Centro Italia – Treviso (oltre 19mila), Vicenza e Firenze (oltre 18mila), Verona e Bologna (oltre 17mila) –, tuttavia le incidenze percentuali più alte di stranieri sul totale degli iscritti si rilevano a Prato, Piacenza e Mantova (18%), Brescia e Asti (17%), Cremona, Reggio Emilia e Modena (16%). Se complessivamente gli studenti stranieri sono cresciuti in un anno di circa 45mila unità, in oltre 7 casi su 10 la crescita va ricondotta ai minori di seconda generazione, ossia ad alunni di cittadinanza straniera ma nati in Italia. Questi hanno raggiunto il numero di 334.284 e costituiscono il 44,2% degli iscritti di cittadinanza non italiana, con punte del 54% nella scuola primaria e di oltre l’80% in quella dell’infanzia, dove negli ultimi cinque anni l’incremento è stato del 60%43. Degli oltre 750mila studenti stranieri, 28.554 si sono iscritti per la prima volta nel 2011/2012, o perché hanno avviato il loro percorso scolastico direttamente in Italia o perché approdati alla scuola italiana dal Paese di origine. La condizione di questi ultimi è forse l’unica davvero riconducibile alla condizione del minore straniero che deve affrontare l’ingresso in un Paese sconosciuto e, in primo luogo, impararne la lingua. Se per oltre la metà i nuovi iscritti frequentano le scuole elementari (14.667), la restante parte si è direttamente iscritta alla secondaria di I (7.728) o di II grado (6.159), incontrando presumibilmente le maggiori difficoltà di inserimento e di successo scolastico. Nelle secondarie di II grado rileva l’eccessiva canalizzazione degli alunni stranieri nei percorsi di formazione tecnica e professionale, destino che accomuna tanto gli studenti che arrivano direttamente dall’estero, quanto i figli di stranieri che hanno già un passato scolastico e di vita in Italia. Su 16.770 studenti stranieri iscritti alle scuole superiori, infatti, quasi 8 su 10 frequentano un istituto professionale (39,4%) o tecnico (38,3%), a fronte del 53,8% rilevato tra tutti gli iscritti, mentre è solo del 10% la quota di ragazzi frequentanti il liceo scientifico. Si notano segnali di cambiamento soltanto tra i minori di seconda generazione, la cui quota negli istituti tecnici e professionali scende dal 77,7% al 71,4% e sale, invece, al 14,3% nei licei scientifici. Si assiste, cioè, alla riproduzione tra i giovani di cittadinanza straniera di quanto accade nel mondo degli adulti: il “confinamento” in spazi della società – dalla scuola, alla casa, al mercato del lavoro – tendenzialmente separati da quelli dei cittadini autoctoni44. 43 Alunni stranieri in lieve crescita, sono oltre 755 mila, www.redattoresociale. it, 14 marzo 2013; si veda anche: MIUR, “Gli alunni stranieri nel sistema scolastico italiano. a.s. 2011/2012”, Notiziario a cura di Carla Borrini e Paola Di Girolamo, Servizio Statistico, ottobre 2012; Ginevra Demaio, “Studenti di cittadinanza straniera nelle scuole e nelle università”, in Caritas e Migrantes, Dossier Statistico Immigrazione 2012, Edizioni Idos, Roma, 2012, pp. 172-179. 44 Sull’ipotesi che vi sia tra i docenti la tendenza a suggerire il percorso professionale agli studenti stranieri più che agli italiani, anche a parità di rendimento scolastico, si veda la ricerca “Le seconde generazioni tra mondo della formazione e mondo del lavoro”, promossa da Rete G2, in collaborazione con Asgi, Save the Children e Unar nell’ambito del progetto R.E.T.E. (Rows Emergencies and Teen Empowerment), 2012. Sarebbe opportuno, quindi, intervenire su più piani: tramite la programmazione di interventi di sistema finalizzati all’integrazione degli alunni stranieri e appartenenti alle minoranze; la previsione di finanziamenti stabili e adeguati a tale scopo; l’accoglienza e l’accompagnamento degli studenti recentemente giunti da altri Paesi; la garanzia di pari opportunità nell’accesso alla formazione superiore; il superamento della confusione tra minori e alunni di cittadinanza straniera e minori e alunni di seconda generazione, ma anche l’introduzione di meccanismi di sostegno per le famiglie economicamente svantaggiate e il contrasto alla dispersione scolastica. Pertanto, il Gruppo CRC raccomanda: 1. Al Parlamento, al Governo e, in partico- lare, al Ministero dell’Istruzione, dell’Uni- versità e della Ricerca, di non apportare ulteriori tagli alle spese per l’istruzione e di garantire tutte le risorse – umane, tec- niche e finanziarie – necessarie all’inte- grazione scolastica dei bambini stranieri e appartenenti a minoranze: corsi di lingua – (italiano L2 per gli stranieri, ma anche lingue straniere per gli italiani e per i figli degli immigrati), protocolli e commissioni in ogni scuola per l’accoglienza degli alun- ni stranieri e delle loro famiglie, mediatori interculturali, materiali informativi e modu- listica nella lingua di origine delle famiglie, attività di socializzazione extrascolastica, programmi di insegnamento che includano lo studio e la storia di tutti i continenti, ecc.); 2. Al Ministero dell’Istruzione, dell’Universi- tà e della Ricerca, di adoperarsi, attraverso l’impegno dei docenti, per evitare che i figli degli immigrati siano orientati solo o prin- cipalmente verso gli istituti superiori tecnici e professionali, e di verificare che gli alunni stranieri siano ordinariamente iscritti a clas- si di studio corrispondenti alla loro età ana- grafica (e non a classi inferiori); 3. Al Ministero dell’Interno, alle Regioni e ai Comuni di approntare politiche che ga- rantiscano alle famiglie straniere la stabili- tà del soggiorno, di riconoscere la cittadi- nanza italiana ai figli degli immigrati che nascono in Italia e di adoperarsi affinchè eventuali nuove misure a sostegno del red- dito siano improntate alle pari opportunità. 5. soMMINIstrazIoNE DEI farMaCI a sCuola E assIstENza saNItarIa sColastICa La somministrazione dei farmaci a scuola continua ad essere un problema di difficile soluzione per molte famiglie di alunni affetti da gravi forme allergiche a rischio di anafilassi, che per le loro peculiari problematiche45 e per la complessità di gestione, non rientrano nelle modalità di intervento previste dalle Raccomandazioni dei Ministeri della Salute e dell’Istruzione del 200546; prima fra tutte, la necessità di scelta del farmaco da utilizzare, dei tempi di somministrazione e della eventuale ripetizione della somministrazione in funzione della crisi allergica in atto. Le famiglie di questi alunni sono talvolta ricorse alla magistratura, per veder riconosciuto il loro diritto alla salute e all’istruzione, come avvenuto con la sentenza che nel 2002 ha assegnato un infermiere a scuola ad un bambino affetto da una grave sindrome allergica47. Tutti i protocolli per la somministrazione dei farmaci a scuola ad oggi siglati la delegano, di fatto, al personale scolastico, mentre l’intervento delle strutture sanitarie, competenti per legge48, si limita alla formalizzazione delle au 45 Commissione paritetica FEDERASMA Onlus – SIAIP, “Raccomandazioni per la gestione del Bambino Allergico a Scuola”, documento riconosciuto dalla GARD Italia, www.federasma.org, www.siaip.it, www. salute.gov.it/imgs/C_17_pagineAree_2456_listaFile_itemName_6_file. pdf, 46 “Linee-Guida per la somministrazione di farmaci in orario scolastico” sottoscritte dai Ministeri Istruzione e Salute, trasmesse con Nota 2312 del 25/11/05 del Ministero dell’Istruzione. 47 Ordinanza cautelare (art. 700 c.p.c..) del Tribunale del Lavoro di Roma sentenza 2779 /2002. 48 D.P.R. n. 264/1961 “Disciplina dei servizi e degli organi che esercitano la loro attività nel campo dell’igiene e della sanità pubblica”, titolo III, che disciplina i servizi di medicina scolastica e dove all’ art. 11 recita: ‘la vigilanza igienica delle scuole e la tutela sanitaria della popolazione scolastica vengono esercitate con sevizi medico-scolastici a carattere prevalentemente profilattico e con servizi specialistici’. L’art. 2 della Legge 833/1978 stabilisce che il conseguimento delle finalità di tutela del diritto individuale e dell’interesse collettivo alla salute è assicurato anche mediante la prevenzione delle malattie in ogni ambito e la promozione della salute nell’età evolutiva, garantendo l’attuazione dei servizi medico-scolastici negli istituti di istruzione pubblica e privata di ogni ordine e grado, a partire dalla scuola materna, e favorendo con ogni mezzo l’integrazione dei soggetti con disabilità torizzazioni alla somministrazione da parte del personale volontario, e, quando previsto, alla formazione di tale personale e alla definizione delle diete sanitarie. Fa eccezione la Regione Lazio, dove è attiva l’unica esperienza italiana dei Presidi Sanitari Scolastici, in cui opera personale infermieristico. Istituiti nell’a.s. 2007/2008, sono oggi presenti in 7 scuole con un bacino di utenza di circa 5.000 alunni49. Anche la regione Toscana ha sottoscritto un accordo per la somministrazione dei farmaci a scuola che prevede la possibilità di assicurare, ove necessario, l’assistenza sanitaria50. Insieme al tema della somministrazione dei farmaci a scuola, è importante sottolineare quello della qualità dell’aria negli ambienti scolastici come strumento di tutela della salute di coloro che nella scuola studiano o lavorano51. In particolare, per gli studenti affetti da malattie respiratorie e allergiche, esso rappresenta un’importante misura di prevenzione sanitaria. La riduzione/abbattimento di inquinanti e allergeni previene l’insorgenza di crisi respiratorie e/o allergiche e riduce la necessità di interventi farmacologici durante l’orario scolastico. La salute è, secondo l’OMS, il risultato di una serie di determinanti di tipo sociale, ambientale, economico e genetico e non il semplice prodotto di una organizzazione sanitaria. La prevenzione, finalizzata alla tutela della salute, non può prescindere dalla tutela dell’ambiente. Anche la Strategia Europea per l’Ambiente e la Salute della Commissione europea “SCALE”52 ha posto “Il diritto a respirare aria pulita nella scuola e garantire la salute dei bambini” tra gli obiettivi strategici del millennio, ribaditi nella V Conferenza intergovernativa sul tema Ambiente e Salute infantile53 con 49 RSPA 2011 – Relazione sullo Stato di salute della Popolazione residente nella ASL RMD www.aslromad.it/PDFView.aspx?Section=6&Page =16&Progressive=1 50 Accordo di Collaborazione Per La Somministrazione Dei Farmaci A Scuola Tra Regione Toscana e – DG Uff. Scolastico Regionale per la Toscana – (Delibera n. 112 del 20 febbraio 2012 Allegato A) 51 Accordo concernente “Linee di indirizzo per la realizzazione nelle scuole di un programma di prevenzione dei fattori di rischio indoor per allergie e asma” 18 novembre 2010. www.statoregioni.it/dettaglio- Doc.asp?idprov=8902&iddoc=29580&tipodoc=2&CONF=UNI 52 Strategia “SCALE”- Science, Children, Awareness, Legal instrument, Evaluation, 2003. 53 OMS, Conferenza Ministeriale Ambiente e Salute “Proteggere la salute dei bambini in un ambiente che cambia”, Parma, Italia, 10–12 marzo 2010. la sottoscrizione della “Carta di Parma”54 e dichiarando il 2013 “Anno dell’Aria”55. Studi scientifici condotti nell’ambito di progetti europei56 ed italiani57, sottolineano l’urgenza di attuare programmi di prevenzione attiva, volti a ridurre le patologie respiratorie dei bambini dovute all’inquinamento indoor/outdoor. Uno studio condotto in dieci città europee, tra cui Roma, ha evidenziato per la prima volta che l’esposizione agli inquinanti dovuti al traffico veicolare, in particolare polveri sottili (PM10) e biossido di azoto (NO2), provocano un caso su sei di asma (14% dei casi di asma cronica nei bambini), a cui si aggiungono gli eventi acuti causati dall’inquinamento nei soggetti in cui la malattia già presente si aggrava (circa il 15% dei casi di esacerbazioni dell’asma e il 3% dei ricoveri per questa causa)58. La situazione epidemiologica delle malattie allergiche e dell’asma in età pediatrica in Italia è preoccupante, occupando il primo posto come causa di malattia cronica nella fascia di età 0-14 anni59, in particolare, il 2-8% di bambini soffre di allergie alimentari nei primi anni di vita60. È importante sapere che un terzo delle reazioni allergiche più gravi si verifica durante le ore scolastiche, essendo i bambini esposti a nuovi cibi e al rischio di venire a contatto con alimenti che potrebbero scatenarle. È quindi urgente definire politiche e programmi di prevenzione ambientale e comportamentale per 54 Dichiarazione di Parma su Ambiente e Salute www.salute.gov.it/ imgs/C_17_pubblicazioni_717_allegato.pdf 55 Si veda www.arpa.veneto.it/temi-ambientali/aria/riferimenti/notizie/ il-2013-e-lanno-europeo-dellaria 56 Progetto multicentrico europeo SEARCH I e II – School Environment And Respiratory health of Children.; Progetto “SINPHONIE” (Schools Indoor Pollution and Health: Observatory Network in Europe); vi partecipano 38 Istituti per l’ambiente e la salute di 25 Paesi. Con il suo speciale focus sulle scuole e le strutture per l’infanzia, il progetto ha lo scopo di definire raccomandazioni per le politiche delle misure di recupero dell’ambiente scolastico. 57 Progetto “Esposizione ad inquinanti indoor: linee guida per la valutazione dei fattori di rischio in ambiente scolastico e definizione delle misure per la tutela della salute respiratoria degli scolari e degli adolescenti”(Indoor-School), finanziato dal CCM e coordinato dall’ISS. Progetto EXPAH studia l’esposizione di anziani e bambini in età scolastica agli IPA www.ispesl.it/expah/prj.asp 58 Perez L. et al., “Chronic burden of near-roadway traffic pollution in 10 European cities (APHEKOM network)”, European Respiratory Journal Express. Published on March 21, 2013 as doi: 10.1183/09031936.00031112 59 Ministero della Salute – “Relazione sullo stato sanitario del Paese 2009-2010”, www.salute.gov.it 60 Commissione paritetica FEDERASMA Onlus – SIAIP, op. cit.,, www. federasma.org contrastare i fattori di rischio presenti a scuola e, ove necessario, dotare le scuole di personale qualificato e professionalmente preparato a gestire e contrastare farmacologicamente le gravi crisi asmatiche e allergiche che possono evolvere rapidamente ed essere potenzialmente fatali. Nell’ultimo decennio il Ministero della Salute, in particolare la DG della Prevenzione, ha avviato una serie di iniziative, tra cui la costituzione della GARD Italia61, volte ad inquadrare la situazione italiana sulle malattie respiratorie62 e allergiche per proporre e supportare le “azioni centrali prioritarie” del Piano Nazionale della Prevenzione, con particolare riferimento alle problematiche poste dalle malattie croniche63. Il Gruppo di Lavoro sulla “Prevenzione Respiratoria nelle Scuole”64 nel mese di novembre 2012 ha pubblicato il documento “Programma di prevenzione per le scuole dei rischi indoor per malattie respiratorie e allergiche – Quadro conoscitivo sulla situazione italiana e strategie di prevenzione65 dove, sulla base dell’analisi di contesto e delle evidenze scientifiche raccolte, ha delineato le principali aree di criticità su cui intervenire; le possibili strategie sostenibili per promuovere l’attuazione, a livello nazionale e locale, di un programma di interventi volti a minimizzare i fattori di rischio indoor nelle scuole per ridurne l’impatto sulla salute respiratoria 61 GARD-I Alleanza Globale contro le Malattie Respiratorie Croniche – Organismo istituito presso il Ministero della Salute nel 2009 in seguito alla adesione del Ministero della Salute italiano nel 2007 alla “Global Alliance against Chronic Respiratory Diseases” (GARD), alleanza volontaria, nazionale ed internazionale, fondata dall’OMS. La GARD Italia è costituita da rappresentanti delle società scientifiche e delle associazioni dei pazienti di riferimento per l’area delle malattie respiratorie e allergiche e da rappresentati del Ministero della Salute www.salute. gov.it/gard/paginaMenuGARD.jsp?lingua=italiano&menu=linee 62 Laurendi G, et al, “Aspetti epidemiologici delle Malattie Respiratorie Croniche in età evolutiva”,. Global Alliance against chronic respira- tory diseases in Italy (GARD-Italy): Strategy and activities. Respir Med. 2012 Jan;106(1):1-8. 63 PNP – Piano Nazionale della Prevenzione, DECRETO 4 agosto 2011 – Adozione del documento esecutivo per l’attuazione delle linee di supporto centrali al Piano nazionale della prevenzione 2010-2012. (11A14248), G.U. Serie Generale n. 254 del 31 ottobre 2011. 64 GARD Italia- Gruppo di Lavoro per la “Prevenzione Respiratoria nelle Scuole” il cui mandato è promuovere l’attuazione dell’Accordo Stato Regioni del 18 novembre 2010 concernente “Linee di indirizzo per la prevenzione nelle scuole dei fattori di rischio indoor per allergie ed asma” (Rep. Atti n. 124/CU del 18 novembre 2010) Maggiori informazioni su www.salute.gov.it/imgs/C_17_pagineAree_1602_listaFile_itemName_ 0_file.pdf e su www.statoregioni.it/dettaglioDoc.asp?idprov=89 02&iddoc=29580&tipodoc=2&CONF=UNI 65 Si veda www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_1892_allegato. pdf. degli studenti e dell’intera comunità scolastica. Il Gruppo ha sottolineato come, sotto il profilo sanitario, oltre a sviluppare misure generali e specifiche sull’ambiente (es. “allergy free school”), sia necessario superare gli ostacoli giuridici, tecnico-organizzativi e gestionali che ostacolano l’assistenza ai soggetti malati cronici durante l’orario scolastico, in particolare per la somministrazione dei farmaci a scuola, e ha auspicato la costituzione di un tavolo tecnico interministeriale (Istruzione-Salute) per definire delle linee operative in quest’ambito. Un positivo ed importante passo in questa direzione è rappresentato dall’istituzione, presso il Ministero dell’Istruzione, DG per lo Studente, l’integrazione, la partecipazione, la comunicazione, nel settembre 2012, di un “Comitato paritetico Nazionale per le malattie croniche e la somministrazione dei farmaci a scuola” 66. Il Gruppo CRC raccomanda pertanto: 1. Ai Ministeri dell’Istruzione dell’Universi- tà e della Ricerca e della Salute di istituire un osservatorio nazionale sulla sommini- strazione dei farmaci a scuola, che rac- colga i dati sulle necessità e tipologie di assistenza, recepisca le istanze delle fa- miglie e delle associazioni di tutela per avere un quadro chiaro che consenta di definire e programmare politiche e azioni di intervento; 2. Ai Ministeri della Salute, dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, dell’Am- biente, la Tutela del Territorio e del Mare, di diffondere la conoscenza dell’accordo Stato-Regioni del 18 novembre 2010 con- cernente “Linee di indirizzo per la pre- venzione nelle scuole dei fattori di rischio indoor per allergie ed asma” e del “Pro- gramma di prevenzione per le scuole dei 66 Decreto direttoriale n. 14/I 11/09/2012 e 17/I 04/10/2012 del Ministero dell’Istruzione, DG per lo Studente, l’integrazione, la partecipazione, la comunicazione: Istituzione del “Comitato Paritetico Nazionale per le malattie croniche e la somministrazione dei farmaci a scuola” coordinato dal Ministero dell’Istruzione con il compito di: “ definire linee guida condivise e relativi protocolli operativi finalizzati all’assistenza di studenti che necessitano di somministrazione di farmaci in orario scolastico […] con particolare riferimento alle patologie croniche; definire compiti e responsabilità delle figure istituzionali e professionali coinvolte; definire modelli condivisi per una gestione integrata, che favoriscano l’inserimento del minore con patologie croniche […].”. rischi indoor per malattie respiratorie e al- lergiche – Quadro conoscitivo sulla situa- zione italiana e strategie di prevenzione” attraverso incontri e campagne di comuni- cazione rivolti a scuole, strutture sanitarie preposte al controllo degli ambienti sco- lastici e dipartimenti della prevenzione, al fine di attuarne le indicazioni; ed alle Re- gioni di recepire e attuarne il Programma; 3. Al Governo e al Parlamento di sanare l’at- tuale vuoto legislativo emanando una legge nazionale che riunisca in un unico testo le garanzie di tutela della popolazione scola- stica in materia di prevenzione della salute, di continuità dell’assistenza e di gestione delle emergenze, definendo l’organizzazio- ne e le figure professionali con competenze sanitarie che dovranno operare all’interno degli istituti scolastici, i compiti ad essi as- segnati, gli interventi di assistenza sanita- ria individuale e collettiva a garanzia di una reale tutela del diritto allo studio e alla sa- lute attraverso la continuità dell’assistenza sanitaria anche durante l’orario scolastico. rischi indoor per malattie respiratorie e al- lergiche – Quadro conoscitivo sulla situa- zione italiana e strategie di prevenzione” attraverso incontri e campagne di comuni- cazione rivolti a scuole, strutture sanitarie preposte al controllo degli ambienti sco- lastici e dipartimenti della prevenzione, al fine di attuarne le indicazioni; ed alle Re- gioni di recepire e attuarne il Programma; 3. Al Governo e al Parlamento di sanare l’at- tuale vuoto legislativo emanando una legge nazionale che riunisca in un unico testo le garanzie di tutela della popolazione scola- stica in materia di prevenzione della salute, di continuità dell’assistenza e di gestione delle emergenze, definendo l’organizzazio- ne e le figure professionali con competenze sanitarie che dovranno operare all’interno degli istituti scolastici, i compiti ad essi as- segnati, gli interventi di assistenza sanita- ria individuale e collettiva a garanzia di una reale tutela del diritto allo studio e alla sa- lute attraverso la continuità dell’assistenza sanitaria anche durante l’orario scolastico. 6. la disPersione sColastiCo formativa Come noto, l’Italia è tra i fanalini di coda nell’UE27 per quanto riguarda i tassi di abbandono degli studi post obbligo e di mancata acquisizione di un titolo di studio secondario; a fronte di una media europea pari al 15% (il benchmark stabilito dall’Unione europea è pari al 10%), nel 2011 il 18%67 dei giovani italiani tra i 18 ed i 24 anni hanno conseguito al massimo il titolo di scuola media e non hanno concluso un corso di formazione professionale riconosciuto dalla Regione di durata superiore ai 2 anni, né frequentano corsi scolastici o svolgono attività formative68. 67 I dati dell’Italia sono confermati anche nel “Rapporto sulla coesione sociale” a cura dell’ISTAT e pubblicato nel 2011 e nel “Rapporto di sintesi sugli esiti del monitoraggio del III Piano biennale nazionale di azioni e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva”, adottato con il DPR del 21 gennaio 2011. 68 Questo tasso è calcolato sulla base dell’indicatore utilizzato a livello europeo Early school leavers, che si traduce con la quota di 1824enni che hanno conseguito un titolo di studio al massimo ISCED 2 (scuola secondaria di primo grado) e che non partecipano ad attività di educazione o formazione sul totale della popolazione 18-24enne. L’Istat misura questo indicatore ricorrendo alla rilevazione sulle Forze lavoro. Per trovare risposte efficaci a questo fenomeno, nell’ambito dell’attuazione del “Piano di Azione Coesione per il miglioramento dei servizi pubblici collettivi al Sud – Priorità Istruzione”69, il MIUR ha avviato nel 2012 il programma OKun, che ha come finalità principale la prevenzione e il contrasto dell’abbandono scolastico e del fallimento formativo precoce in aree di esclusione sociale e culturale. Concretamente, questo programma promuove lo sviluppo di reti territoriali e la creazione di prototipi innovativi, con la regia degli istituti scolastici, ma aperti alle potenzialità di altri soggetti che operano localmente (attori pubblici, il privato sociale, parti sociali, etc.). In tal modo si punta a realizzare misure specifiche di sviluppo locale rivolte a minori precocemente esclusi o a rischio di esclusione dai percorsi scolastici e formativi. Tra gli aspetti significativamente innovativi di questa ampia operazione, che coinvolgerà le quattro regioni dell’Obiettivo convergenza (Campania, Calabria, Puglia e Sicilia) nel biennio 2013-201470, si segnala l’approccio centrato su azioni misurabili in termini di effettivi percorsi di recupero e prevenzione dei singoli destinatari delle azioni stesse, fin dalla prima infanzia. D’altra parte è ormai noto che l’insuccesso scolastico- formativo matura molto presto, a causa di condizioni di svantaggio di tipo familiare e di appartenenza territoriale, che fanno nascere precocemente nei bambini un gap nello sviluppo di competenze cognitive, socio-relazionali, emotive sempre più difficile da colmare col passare degli anni. Sono numerose le evidenze empiriche emerse negli ultimi anni “sull’impatto costante e potente dell’origine sociale sulle opportunità dei bambini” e dei giovani, per il fatto che, stando ai recenti studi sulla stratificazione intergenerazionale, “le disuguaglianze delle sollecitazioni da parte dei genitori vengono successivamente trasmesse alle scuole che, a loro volta, sono generalmente attrezzate in modo insufficiente per correggere i differenzia 69 Cfr. i documenti del MIUR a riguardo, tra cui in particolare la circolare 11666/2012. 70 Operativamente i prototipi sono partiti con nota del MIUR del 25/03/2013. e avranno la durata di 24 mesi. li delle capacità di apprendimento”71. Rispetto agli interventi di riequilibrio di queste differenze di partenza che la scuola può effettivamente realizzare72, peserebbero molto di più il capitale culturale familiare, insieme a condizioni demografiche e di capacità reddituale che possono tracciare disuguaglianze nell’investimento economico delle famiglie sui propri figli. L’esito di questi percorsi difficili fin dalla prima infanzia è rappresentato dalle difficoltà di transizione dall’istruzione secondaria inferiore a quella superiore, molto diffuse tra i ragazzi italiani. Basta confrontare i tassi di non ammissione alle classi successive tra i due gradi dell’istruzione secondaria: nella scuola secondaria superiore il loro valore è maggiore di quasi 4 volte rispetto alla scuola media. I tassi di ripetenza, inoltre, sono più che duplicati – e triplicate sono le percentuali dei ragazzi che interrompono il percorso di studi. Come emerge dall’ultimo rapporto MIUR sulla dispersione scolastica per l’anno scolastico 2006-2007, infatti, il tasso di non ammissione all’anno successivo all’iscrizione, nel caso della scuola secondaria di I grado, ha interessato il 3,2% degli iscritti; nel caso delle scuole superiori sale al 14,2%, con un’elevata quota pari al 18,9% registrata rispetto al primo anno. Strettamente connesso al tasso di non ammissione è quello di ripetenza: nella scuola secondaria di I grado è al 2,7% al primo anno e al 3,2% al secondo; nel ciclo di studi superiore risulta pari all’8,5% nel primo anno e 7,2% nel secondo. Per quanto riguarda gli studenti iscritti che abbandonano gli studi si evidenzia come lo 0,2% abbandoni la scuola secondaria di I grado, contro l’1,6% che abbandona la scuola secondaria di II grado; in particolare, il 2,4% degli abbandoni si verifica durante il primo anno. Come sottolineato da tempo e da più parti, si tratta di difficoltà connesse principalmente alle discontinuità tipiche del nostro sistema educativo, connotato da un’offerta formativa ‘a scalini’ e poco integrata, in cui non solo le transizioni tra i diversi ordini di istruzione sono poco supportate, ma in cui nei vari passaggi si perdono 71 Cfr. Esping-Andersen G., “I bambini nel Welfare State. Un approccio all’investimento sociale”, in Rivista delle Politiche Sociali, n. 4, 2005, pp. 56-57. 72 Cfr, tra gli altri, Teselli A., “L’efficacia della formazione professionale per i giovani”, Donzelli, Roma, 2011. via via quote di giovani73. Anche per contribuire a colmare queste discontinuità, la riforma del sistema dell’istruzione e della formazione, avviata con la Legge 144/1999 sull’obbligo formativo (modificata ed integrata dalla successiva Legge 53/2003) sul diritto e correlato dovere all’istruzione e formazione, ha puntato a rendere più flessibile l’offerta di istruzione e formazione. Si sono di fatto disegnati percorsi alternativi in cui i ragazzi in età di diritto-dovere possono assolvere tale obbligo, oltre che nel canale tradizionale dell’istruzione, in quello della formazione professionale e dell’apprendistato formativo. D’altronde dispersione scolastica e formativa non significa sic et simpliciter uscire dal percorso di studi, ma include fenomeni quali le bocciature, la frequenza discontinua, le assenze ricorrenti, la scarsità di tempo dedicato allo studio, le interruzioni di percorso, il non raggiungimento del titolo formale o la mancata acquisizione di competenze riconosciute, tutti segnali evidenti di un percorso a rischio74. Proprio sul versante dell’acquisizione di alcune competenze chiave da parte dei 15enni scolarizzati riferite a tre ambiti, lettura, matematica e scienze75, i risultati forniti dall’ultima Indagine PISA (2009), come quelle precedenti, indicano per gli studenti 15enni italiani un livello generalmente più basso rispetto alla media OCSE76. Nel dettaglio, due sono le aree di 73 Mediamente il rapporto tra diplomati e iscritti iniziali è del 71%. Cfr. Banca D’Italia, “L’economia delle regioni italiane nell’anno 2007. Approfondimenti – La Dispersione scolastica e le competenze degli studenti”, Roma, 2008. 74 Cfr. tra gli altri: MIUR, “La dispersione scolastica. Una lente sulla scuola”, rapporto di ricerca, Roma, 2000; Benvenuto G., Sposetti P. (a cura di), “Contrastare la dispersione scolastica”, Anicia, Roma, 2005; Farinelli, F., “L’insuccesso scolastico: conoscerlo per contrastarlo”, Edizioni Kappa, Roma, 2002; Teselli A., Bonardo D., “I percorsi a rischio di dispersione. Un’indagine sulla formazione professionale nella Provincia di Roma”, in Progetto di ricerca e studio della dispersione formativa: sintesi dei risultati, Nuova Cultura, Roma, 2007. 75 Cfr.: a) OECD, 2010, PISA 2009 at a Glance, b) OECD, 2010, PISA 2009 Results: Executive Summary; c) INVALSI, 2010, Primi risultati di PISA 2009. PISA è un’indagine comparativa internazionale che si svolge ogni tre anni; la rilevazione del 2009 è la quarta. Il suo obiettivo principale è quello di valutare in che misura gli studenti che si approssimano alla fine dell’istruzione obbligatoria (i quindicenni) abbiano acquisito alcune competenze ritenute essenziali, riferite a tre ambiti di literacy: lettura, matematica e scienze. Nell’edizione del 2009, per l’Italia hanno partecipato 1.097 scuole e 30.905 studenti, un campione per la prima volta rappresentativo di tutte le Regioni italiane. 76 Anche se nell’indagine del 2009 per la prima volta l’Italia presenta dei miglioramenti in tutti e tre gli ambiti di competenza analizzati: in quest’ultima rilevazione, infatti, vengono forniti anche dei dati di tendenza nell’arco di tempo tra il 2000 (data della prima indagine PISA) e il 2009. problematicità rilevate da PISA 2009: Lettura e Matematica e Scienze. Nel primo caso, l’Italia con un punteggio medio di 486 è leggermente al di sotto della media OCSE (493), ma lo sono in particolar modo le regioni del Sud (468) e gli studenti maschi a livello nazionale (464). Sul versante della Matematica e Scienze, lo scarto è più evidente tra l’Italia e la media OCSE, rispettivamente 483 contro 496 e 489 rispetto a 501. Anche qui, le regioni del Sud sono in svantaggio rispetto a quelle del Centro Nord. L’alto tasso di abbandono precoce dei percorsi di istruzione e formazione post obbligo fa quindi pendant con livelli più bassi di acquisizione di quelle competenze definite come essenziali per una consapevole partecipazione nella società. Come accennato, non va sottovalutato quanto le performances modeste nell’acquisizione di competenze chiave appaiano fortemente legate a minori opportunità fornite dalle famiglie di provenienza fin dall’infanzia. Lo confermano anche le varie indagini OCSE ed in particolare l’ultima del 200977, in cui risulta significativa l’associazione tra risultati nell’apprendimento delle competenze e livello socio-economico e culturale delle famiglie: gli studenti che provengono da famiglie svantaggiate per capacità economica e capitale culturale hanno risultati peggiori di quelli con famiglie ‘ricche’ culturalmente ed economicamente. Questa combinazione tra alto tasso di abbandono dei percorsi post obbligo e difficoltà nell’acquisizione di competenze chiave, anche per le disuguaglianze legate alle origini sociali, è uno dei fattori alla base del recente e progressivo aumento del fenomeno dei cosiddetti Neet (Neither in employment nor in any education nor training), ovvero dei giovani fra i 15 e i 29 anni né occupati, né iscritti ad un corso regolare di studi78. Nel 2010, secondo l’ISTAT, in Italia circa 2 milioni di giovani si sono trovati in questa condizione: il 21% della popolazione in questa fascia di età, dei quali più della metà ha meno di 25 anni79. Sebbene diversi autori sottolineino 77 OECD 2010, Ibidem. 78 Cfr. Employment in Europe, 2010, http://ec.europa.eu/employment_ social/eie/chap3-5_en.html 79 Istat, 2010, Rapporto sulla coesione sociale. come la condizione di né occupato né studente sia nella maggior parte dei casi molto transitoria, per alcuni dura più tempo, soprattutto se sono early school leavers, giovani, cioè, tra i 18 ed i 24 anni che hanno abbandonato gli studi senza aver conseguito un diploma di scuola superiore. Il rischio, cioè, di far parte dei Neet riguarda in particolar modo chi interrompe troppo presto il proprio percorso formativo, fermandosi alla sola licenza media. Il quadro fin qui tracciato renderebbe indispensabile poter disporre di informazioni costanti, certificate e utilizzabili sulla dispersione e sui fenomeni ad essa legati, ma proprio su questo aspetto, come rilevato anche dai precedenti Rapporti CRC, non è ancora attivo ad oggi un sistema integrato a livello nazionale, che permetta di seguire il percorso scolastico-formativo di ogni studente. Il MIUR ha costituito un’anagrafe nazionale degli studenti, strumento che potenzialmente permette di monitorare l’incidenza dei ragazzi che escono dal circuito dell’istruzione, ma che non è ancora stato integrato con i dati delle scuole non statali e raccordato con le anagrafi regionali relative all’obbligo formativo e all’apprendistato. Inoltre, non tutte le Amministrazioni Regionali e delle Province Autonome dispongono di un’anagrafe in grado di monitorare lo stato formativo dei minorenni. Appare oltremodo significativo accompagnare a progetti di sostegno allo studio, un processo di orientamento che possa diventare parte integrante di una strategia complessiva di intervento contro l’insuccesso formativo e la dispersione scolastica80. Pertanto il Gruppo CRC reitera le medesi- me raccomandazioni del 2012: 1. Al Ministero dell’Istruzione, dell’Uni- versità e della Ricerca di implementare il sistema informatico relativo all’anagrafe nazionale degli studenti e di procedere al raccordo di questa con quelle realizzate a livello locale; 2. Al Ministero dell’Istruzione, dell’Uni- versità e della Ricerca di raccordarsi con gli altri Ministeri competenti al fine di in- 80 FGA, “ Alle origini dell’insuccesso formativo e della dispersione scolastica”, 2013. dividuare e allocare risorse per finanziare progetti di sostegno ed incentivazione allo studio da rivolgere ai ragazzi che si trova- no in situazioni familiari a rischio di esclu- sione sociale; 3. Alle Regioni e alle Province Autonome di costituire, nel caso in cui non vi abbiano ancora provveduto, o in ogni caso poten- ziare, le anagrafi scolastiche locali. 7. Il DIrItto alla sICurEzza NEGlI aMbIENtI sColastICI 61. Il Comitato raccomanda vivamente che l’Ita- lia: (d) trasponga in norme il Decreto Legislativo n. 81/2008 in materia di sicurezza sul luogo di lavoro in relazione alle scuole. CRC/C/ITA/CO/3-4, punto 61 dividuare e allocare risorse per finanziare progetti di sostegno ed incentivazione allo studio da rivolgere ai ragazzi che si trova- no in situazioni familiari a rischio di esclu- sione sociale; 3. Alle Regioni e alle Province Autonome di costituire, nel caso in cui non vi abbiano ancora provveduto, o in ogni caso poten- ziare, le anagrafi scolastiche locali. 7. Il DIrItto alla sICurEzza NEGlI aMbIENtI sColastICI 61. Il Comitato raccomanda vivamente che l’Ita- lia: (d) trasponga in norme il Decreto Legislativo n. 81/2008 in materia di sicurezza sul luogo di lavoro in relazione alle scuole. CRC/C/ITA/CO/3-4, punto 61 Per il decimo anno consecutivo, una delle Associazioni del Gruppo CRC81 ha realizzato una indagine relativa ad un campione di edifici scolastici, per rilevarne il livello di sicurezza, qualità e comfort attraverso l’osservazione diretta e l’intervista ai responsabili del servizio prevenzione e protezione. Per quanto riguarda gli aspetti di carattere strutturale, la situazione permane estremamente grave rispetto agli anni precedenti: solo un quarto delle scuole è in regola con le tre certificazioni, di agibilità statica, igienico-sanitaria e di prevenzione incendi che risultano presenti nel 24% delle scuole monitorate. I dati nazionali pubblicati dal MIUR in proposito, evidenziano una situazione diversa ma per nulla tranquillizzante82 . Gli istituti scolastici in regola per quanto riguarda la certificazione di agibilità statica sarebbero il 44,2%, quelli in possesso della certificazione di agibilità igienico sanitaria il 35,4%, e quelli con la certificazione di prevenzione incendi il 28,8% del totale. Il dato relativo alla presenza delle certificazione di agibilità statica, ancora assente in più della metà degli edifici scolastici secondo i dati ufficiali diffusi, va posto in relazione a 81 Cittadinanzattiva, “X Rapporto Sicurezza, Qualità e Comfort degli edifici scolastici”, 2012. 82 Tuttoscuola, “2° Rapporto sulla qualità nella scuola”, 2011. quello reso noto a fine 201283 dal MIUR, relativo alla nuova riclassificazione sismica del territorio, secondo cui un edificio scolastico su quattro (29% del totale) insiste in zone ad elevata sismicità (zona 1 e 2)84. Se a questo dato si unisce quello relativo all’età media degli edifici scolastici, costruiti nel 44% tra il 1961 ed il 1980, si capisce immediatamente che quasi la metà degli edifici scolastici italiani, pur insistendo in territori sismici, non è stata costruita secondo la normativa antisismica, introdotta a partire dal 1974. Gli enti proprietari degli edifici, Comuni e Province, poi, non riescono più a garantire un buon livello di manutenzione degli stessi. Infatti, secondo il X Rapporto di Cittadinanzattiva, il 21% delle scuole presenta uno stato di manutenzione del tutto inadeguato, come rivelano gli stessi responsabili del servizio di protezione e prevenzione intervistati. Nell’87% dei casi sono stati richiesti interventi mantenutivi all’ente interessato, ma quest’ultimo, nel 15% delle situazioni, non è mai intervenuto o l’ha fatto con estremo ritardo. Gli interventi di tipo strutturale, che richiedono maggiori fondi e tempo, sono stati richiesti nel 45% delle scuole ma ben il 58% non ha ottenuto alcuna risposta da parte dell’ente proprietario. Il cattivo stato di manutenzione è evidenziato dalla presenza di distacchi di intonaco nei corridoi (19%), nelle aule (14%) e nei bagni (14%), oltre che dalla presenza di muffe, infiltrazioni di acqua e macchie di umidità in bagni ed aule (24%), mense (18%), palestre (17%). Per quanto riguarda le aule, l’ambiente frequentato quotidianamente dagli studenti, le condizioni di manutenzione lasciano molto a desiderare in quanto in una su quattro (24%) sono ben visibili segni di fatiscenza, come umidità muffe, infiltrazioni di acqua oltre che distacchi di intonaco in più di un’aula su 10 (14%). Sedere sui banchi di scuola può risultare dannoso 83 Ministero dell’Istruzione, dell’Università, della Ricerca, “Anagrafe Edilizia scolastica – Rapporto nazionale”, 2012. 84 Dopo l’evento del Molise (2002) il territorio italiano è stato classificato in quattro zone sismiche a diversa pericolosità. Il 9% dei Comuni italiani ricadono in zona 1 (la più pericolosa, dove in passato si sono avuti danni gravissimi a causa di forti terremoti), il 25% in zona 2 (dove in passato si sono avuti danni rilevanti), il 20% in zona 3, e il 45% in zona 4. Nessuna area del territorio italiano può considerarsi non interessata al problema. (www.protezionecivile.gov.it). per la salute, considerando che temperature ed aerazione non sono adeguate nella gran parte delle aule, il 49% di esse è senza tapparelle o persiane e il 57% ha le finestre rotte. Come se non bastasse, il 10% delle sedie ed il 12% dei banchi è rotto e, in oltre la metà dei casi, gli arredi non sono a norma e adeguati alle misure antropometriche degli studenti. Passando al capitolo dolente del sovraffollamento delle aule, una classe su quattro del campione monitorato ha più di 25 alunni, dunque non è adeguata alla normativa antincendio. Non è infrequente trovare aule in cui non viene rispettato il rapporto, tra gli studenti, di uno a 20 quando in classe è presente un alunno con grave disabilità. Questo fenomeno è in costante crescita a causa dell’applicazione del recente art. 64 della Legge 133/2008, che ha consentito di innalzare il limite di alunni per classe, qualora ne esistano i presupposti di sicurezza. Ma questi non esistono almeno in un terzo delle scuole, come evidenziato nel Piano straordinario dell’edilizia scolastica emanato dal MIUR alla fine del 201185. I dati sul sovraffollamento delle aule vanno correlati ad altri fattori relativi alla sicurezza interna come le porte con apertura antipanico, assenti nel 78% delle scuole monitorate; le scale di sicurezza, assenti nel 21% dei casi; le uscite di emergenza assenti nel 16% e non segnalate nel 15%; la larghezza dei passaggi di almeno 120 cm, non rispettata nel 18% dei casi; la già citata certificazione antincendio in regola solo nel 24% delle scuole. La conclusione è che, in queste aule, è elevato il rischio di rimanere intrappolati in caso di emergenza ed evacuazione veloce. E mentre muove i primi passi la scuola 2.0, un terzo degli edifici è privo anche dell’aula computer e quasi la metà di laboratori didattici. Oltre a ciò, il 46% degli edifici monitorati non ha una palestra al proprio interno. Quelle esistenti presentano segni di fatiscenza nel 17% dei casi, distacchi di intonaco nel 7%, sono senza spogliatoi nel 18%, hanno attrezzature danneggiate nel 13%, mancano di cassetta di pronto 85 Il Piano generale di riqualificazione dell’edilizia scolastica è stato emanato in seguito alla Sentenza n.03512/2011 del Consiglio di Stato, in esecuzione dell’Ordinanza del TAR del Lazio. Contiene l’elenco di circa 12.000 edifici scolastici che presentano delle criticità strutturali e non. soccorso in un caso su tre (34%). Per quanto riguarda i cortili, il secondo luogo più frequentato dagli studenti italiani, in un terzo dei casi sono usati come parcheggio, hanno pavimentazione sconnessa nel 44%, rifiuti non rimossi o ingombri nel 12%, e, nella stessa percentuale, presentano barriere architettoniche. Nel 56% dei casi sono presenti distributori automatici di bevande e nel 36% di snack, ma solo in 3 scuole sono previsti anche prodotti naturali. Gli studenti con disabilità sono presenti in numero sempre crescente nelle scuole italiane. In dieci anni il loro numero è cresciuto del 56%86. Dal campione del Rapporto risulta che su 31.580 alunni, 1.348 sono affetti da disabilità. E per loro la vita non è facile all’interno delle scuole. Scalini all’ingresso del 14% delle scuole, ascensore assente nel 54% degli edifici e non funzionante nel 14% di quelli che ne sono dotati; barriere architettoniche nel 18% delle mense, nel 14% all’ ingresso, nel 13% dei laboratori, nel 12% dei cortili, nell’11% delle aule e dei laboratori multimediali, nell’8% delle palestre. Nel 34% delle scuole non esistono bagni per disabili, e il 7% di quelle che lo posseggono, presenta barriere architettoniche. Uno dei pochi dati positivi in materia di sicurezza nelle scuole è quello dell’accresciuta attenzione nei confronti di aspetti relativi alla prevenzione e alla vigilanza all’interno degli edifici scolastici. Le prove di evacuazione sono effettuate almeno due volte l’anno nel 93% delle scuole, il piano di evacuazione è presente nel 98% dei casi, i cancelli sono tenuti chiusi durante l’orario scolastico nel 64% delle scuole. Si potrebbero registrare miglioramenti sul versante della formazione: sebbene siano diffusi materiali informativi agli studenti nel 78% delle scuole e realizzate iniziative di formazione per gli stessi in oltre l’80%, solo nel 45% dei casi l’informazione è diffusa anche ai genitori. Inoltre, la segnaletica è in parte carente: un 20% di scuole non presenta ovunque la piantina di evacuazione, il 15% non segnala le uscite di emergenza, il 24% non espone il divieto di fumo. 86 Per approfondimento si veda infra paragrafo “Il diritto all’istruzione per i bambini e gli adolescenti con disabilità”. Pertanto il Gruppo CRC raccomanda: 1. Al Ministero dell’Istruzione, dell’Universi- tà della Ricerca di rendere pubblici e consul- tabili on line i dati dell’Anagrafe dell’edilizia scolastica, relativi alle condizioni strutturali e non, di tutti gli edifici scolastici pubblici italiani, sulla base dei quali poter individua- re gli interventi prioritari ed i fondi necessa- ri per la loro messa in sicurezza; 2. Al Parlamento italiano l’approvazione rapida di un disegno di legge riguardan- te la destinazione dei fondi raccolti con l’8X1000 per la parte di competenza stata- le, da destinare all’edilizia scolastica e lo svincolamento degli investimenti da parte di Comuni e Province dai limiti imposti dal Patto di stabilità, sempre in materia di edi- lizia scolastica; 3. Ai Comuni ed alle Province italiane di considerare l’abbattimento delle barriere ar- chitettoniche e la dotazione di attrezzature ed ausili per gli alunni con disabilità nelle scuole italiane come una priorità dalla qua- le partire per garantire una maggiore sicu- rezza all’interno degli edifici scolastici ed un pieno esercizio del diritto allo studio. 8. l’eduCazione ai diritti umani 19. Il Comitato invita l’Italia ad adottare tutte le misure necessarie per affrontare le raccomanda- zioni non ancora implementate o implementate in modo insufficiente, comprese quelle riguardanti il coordinamento, l’assegnazione delle risorse, la formazione sistematica sulla Convenzione, la non discriminazione, gli interessi dei minori, il diritto all’identità, l’adozione, la giustizia minorile e i minori rifugiati e richiedenti asilo, nonché a for- nire un follow-up adeguato alle raccomandazioni contenute nelle presenti osservazioni conclusive. Il Comitato ribadisce la sua raccomandazione di istituire un sistema di formazione regolare, obbli- gatorio e continuo sui diritti dei minori per tutte le figure professionali che lavorano con i minori, in particolare funzionari di polizia, carabinieri, giudici e personale penitenziario CRC/C/ITA/CO/3-4 punto 19 Mentre l’Europa continua ad adeguare i propri programmi scolastici integrando le materie di Pertanto il Gruppo CRC raccomanda: 1. Al Ministero dell’Istruzione, dell’Universi- tà della Ricerca di rendere pubblici e consul- tabili on line i dati dell’Anagrafe dell’edilizia scolastica, relativi alle condizioni strutturali e non, di tutti gli edifici scolastici pubblici italiani, sulla base dei quali poter individua- re gli interventi prioritari ed i fondi necessa- ri per la loro messa in sicurezza; 2. Al Parlamento italiano l’approvazione rapida di un disegno di legge riguardan- te la destinazione dei fondi raccolti con l’8X1000 per la parte di competenza stata- le, da destinare all’edilizia scolastica e lo svincolamento degli investimenti da parte di Comuni e Province dai limiti imposti dal Patto di stabilità, sempre in materia di edi- lizia scolastica; 3. Ai Comuni ed alle Province italiane di considerare l’abbattimento delle barriere ar- chitettoniche e la dotazione di attrezzature ed ausili per gli alunni con disabilità nelle scuole italiane come una priorità dalla qua- le partire per garantire una maggiore sicu- rezza all’interno degli edifici scolastici ed un pieno esercizio del diritto allo studio. 8. l’eduCazione ai diritti umani 19. Il Comitato invita l’Italia ad adottare tutte le misure necessarie per affrontare le raccomanda- zioni non ancora implementate o implementate in modo insufficiente, comprese quelle riguardanti il coordinamento, l’assegnazione delle risorse, la formazione sistematica sulla Convenzione, la non discriminazione, gli interessi dei minori, il diritto all’identità, l’adozione, la giustizia minorile e i minori rifugiati e richiedenti asilo, nonché a for- nire un follow-up adeguato alle raccomandazioni contenute nelle presenti osservazioni conclusive. Il Comitato ribadisce la sua raccomandazione di istituire un sistema di formazione regolare, obbli- gatorio e continuo sui diritti dei minori per tutte le figure professionali che lavorano con i minori, in particolare funzionari di polizia, carabinieri, giudici e personale penitenziario CRC/C/ITA/CO/3-4 punto 19 Mentre l’Europa continua ad adeguare i propri programmi scolastici integrando le materie di studio tradizionali a quelle cosiddette di nuova generazione, a tutt’oggi l’Italia risulta inottemperante rispetto alle raccomandazioni pervenute a livello internazionale – sia dalle Nazioni Unite87 che dal Consiglio d’Europa88 – che sollecitano l’inserimento dell’educazione ai diritti umani nei curricula scolastici. Anche apprezzando gli sforzi degli ultimi venti anni, finora scarse risorse sono state investite nella promozione e nell’educazione ai diritti umani. Infatti, ancora oggi la promozione e protezione dei diritti umani non è materia obbligatoria di studio per la formazione degli insegnanti, né è inserita trasversalmente nei nuovi piani di offerta formativa della scuola dell’obbligo e della scuola superiore, né è studiata, se non come disciplina opzionale, a livello universitario, nella Facoltà di Giurisprudenza. La Dichiarazione sull’Educazione e Formazione ai Diritti Umani, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 19 dicembre 2011, dopo un decennio di gestazione e tante resistenze, non specifica soltanto i contenuti in materia di diritti umani, ma anche la metodologia di apprendimento. Il rispetto di tutte le libertà fondamentali e dei diritti civili, culturali, economici, politici e sociali sia degli educatori che di coloro che apprendono è il fondamento di una corretta metodologia di apprendimento (così come esplicitato nell’art. 29 della Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza). L’educazione ai e per i diritti umani è una materia interdisciplinare che dovrebbe essere rielaborata e trasmessa, in un approccio multidisciplinare e trasversale (mainstreaming), all’interno di tutte le materie, anche attraverso l’educazione non formale e informale. L’educazione ai e per i diritti umani non prevede solo la trasmissione di informazioni riguardo al contenuto dei trattati sui diritti umani; i bambini e i ragazzi dovrebbero apprendere il significato di tali diritti vedendoli attuati nella pratica, sia a casa che a scuola o all’interno della comunità. È un processo completo e per 87 CESCR/ ITA/ 04 del 26 novembre 2004, n. 13, 29, 31 88 Raccomandazione CM/Rec(2010)7 del Comitato dei Ministri agli stati membri sulla Carta del Consiglio d’Europa sull’educazione per la cittadinanza democratica e l’educazione ai diritti umani, adottata dal Comitato dei Ministri l’11 maggio 2010 alla sua 120° Sessione. manente, e i valori espressi da tali diritti devono avere riscontri concreti nelle esperienze quotidiane di bambini e adolescenti. La compiuta realizzazione dei principi della Dichiarazione (con particolare riferimento agli artt. 7, 8 e 10), dovrebbe coordinare l’educazione ai diritti umani con la conoscenza degli istituti e delle regole sottese al funzionamento della giustizia minorile, allo scopo di evitare la perdurante disinformazione della maggioranza dei docenti circa il ruolo, i principi e le finalità del Tribunale per i Minorenni, nonché la inesistenza di contatti regolari tra la giustizia minorile e gli insegnanti del minore deviante o a rischio89. Il Programma Mondiale per l’educazione ai diritti umani, istituito il 10 dicembre del 2004 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite – Risoluzione 59/113 -, oggi alla sua seconda fase, prevede che ciascun Paese membro promuova l’educazione ai diritti umani per l’istruzione superiore e nei programmi di formazione per insegnanti ed educatori, funzionari pubblici, funzionari di polizia e personale militare. Ad oggi non abbiamo riscontri “nazionali” sull’applicazione delle disposizioni contenute nel “Piano d’azione per la seconda fase (2010-2014) del Programma Mondiale per l’Educazione ai Diritti Umani” (A/HRC/15/28) in merito ad azioni specifiche rivolte alle diverse componenti del percorso educativo: politiche nazionali adeguate, cooperazione internazionale, coordinamento e valutazione. Negli ultimi anni, significative evoluzioni nel settore della cittadinanza e dell’educazione ai diritti umani hanno avuto luogo anche grazie al Consiglio d’Europa. In particolare, l’11 maggio 2010 – nel corso del processo di follow-up della Conferenza Internazionale di alto livello istituzionale sul futuro della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo tenutasi a Interlaken il 18-19 febbraio 2010 – i Ministri degli Affari Esteri rappresentanti i 47 Stati membri del Consiglio d’Europa hanno adottato, in occasione della 120a Sessione del Comitato dei Ministri, con raccomandazione CM / Rec (2010) 7 del Consi 89 Rapporto di monitoraggio del III Piano nazionale infanzia, op. cit www.minori.it/minori/rapporto-di-monitoraggio-del-piano-nazionaleper- linfanzia. glio d’Europa, la Carta sull’Educazione alla cittadinanza democratica e l’Educazione ai Diritti Umani. La Carta, nel rafforzare la credibilità e l’efficacia della Convenzione Europea dei Diritti Umani, rappresenta un importante riferimento per tutti i Paesi europei e uno strumento di lavoro preziosissimo del Consiglio d’Europa nel novero dell’educazione ad una cittadinanza democratica e ai diritti umani. Infatti è l’educazione ai diritti umani e a una cittadinanza democratica e responsabile a dotare bambini, giovani e studenti di conoscenze, capacità e competenze tali da permettere loro lo sviluppo di una coscienza civica che favorisca la promozione e protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali. L’educazione ai diritti umani trasforma la scuola e gli spazi educativi non formali e informali in un ambito dove poter realizzare esperienze concrete di democrazia e partecipazione. Come evidenziato nel 5° Rapporto CRC, l’introduzione della riforma del sistema scolastico italiano attraverso l’attuazione della Legge 169/2008, ha favorito l’inserimento, nel nostro sistema scolastico, di una nuova materia di insegnamento: “Cittadinanza e Costituzione”, operativa dall’anno scolastico 2009-2010 per un ammontare annuo di 33 ore ricavate nell’ambito del monte-ore degli insegnanti di storia e geografia. Il non riconoscimento di questa nuova materia come disciplina a sé stante lascia alla discrezionalità dell’insegnante, in base alla propria sensibilità culturale e civica, promuovere nel tempo assegnato una nuova cultura di educazione ai diritti umani. Inoltre, “Cittadinanza e Costituzione” non è materia di valutazione specifica in pagella, rischiando di sminuirne il valore formativo. Mancano altresì fondi destinati alle realtà del Terzo Settore che svolgono un costante lavoro di formazione in tema di diritti umani con insegnanti ed educatori, in ambiti non formali e sempre più spesso anche in quelli formali, con un ruolo suppletivo all’istituzione scolastica, che andrebbe maggiormente riconosciuto e sostenuto sotto tutti i punti di vista al fine di potenziarne la ricaduta formativa e garantire la continuità degli interventi. Pertanto il Gruppo CRC raccomanda: 1. Al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – Dipartimento per l’Istruzio- ne, Direzione Generale per la Formazione e l’Aggiornamento del Personale della scuola – e alla Commissione per la Revisione delle linee guida nazionali: a) di includere l’Educazione ai Diritti Umani nei nuovi orientamenti nazionali dei pro- grammi scolastici di ogni ordine e grado come materia riconosciuta ed obbligatoria con contenuti specifici e trasversali alle discipline tradizionali così come previsto dalla Dichiarazione sull’Educazione e la Formazione ai diritti umani recentemente approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e dalla Carta Europea sull’E- ducazione alla cittadinanza democratica e l’Educazione ai Diritti Umani; b) di implementare le disposizioni contenute nel “Piano d’azione per la seconda fase (2010-2014) del Programma Mondiale per l’Educazione ai Diritti Umani” (A/HRC/15/28) in merito ad azioni specifiche rivolte alle diverse componenti del percorso educati- vo: politiche nazionali adeguate (con parti- colare attenzione ai gruppi vulnerabili e al rispetto del principio di non discriminazio- ne90), cooperazione internazionale, coordi- namento e valutazione, individuando degli indicatori di valutazione ad hoc; c) di promuovere la costituzione di nuovi par- tenariati tra le istituzioni, le organizzazioni professionali e di volontariato, le ONG e le associazioni del terzo settore, gli istituti di ricerca, le forze di polizia e l’esercito affin- ché l’educazione ai diritti umani entri nella formazione permanente sia del personale della scuola che della pubblica amministra- zione nel suo complesso. Per quest’ultimo aspetto si raccomanda un maggiore coor- dinamento tra i vari soggetti che miri ad individuare obiettivi, metodologie e indi- catori di valutazione comuni al fine di otti- mizzare l’utilizzo delle risorse e il raggiun- gimento dei risultati. Pertanto il Gruppo CRC raccomanda: 1. Al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – Dipartimento per l’Istruzio- ne, Direzione Generale per la Formazione e l’Aggiornamento del Personale della scuola – e alla Commissione per la Revisione delle linee guida nazionali: a) di includere l’Educazione ai Diritti Umani nei nuovi orientamenti nazionali dei pro- grammi scolastici di ogni ordine e grado come materia riconosciuta ed obbligatoria con contenuti specifici e trasversali alle discipline tradizionali così come previsto dalla Dichiarazione sull’Educazione e la Formazione ai diritti umani recentemente approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e dalla Carta Europea sull’E- ducazione alla cittadinanza democratica e l’Educazione ai Diritti Umani; b) di implementare le disposizioni contenute nel “Piano d’azione per la seconda fase (2010-2014) del Programma Mondiale per l’Educazione ai Diritti Umani” (A/HRC/15/28) in merito ad azioni specifiche rivolte alle diverse componenti del percorso educati- vo: politiche nazionali adeguate (con parti- colare attenzione ai gruppi vulnerabili e al rispetto del principio di non discriminazio- ne90), cooperazione internazionale, coordi- namento e valutazione, individuando degli indicatori di valutazione ad hoc; c) di promuovere la costituzione di nuovi par- tenariati tra le istituzioni, le organizzazioni professionali e di volontariato, le ONG e le associazioni del terzo settore, gli istituti di ricerca, le forze di polizia e l’esercito affin- ché l’educazione ai diritti umani entri nella formazione permanente sia del personale della scuola che della pubblica amministra- zione nel suo complesso. Per quest’ultimo aspetto si raccomanda un maggiore coor- dinamento tra i vari soggetti che miri ad individuare obiettivi, metodologie e indi- catori di valutazione comuni al fine di otti- mizzare l’utilizzo delle risorse e il raggiun- gimento dei risultati. 90 Nel dettaglio Art. 3 CRC e ricerca OCSE sui test Pisa del 2009. 9. Il DIrItto al GIoCo Si segnala il nuovo Commento Generale n. 17 del Comitato ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza del 18/3/2013 sull’art. 31 della CRC91, che mette in evidenza l’importanza della consapevolezza pubblica e diffusa sulla non secondarietà del diritto al gioco rispetto agli altri diritti e sulla sua “essenzialità” per il benessere, l’educazione e lo sviluppo dei minorenni. L’analisi che segue corrisponde ai contenuti del Commento Generale, al quale si rimanda per completezza di analisi e proposte. In Italia il diritto al gioco è poco garantito, anche se in questi anni si registra l’impegno di Istituzioni e Terzo Settore. Si citano a titolo di esempio: il percorso pluriennale delle “città amiche dei bambini”92, le esperienze afferenti al Segretariato delle Child Friendly Cities93, il progetto CNR delle “Città dei Bambini”94 e l’esperienza dell’Associazione delle Città Amiche dell’Infanzia e dell’Adolescenza95; le pubblicazioni del CNDA96 e del Terzo Settore97; le iniziative che mutuano il gioco in termini educativi rispetto alla scienza e alla tecnica98; il nascere di esperienze, seppur non durature, di centri di ricerca sul gioco99 e l’inserimento del gioco tra gli elementi di ricerca multiscopo ISTAT100. 91 Disponibile su www2.ohchr.org/english/bodies/crc/docs/GC/CRC-CGC- 17_en.doc 92 Fin dall’inizio degli anni 2000, hanno sostenuto una cultura condivisa sulle città a misura di bambini, con indicatori, contenuti teorici e buone prassi spesso legate al diritto al gioco. Si veda il sito www. cittasostenibili.minori.it 93 Il tema delle città amiche dei bambini si è sviluppato a livello internazionale con le CFCs (Child Friendly Cities: www.childfriendlycities. org). Sulle esperienze italiane e internazionali su questo tema si rimanda anche al sito del CNDA www.minori.it e al sito Unicef Italia www. unicef.it/doc/2070/pubblicazioni/la-citta-con-i-bambini.htm 94 www.cittadeibambini.org 95 Si veda www.camina.it; Camina ha terminato il suo percorso alla fine del 2012 portando in Anci la propria esperienza. 96 Si veda per la raccolta completa: www.minori.it/ricerca-documenti/ results/diritto%20al%20gioco; si segnala il Quaderno sul Gioco n. 2/2006 e la Rassegna Bibliografica 1/2011: “Gioco, Sport e Formazione”. 97 A titolo di esempio Arciragazzi: www.cesvop.org/files/StudiRicerche/ Rimettiamo%20in%20gioco%20WEB.pdf 98 Ad esempio: “La Città dei Bambini e dei Ragazzi” (www.lacittadeibambini. net) e “Wow” (www.wowscienza.it) di Genova; la “Città della Scienza” di Napoli (www.cittadellascienza.it), distrutta da un incendio di natura dolosa all’inizio del 2013. 99 Per esempio, centro interdipartimentale di ricerca sul gioco dell’Università di Siena www.media.unisi.it/cirg/index.html 100 ISTAT, “Infanzia e vita quotidiana”, 2011 (www.istat.it/it/archivio/ 45646). A fronte di questo diffuso interesse, si rischia di perdere di vista “il diritto al gioco” in quanto tale e si registra l’assenza di coordinamento e di sintesi metodologiche; il gioco risulta in ombra nella sua accezione di libera esperienza di vita, è sottostimato e spesso pensato come “un lusso”; al di fuori di strutture specializzate (i.e. i servizi 0/6 anni) non dispone di linee guida, norme e strumenti applicativi evoluti. Anche la cultura generale del gioco e del giocare è poco diffusa; si è affermata l’idea di esso come strumento “finalizzato” alla formazione, confondendo “gioco”, “tempo libero”, “attività ricreative” e non distinguendo tra “gioco” e disponibilità di giocattoli (digitali o no), spesso appannaggio di marketing e consumismo101. Sul gioco “giocato” i dati statistici riportano numeri preoccupanti102 e la carenza culturale si riflette nell’assenza di formazione tecnico-ludica per insegnanti, educatori, animatori per i quali, al di là di sperimentazioni, non vi è l’obbligo di “imparare a giocare”.Fanno eccezione positiva le azioni amministrative che alcune città stanno assumendo agendo sui Regolamenti di Polizia Municipale per garantire il diritto al gioco103. Il servizio di Ludoteca, “avamposto” del diritto al gioco, pur essendo sviluppato come servizio pubblico da numerosi Enti Locali (EELL), non gode di visibilità a livello nazionale. Criticità in questo senso sono rilevate nella carenza di risorse, nella mancanza di regolamentazione dei servizi (in generale privati e a pagamento, denominati “ludoteca”, ma che in realtà risultano essere baby parking o asili nido “mascherati”), nelle difficoltà del nonprofit a realizzare esperienze durature. Parallelamente, già dalla fine degli anni ‘90 hanno preso piede numerose esperienze di Ludobus104, 101 Dal sopracitato Commento Generale n. 17: “gioco” come libera attività non finalizzata, svolto in un tempo realmente libero, distinto dalle attività ricreative (laboratoriali e/o inserite in servizi aggregativi). 102 Dalla sopracitata ricerca ISTAT: oltre il 98% dei bambini in età 6/10 anni giocano prevalentemente a casa propria, solo il 25% in giardini pubblici, neanche il 15% su prati e poco più del 6% in strade poco trafficate; diminuiscono i giochi di movimento (sport escluso), dal 58% del 1998 al 54% di oggi, coerentemente con il fatto che oltre il 65% gioca prevalentemente con fratelli/sorelle o parenti (molti i nonni) e che aumentano i giochi sedentari. 103 Esempi di alcune buone prassi nei Comuni di Torino www.comune. torino.it/regolamenti/221/221.htm, Genova www2.comune.genova. it/servlets/resources?contentId=554957&resourceName=Allegato1, e Milano www.comune.milano.it/portale/wps/portal/CDM?WCM_GLOBAL_ CONTEXT=/wps/wcm/connect/contentlibrary/In%20Comune/In%20 Comune/Regolamenti/P-Q/Regolamento_DiPoliziaUrbana 104 Carta dei Ludobus di ALI per Giocare – Associazione Italiana dei Ludobus e delle Ludoteche www.alipergiocare.org con l’obiettivo principale di affermare il diritto al gioco soprattutto in quelle zone di territorio con minori opportunità. Fondamentale è la sottoscrizione da parte di numerose realtà pubbliche e del Terzo Settore della Carta Nazionale delle Ludoteche Italiane105, primo documento condiviso con caratteristiche e indicatori di qualità della ludoteca come “servizio pubblico per il gioco”. Non esiste però una legge nazionale sulle Ludoteche, al pari di quella esistente per le biblioteche106. Tra le proposte finalizzate a garantire il diritto al gioco negli spazi urbani107 vi è l’istituzione, dal 2007, della Festa Nazionale del Gioco Itinerante – LudobusSì108. Altre iniziative territoriali di gioco libero in piazza109 dimostrano l’interesse su questo tema. Annualmente vi sono due date in cui EELL, Terzo Settore e scuole organizzano eventi sul gioco: 28 maggio: Giornata Mondiale del Gioco, lanciata dall’ITLA110 nel 1998, condivisa e approvata dall’ONU. 20 novembre: Giornata dei Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, che ricorda la CRC111. Molte realtà negli ultimi anni, hanno provato a dare visibilità a queste giornate, con iniziative spesso lasciate all’organizzazione spontanea o volontaria da parte di Terzo Settore e Comuni “virtuosi”112. Sarebbe auspicabile, in occasione di queste ricorrenze, un’azione di coordinamento nazionale, per comunicare a tutti i livelli le diverse iniziative promosse sul territorio. 105 Cfr. www.ludoteche.info 106 In inglese la ludoteca è “Toy Library”. 107 Es. la Campagna Giocando si impara a crescere www.vke.it/NewsView. aspx?Lang=it-IT&Nid=10242&Cid=1659 108 Si veda www.alipergiocare.org/index.php?option=com_content&tas k=view&id=235&Itemid=95 109 Es. “Notte Rosa dei Bambini” a Bellaria Igea Marina (RN), “Giocalaluna” a Narni (TR), Porto Recanati (MC) e Bari, “Carovana del Gioco” a Bergamo, “Sotto a chi Gioca” a Vittorio Veneto (TV), “Notte Bianca dei Bambini” Melpignano (LE), il Festival Tocatì a Verona 110 www.itla-toylibraries.org 111 Istituzione italiana della giornata dei diritti dei bambini, Legge 451/1997: www.camera.it/parlam/leggi/97451l.htm 112 Un mondo che gioca ogni giorno, Comune di Torino: www.comune. torino.it/iter/servizi/centri_di_cultura/gioco/giornata-mondiale-delgioco- 2012.shtml Il gioco è cultura, Città della Scienza di Napoli: www. cittadellascienza.it/notizie/giornata-mondiale-del-gioco-27-maggio -2012/; Modena, La Città in gioco http://istruzione.comune.modena.it/memo/ Sezione.jsp?titolo=La%20citta%27%20in%20gioco&idSezione=2336; Bologna, Città dei Bambini http://informa.comune.bologna.it/iperbole/cittaeducativa/ percorsi/4328/52566/0/0; Giorno del Gioco in Liguria http://lnx. progetto-giovani.com/wordpress/?p=1316. Il gioco è anche uno dei parametri considerati per la valutazione delle performance nella nuova versione di ICF (Classificazione internazionale del funzionamento, della salute e della disabilità) per misurare la salute dei bambini con disabilità113. Se la limitazione del diritto al gioco ha conseguenze importanti rispetto allo sviluppo psicomotorio ed emotivo e alle opportunità di inclusione sociale dei bambini e delle bambine, ciò vale – a maggior ragione – per quelli con disabilità o che si trovano in ospedale. Il gioco, in questo contesto, deve essere inteso come momento di piacere, di recupero della propria identità, occasione di superamento del limite. Un gioco non confinato esclusivamente in setting terapeutici, ma contestualizzato nel tempo libero del bambino114. Favorire il gioco per i bambini con disabilità determina un impegno socioeducativo che assicuri: 1. formazione specifica per operatori, genitori e cerchia parentale su gioco e disabilità; 2. spazi e materiali ad hoc, non discriminatori, ispirati al design for all115 e in una logica inclusiva116; 3. sviluppo di prodotti tecnologici che favoriscano il gioco di bambini con deficit motorio e/o cognitivo117; 4. impegno in ambito di ricerca scientifica su nuovi modelli pedagogici di gioco e disabilità. Il Gruppo CRC rileva pertanto la necessità di un monitoraggio degli spazi dedicati al gioco dei bambini con disabilità/in ospedale, sia in ricovero sia in day hospital. Infine occorre menzionare la diffusione del gioco d’azzardo, seppure vietato ai minorenni, ha una larga incidenza sulle loro abitudini di vita, oltre che un influsso non indifferente dal punto di vista educativo. Nel rilevare l’avvio di una produzione di ricerca, ancora incompleta e settoriale, sul tema gioco d’azzardo/minorenni, citiamo la ricerca IFC-CNR (2010) “L’Italia che gioca” da cui emergono dati preoccupanti circa l’incidenza di minorenni che dichiarano di aver giocato 113 ICF-CY, 2007. Cap. VI, paragrafo “Bambini e adolescenti, salute e disabilità”. 114 Amorgioco, edizioni Fatatrac. 115 Si veda www.designforall.it (anche detto “universal design”) 116 Si veda www.fondazionepaideia.it/ita/progetti-tois 117 Gioco e giocattoli per il bambino con disabilità motoria a cura di Serenella Besio, edizioni UNICOPLI d’azzardo118. Sono state condotte anche interessanti Campagne informative e di sostegno: tra cui si citano le più recenti “Mi Azzardo a Dirlo119” (2012/13), per una corretta comunicazione120; “L’Azzardo? Non è un gioco!”121; “Mettiamoci in Gioco” promossa da 17 organizzazioni122. Infine si segnala a livello normativo l’entrata in vigore del “Decreto Balduzzi”123, con la Legge 189/2012 che introduce disposizioni più stringenti sull’informazione concernente il gioco d’azzardo124. Si ritiene sia comunque sottostimata la stima dei minorenni che giocano d’azzardo e che le misure normative, informative e di ricerca ad oggi prese siano inadeguate a comprendere la portata del problema125. Il Gruppo CRC pertanto raccomanda: 1. Al Garante Nazionale, all’Osservatorio Na- zionale e al Centro nazionale di documen- tazione per l’infanzia e l’adolescenza di av- viare monitoraggi sulle occasioni di gioco (buone prassi amministrative, Ludoteche e Ludobus), aggiornando gli indicatori dispo- nibili (ricerche ISTAT), con attenzione speci- fica ai bambini con disabilità, in ospedale, in situazioni di marginalità sociale e al gio- co d’azzardo; 2. Al Governo e all’AAMS – Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato, in concor- so con le Regioni, di promuovere e sostenere 118 Si veda www.epid.ifc.cnr.it/AreaDownload/Pubblicazioni/L_Italia_ che_gioca.pdf, da cui risulta che oltre il 55% dei maschi e quasi il 35% delle femmine studenti di età 15/18 anni dichiara di aver giocato, anche somme consistenti: dal 2000 al 2009 la media dei minorenni giocatori è passata dal 39% ad oltre il 51%, con quasi 20 punti percentuali di scarto tra Nord e Sud (punta massima al Sud); inoltre viene riportata una rilevanza statistica inversa tra gioco d’azzardo e disagio in relazione al gioco “normale” e alla fruizione della cultura. 119 Si veda www.miazzardoadirlo.it, per la modifica delle modalità comunicative dell’AAMS, Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato. 120Codice Penale, articolo 721. 121 Si veda www.asl3.liguria.it/doc/pdf/giocoazzardo_definitivo.pdf 122ACLI, ALEA, ANCI, ARCI, AUSER, Avviso Pubblico, CGIL, CNCA, CONAGGA, Federconsumatori, Federserd, FICT, FITEL, Gruppo Abele, Inter- Cear, Libera, Uisp. 123Decreto-legge 158/2012, si veda www.salute.gov.it/dettaglio/dettaglioNews. jsp?id=2291&tipo=new 124L’iniziale proposta fissava a 500 mt la distanza minima di sicurezza fra esercizi commerciali dove si pratica il gioco d’azzardo e scuole, distanza poi portata a 200 mt, è stata annullata in fase di conversione in legge del Decreto. 125Si veda anche oltre Capitolo VII, paragrafo “Il consumo di droghe e alcol tra i minori”, per un analisi del fenomeno come “dipendenza comportamentale”. la protezione dei minorenni in riferimento al gioco d’azzardo con, in primo luogo, l’ado- zione di forme comunicative chiare da parte dell’AAMS, tramite l’aggiunta della specifica- zione “d’azzardo” alla parola “gioco”; 3. All’ANCI e agli Enti Locali di far proprie e promuovere modificazioni regolamenta- rie adottate da alcune città riferite al gioco libero negli spazi pubblici urbani, facendo tesoro delle esperienze delle organizzazio- ni che più si sono mosse in questo speci- fico settore. la protezione dei minorenni in riferimento al gioco d’azzardo con, in primo luogo, l’ado- zione di forme comunicative chiare da parte dell’AAMS, tramite l’aggiunta della specifica- zione “d’azzardo” alla parola “gioco”; 3. All’ANCI e agli Enti Locali di far proprie e promuovere modificazioni regolamenta- rie adottate da alcune città riferite al gioco libero negli spazi pubblici urbani, facendo tesoro delle esperienze delle organizzazio- ni che più si sono mosse in questo speci- fico settore. 10. sPort E MINorI Nel 5° Rapporto di aggiornamento, il Gruppo CRC invitava in modo particolare il MIUR a favorire la qualificazione dei docenti di ogni grado sui temi dell’educazione motoria e sportiva, dell’educazione allo sviluppo e dell’integrazione multiculturale. Ad un anno di distanza, si può affermare che il “sistema sportivo” nel suo complesso abbia risposto in modo frammentato a questa raccomandazione. Se infatti gli Enti di Promozione Sportiva si sono impegnati nella promozione delle suddette tematiche nelle varie attività da essi organizzate, a ciò non ha corrisposto un impegno adeguato del Ministero, avendo delegato al CONI l’intervento e la competenza del settore. Per quanto concerne la seconda raccomandazione dello scorso rapporto, relativa alla diffusione della cultura del gioco e dello sport, nonché all’istituzione di assessorati a gioco e sport, si evidenzia che alcuni Enti Locali hanno provveduto alla istituzione dell’Assessorato al Gioco126, con esiti molto marginali. Ad esempio nella Regione Marche, la Legge 10/2009 ha avuto vita breve, essendo stata inglobata nella nuova Legge Regionale delle Marche sullo Sport 5/2012, che solo in minima parte ne recepisce i contenuti127, ma eliminando totalmente la parola “gioco” dal suo testo e il concetto di “diritto al gioco esteso a tutte le età” dalla sua ratio. In questa edizione del Rapporto, il Gruppo CRC vuole estendere il focus approfondendo gli aspetti legati alla salute e al benessere per tutte le persone di minore età. 126Si veda il sito della Rete GioNa: www.ludens.it 127Cfr. il tema sport di cittadinanza, capo II, artt. 6-7. Sin dal 1992, con l’approvazione della “Carta Europea dello Sport”128 da parte della Conferenza dei Ministri europei dello Sport, l’impegno di garantire ai giovani (in special modo ai minori) la possibilità di una pratica sportiva e motoria duratura e di qualità è il leit motiv che accompagna le dichiarazioni di istituzioni ed enti a favore dello sport per i minori. Tuttavia, i dati di pratica sportiva della fascia di età 3-17 anni129, sebbene registrino un saldo generale positivo rispetto al 2003 (+2,25% di pratica continuativa e -0,65% di minori che dichiarano di non praticare mai sport), presentano degli aspetti critici che indicano come ancora molto sia da fare in termini di politiche sportive per le giovani generazioni. In particolare, la fascia di età 11-14 riporta un preoccupante segno negativo per quanto riguarda la pratica: i preadolescenti che non praticano alcuno sport sono aumentati nell’ultimo anno di rilevazione (2012) di ben 2,3 punti percentuali rispetto all’anno precedente, mentre coloro che praticavano sport nel 2011 in modo continuativo o saltuario sono diminuiti del 5,3%. Le cause che, stando agli studi condotti, inducono i giovani all’abbandono dell’attività agonistica possono essere riconducibili a molti fattori, come la difficoltà di conciliare lo studio con l’attività sportiva, le divergenze con i genitori, le incomprensioni con gli allenatori, il fatto di non andare d’accordo con i compagni di squadra, i costi troppo elevati. In tale contesto, è importante il ruolo esercitato oggi dalle società sportive, che organizzano l’attività agonistica sul territorio e che tendono ad un avviamento precoce dei giovani allo sport agonistico, con selezioni ed allenamenti intensivi che inducono i soggetti non selezionati a considerarsi fuori dal gioco, atleti di non particolare interesse. In fase preadolescenziale e adolescenziale, tutto questo produce un atteggiamento di rinuncia ad ogni pratica sportiva, poiché viene vissuta come fallimentare e, di conseguenza, come fonte di 128Sulle orme della “Carta Europea dello Sport per Tutti”, approvata dalla Conferenza dei Ministri europei responsabili per lo Sport nel 1975 a Bruxelles e poi recepita nella “Carta Internazionale per l’Educazione Fisica e lo Sport”, adottata dalla Conferenza Generale dell’Unesco nel 1978 a Parigi. 129Fonte ISTAT: Persone di 3 anni e più che dichiara di svolgere pratica sportiva. Aggiornamento al 2012. Si veda http://dati.istat.it/Index. aspx?lang=it insicurezza. Talvolta, ciò può portare ad effetti ancora più negativi, quando i giovani, per restare a livello competitivo, fanno uso di sostanze che interferiscono sulla loro crescita naturale. La mortalità sportiva, l’ingresso ritardato e l’abbandono precoce, sembrano dovuti soprattutto a una bassa scolarizzazione e formazione culturale, ma, nonostante ciò, la scuola italiana sembra ancora oggi molto distante dal riconoscere e sviluppare una reale cultura dello sport che valorizzi il legame tra giovani e attività sportiva. L’articolo 4 del Manifesto Europeo sui Giovani e lo Sport130 individua nella famiglia e nella scuola le basi dove i minori possono acquisire sani stili di vita, per una migliore qualità generale della persona. Un fattore non sempre evidenziato riguarda proprio quello dell’impegno e degli oneri (di tempo ed economici) attualmente a carico delle famiglie: in Italia circa il 75% (oltre 22 miliardi di euro) della spesa sportiva è a carico della famiglia, mentre buona parte dell’investimento pubblico per lo sport è per l’impiantistica131. Investire nello sport per i minori, tuttavia, non ha una mera valenza etica, ma anche e soprattutto sociale, potendo influire direttamente sul benessere del soggetto minore e indirettamente su quello dell’intera società in ottica futura. Una vera e propria emergenza tra i minori italiani è rappresentata da una larga diffusione di stili di vita non sani. In Italia il 30% dei minori è sovrappeso o obeso132 . Lo sport non può sottrarsi all’impegno educativo, sociale e anche economico che un simile fenomeno comporta. Nel 2012, il CONI ha pubblicato delle stime di impatto economico della pratica sportiva sulla spesa pubblica. I risultati sono estremamente interessanti: complessivamente, con gli attuali livelli di pratica sportiva e fisica, il risparmio sulla spesa (sanitaria e non) è stimabile in 1,5 miliardi di euro all’anno, mentre il valore della vita salvaguardato è di circa 32 miliardi di euro all’anno133. 130Consiglio d’Europa, 8° Conferenza dei Ministri europei responsabili dello Sport, Lisbona, 17-18 maggio 1995 (www.coni.it/images/documenti/ Manifesto_Europeo_sui_giovani_e_lo_sport.pdf). 131 CONI, “Sport Italia 2020 – Il Libro Bianco dello Sport Italiano (Evoluzione dei contributi pubblici a favore dello Sport)”, 2012, p. 141. 132Presentazione dei risultati dell’indagine “Okkio alla SALUTE”, Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali (Scheda: Sovrappeso ed obesità in età infantile), Roma 2008. 133CONI, “Libro Bianco dello Sport Italiano (vol.2)”, dicembre 2012 (www.coni.it/images/LIBRO_BIANCO_Volume_2-def.pdf). “L’inattività fisica è al quarto posto tra i principali fattori di rischio di malattie croniche, quali disturbi cardiaci, ictus, diabete e cancro, contribuendo a oltre 3 milioni di morti evitabili l’anno a livello mondiale. L’aumento dei livelli di obesità infantile e adulta è, inoltre, strettamente correlato alla mancanza di attività fisica”134. Le malattie cardiovascolari colpiscono moltissimi soggetti tra le giovani generazioni. In particolare, il diabete di tipo 2. I dati sul diabete nel 2012 rivelano che in Italia, con il progressivo invecchiamento della popolazione e l’aumento dell’aspettativa di vita, ci sarà un numero maggiore di persone affette da diabete di tipo 2 e altre malattie croniche. I moderni ambienti obesogeni, con la combinazione di alimentazione scorretta e inattività fisica, comportano gravi implicazioni per il diabete di tipo 2 e le altre malattie croniche. La malattia cronica è distribuita in modo ineguale a livello regionale135. Bassi livelli di scolarità e indigenza sono correlati ad un aumento del diabete di tipo 2. L’obesità a livello infanto-giovanile rappresenta, perciò, una delle emergenze da affrontare nel campo della prevenzione sanitaria136 e lo sport può avere un ruolo fondamentale in questo. Inoltre, tra le malattie croniche più frequenti nell’infanzia, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che l’asma sia la più frequente. In Italia, il dato di prevalenza media è di circa il 10,7%, mentre il forte incremento della rinite negli ultimi cinque anni fa registrare una prevalenza che arriva al 35,2%137. Negli ultimi anni, l’aumento delle malattie croniche in età pediatrica pone la necessità di affrontare, anche nell’ambito sportivo, il tema dell’accesso “in sicurezza” allo sport per questa fascia di popolazione. Dal punto di vista fisiopatologico, la pratica di un’attività fisica regolare nell’età pediatrica 134Istituto Superiore di Sanità, “Relazione sullo Stato Sanitario del Paese 2009-10”. 135Piano sulla malattia diabetica, Dipartimento della Programmazione e dell’ordinamento del Sistema Sanitario Nazionale, Ministero della Salute, Conferenza Stato-Regioni, 2012. 136Cfr. “Italian Barometer Diabetes Report 2012 – L’impatto del diabete in Europa e in Italia”, A. Consoli – A. Nicolucci. S. Caputo, disponibile su www.ibdo.it/pdf/Barometer-diabetes-Report-2012.pdf. 137Aspetti epidemiologici delle Malattie Respiratorie Croniche in età evolutiva; Laurendi G., et al. “Global alliance against chronic respiratory diseases in Italy” (GARD-Italy): Strategy and activities. Respir Med. 2012 Jan;106(1):1-8. è un’importante forma di prevenzione dell’obesità e della malattia metabolica, delle malattie cardiovascolari e respiratorie. Gli operatori dello sport, compresi gli insegnanti di educazione fisica operanti nelle scuole, devono avere corrette informazioni e una adeguata formazione, che permetta loro di accogliere questi atleti attuando, ove presenti, i protocolli operativi, tenendo conto delle misure preventive, comportamentali e di gestione consigliate in base alla patologia da cui l’atleta è affetto138 (ad esempio per le malattie respiratorie: esercizi respiratori pre-riscaldamento, pre-medicazioni, gestione delle emergenze e adeguati ambienti e condizioni indoor/ outdoor in cui si pratica l’attività sportiva139). Ulteriori campi di intervento sensibili in materia di sport e minori sono costituiti dal ricorso diffuso a sostanze e pratiche dopanti140, non sufficientemente contrastate da campagne di prevenzione efficaci a livello istituzionale e scolastico, e agli abusi e alle violenze dirette o indirette, su cui non esistono dati scientifici in Italia, ma che rappresentano un tema d’attenzione da parte della cronaca e della letteratura internazionale141. I recenti Giochi Olimpici estivi di Londra 2012 hanno ridato visibilità al movimento Paralimpico (CIP – Comitato Italiano Paralimpico), ottenendo buoni risultati sportivi: tuttavia si segnala ancora una netta separazione di luoghi e tempi dello sport tra i bambini ed adolescenti con disabilità e normodotati. 2. Ai Dipartimenti di Scienze Motorie, al CONI e alle Federazioni affiliate, agli Enti di Promozione Sportiva di promuovere e diffondere la cultura del gioco e del diritto allo Sport per tutti i minori, ed in particola- re per i minori con disabilità, attraverso la condivisione e l’attuazione di progettualità a favore della promozione sociale; 3. Alle Regioni e agli Enti Locali di inserire in modo strutturato e articolato il movi- mento e lo sport nei piani di prevenzione, di sostenere progetti integrati tra Sport, Educazione, Salute, Mobilità e Politiche Sociali per favorire la promozione di stili di vita attivi e sani, di certificare la qualità professionale ed etica delle organizzazioni sportive e delle palestre142 e di sensibiliz- zare alla prevenzione ambientale dei luo- ghi di pratica sportiva. Pertanto il Gruppo CRC raccomanda: 1. Al Ministero dell’Istruzione, dell’Univer- sità e della Ricerca e al Ministero della Sa- lute di favorire la qualificazione di docenti in ogni ordine e grado sui temi dell’educa- zione motoria e sportiva e più in generale a sani stili di vita, che riguardano trasver- salmente le differenti culture residenti in Italia durante l’Anno Europeo dei Cittadini (2013); 138Protocolli allergologici ed immunologici per la gestione degli atleti agonisti e non agonisti. Medicina dello Sport 2009;62 Suppl.1: n..3. 139Pneumologia Pediatrica vol. 11 n. 42: www.primulaedizioni.it/cgibin/ download_user/pdf_file/rivista_42.pdf Indinnimeo L, et al., “Linee Guida SIP-Società Italiana Pediatria. Gestione dell’attacco acuto di asma in età pediatrica. Area Pediatrica”, 2008 (5): 13-24.) 142Cfr. il progetto regionale “Palestra sicura: prevenzione e 140Cfr. Convenzione Internazionale contro il doping nello Sport, 2007. benessere”,sperimentato per due anni ed esteso poi con la delibera di 141 David, P., “Human rights in children sport”,Routledge, Londra e Giunta1154/2011 a tutta l’Emilia-Romagna: www.saluter.it/documenta- New York, 2005. zione/leggi/regionali/delibere/dgr_1154_2011_palestre_sicure.pdf Capitolo vII MIsurE sPECIalI PEr la tutEla DEI MINorI 1. MINorI straNIErI NoN aCCoMPaGNatI – Il DIrItto alla ProtEzIoNE E all’aCCoGlIENza 66. Il Comitato esprime preoccupazione per la man- canza, all’interno dell’Italia, di un approccio comu- ne e di natura olistica nei confronti dei minori non accompagnati, tra cui l’assenza di linee guida com- plete e di un quadro legislativo in materia. Teme inoltre che le misure di protezione legale esisten- ti e le procedure in materia di nomina di tutori e concessione di permessi di residenza per minori non accompagnati non siano applicate in maniera uniforme nelle diverse Regioni dell’Italia. Pur pren- dendo atto degli sforzi compiuti da parte del Comi- tato per i minori stranieri al fiåne di migliorare le condizioni dei minori temporaneamente ospitati in Italia, il Comitato rileva che la competenza di tale organo è limitata ai minori che non fanno richie- sta di asilo. Ulteriore fonte di preoccupazione è il progressivo utilizzo dell’approccio medico per l’ac- certamento dell’età dei minori non accompagnati, il quale mette a rischio l’applicazione del principio del beneficio del dubbio. 67. Il Comitato raccomanda che, in riferimento al commento generale n. 6, l’Italia introduca una le- gislazione completa che garantisca assistenza e protezione a tali minori. In particolare, raccomanda che l’Italia istituisca un’autorità nazionale specifica e permanente per il monitoraggio delle condizio- ni dei minori non accompagnati, che ne identifichi le esigenze, faccia fronte ai problemi dell’attuale sistema ed elabori linee guida in materia, ivi com- prese misure di accoglienza, identificazione, valu- tazione delle esigenze e strategia di protezione. Il Comitato raccomanda inoltre che l‘Italiaadotti una procedura unificata per l’accertamento dell’età dei minori non accompagnati che si basi su un approc- cio multidisciplinare e che rispetti il principio del beneficio del dubbio. CRC/C/ITA/CO/3-4, punti 66- 67 Nel 2012 sono arrivati in Italia via mare 13.267 migranti, di cui 1.999 minori non accompagnati (MNA)1. Il numero di adulti si è ridotto considerevolmente (di circa 5 volte) rispetto all’anno precedente, mentre quello dei MNA si è circa dimezzato. Rispetto agli anni precedenti, è cambiata Per “minori non accompagnati” s’intendono minori che si trovano in Italia privi di assistenza e rappresentanza da parte di genitori o altri adulti per loro legalmente responsabili. la provenienza dei MNA: la maggior parte (541) sono originari dell’Afghanistan, della Somalia (437) e dell’Egitto (392). I MNA tunisini, che nel 2011 erano arrivati in Italia in più di 1.000, nel 2012 sono stati soltanto 98. I minori accompagnati sono per la maggior parte (178) afghani e siriani (56)2. Una diminuzione si rileva non solo negli arrivi, ma anche nelle presenze dei MNA in Italia. Al 31 dicembre 2012 risultavano essere 7.575 i minori stranieri non accompagnati segnalati alla DG Immigrazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali3, di cui 1.754, alla stessa data, risultavano essere irreperibili. La maggior parte dei MNA segnalati (7.135) sono ragazzi con un’età compresa tra i 16 (1.895) ed i 17 anni (4.236) e sono stati collocati in strutture per minori (6.428). Il maggior numero di MNA presenti proviene dal Bangladesh (1.384), dall’Egitto (969), dall’Albania (679) e dall’Afghanistan (626), Paese da cui proviene il maggior numero di MNA che si sono resi irreperibili (567). Il Lazio e la Sicilia sono le Regioni in cui risultano essere stati segnalati più MNA (rispettivamente 1.474 e 1.427)4. Si rileva positivamente che, nonostante i MNA richiedenti protezione internazionale non rientrino nella competenza della DG Immigrazione, a partire dal 28 febbraio 2013, viene disaggregato il dato relativo ai MNA segnalati che hanno formalizzato la domanda di protezione internazionale. In merito ai dati relativi ai MNA comunitari, si evidenzia che l’ Organismo Centrale di Raccordo (OCR) del Ministero dell’Interno5 ha riferito che dai dati parziali in loro possesso – che si riferisco2 Dati forniti a Save the Children, in qualità di partner del Progetto Praesidium, dal Ministero dell’Interno-Dipartimento Pubblica Sicurezza. 3 A fine agosto 2012 il Comitato per i minori stranieri ha cessato le proprie attività; il suo ruolo e le sue funzioni sono stati trasferiti alla Direzione Generale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (art. 12 comma 20 del Decreto Legge 95/2012, convertito con modificazioni, nella Legge 135/2012). 4 Fonte: Report Minori Stranieri non Accompagnati DG Immigrazione al 31.12.2011 disponibile on line al link www.lavoro.gov.it/NR/rdonlyres/ E9268A95-5406-439A-B513-29AD15B4ABA0/0/REPORTMSNA_28_02_2013. pdf. I dati aggiornati vengono pubblicati mensilmente/bimestralmente. 5 Nota informativa inviata dal Ministero dell’Interno, Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione, Direzione Centrale per le Politiche dell’Immigrazione e dell’Asilo, Organismo Centrale di raccordo per la protezione dei minori comunitari non accompagnati, in seguito alla richiesta di informazioni da parte del Gruppo CRC sui minori stranieri non accompagnati comunitari. no soltanto ai minori di nazionalità rumena – è stata segnalata dal 2009 ad oggi la presenza di 623 minori (331 di sesso femminile e 292 di sesso maschile), la maggior parte tra i 15 e i 17 anni. I rimpatri effettuati dall’OCR sono stati 7. Sfuggono ad una rilevazione numerica anche i c.d. “minori in transito”, ovvero i minori stranieri (principalmente afghani) che transitano in Italia, diretti verso altri Paesi europei, senza entrare in contatto con le Istituzioni6. Destano massima preoccupazione i casi di illegittima riammissione in Grecia di minori non accompagnati intercetta- ti a bordo di traghetti arrivati nei porti di Bari, Brindisi, Ancona e Venezia7. Infine, sulle coste siciliane si ripetono sistematici episodi di rimpatri collettivi, in cui i cittadini egiziani e tunisini, tra cui anche potenziali richiedenti asilo, vengono costretti a fare ritorno nel proprio paese senza alcuna tutela e in violazione delle più basilari garanzie giuridiche. Non può escludersi che tra questi possano esservi dei minori, data l’impossibilità, anche per le organizzazioni umanitarie, di contattare i cittadini stranieri prima che vengano forzatamente rimpatriati8. Nonostante il numero di arrivi e presenze di MNA sia diminuito e nonostante gli impegni presi pubblicamente da parte del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali9, anche nel 2012 non si è provveduto ad una riforma del sistema di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati. Si sono pertanto registrate nel corso del 2012 le stesse problematiche già rilevate nel precedente Rapporto CRC10. 6 Si tratta di un fenomeno che si rileva principalmente nella città di Roma, e, in particolare, nei pressi della Stazione Ferroviaria “Ostiense”. Sulla base delle informazioni raccolte dalla Fondazione L’Albero della Vita, i ragazzi afghani restano il tempo necessario per organizzare il prosieguo del loro viaggio, vivendo in condizioni di forte rischio, in termini di sicurezza, di tutele igienico-sanitarie, di sfruttamento e abusi. Nel 2012 sono stati 350 (di cui oltre 120 direttamente inviati al centro notturno A28) i minori in transito intercettati dallo Sportello Orientamento della stessa Fondazione. Sono per la maggior parte ragazzi di 16 anni, che hanno una scolarizzazione dai 6 ai 10 anni, diretti prevalentemente verso il Nord Europa. 7 Human Righs Watch, “Restituiti al mittente: Le riconsegne sommarie dall’Italia alla Grecia dei minori stranieri non accompagnati e degli adulti richiedenti asilo www.youtube.com/watch?v=bBqkNs7n7OY”, gennaio 2013. 8 Save the children, Sbarchi sulle coste italiane: a Siracusa e Agrigento ci è stato impedito di incontrare i migranti in arrivo, 29 marzo 2013, disponibile al link www.savethechildren.it/IT/Tool/Press/Single?id_ press=568&year=2013 9 In occasione della presentazione del 5° Rapporto CRC (Roma, 5 giugno 2012). 10 Per maggiori informazioni, si veda 5° Rapporto CRC, pag. 110. Non tutti i luoghi in cui i minori non accompagnati vengono portati nell’immediatezza del loro arrivo o rintraccio sul territorio11 sono idonei alla loro accoglienza, soprattutto per un periodo prolungato12. L’isola di Lampedusa, in particolare, continua ad essere un “porto non sicuro”13 e il CPSA ha ancora una capienza ridotta a 250 posti, di cui soltanto 50 riservati a donne e minori insieme. Tra fine novembre 2012 e gennaio 2013 sono stati quasi mille i migranti, tra cui un centinaio di MNA, principalmente somali ed eritrei provenienti dalla Libia che, nonostante la denuncia di diverse Organizzazioni14, sono rimasti per giorni in condizioni del tutto inadeguate in attesa di essere trasferiti. La mancanza di chiarezza circa la competenza e la responsabilità, anche economica, rispetto al collocamento dei MNA in comunità per minori15 ha determinato il verificarsi di altre situazioni molto gravi: ci sono Comuni che hanno diffidato le comunità del loro territorio ad accogliere MNA, comunità che hanno rifiutato di accogliere MNA nonostante avessero posti disponibili e altre che, pur continuando ad accogliere MNA, non sono in grado di garantire standard minimi di accoglienza16. È stato inoltre rilevato nella frontiera Sud un ricorso strumentale all’utilizzo dell’esame radiografico del polso, al fine di ridurre il numero di MNA da collocare con conse 11 Commissariati delle Forze dell’Ordine o, in caso di arrivo via mare, Centri di Primo Soccorso e Accoglienza – ove presenti. 12 Cfr. Save the Children, “Minori in arrivo via mare – Rapporto di monitoraggio delle comunità per minori in Sicilia, Puglia e Calabria”, dicembre 2012. 13 Nel comunicato stampa del 30.09.2011 OIM, UNHCR e Save the Children hanno espresso pubblicamente la loro preoccupazione per le conseguenze di tale provvedimento. “Lampedusa dichiarata porto non sicuro. A rischio il salvataggio in mare”, disponibile al link www.unhcr. it/cms/view.php?dir_pk=26&cms_pk=1068 14 Save the Children, “Lampedusa: condizioni inaccettabili per donne, neonati e minori non accompagnati stipati al CPSA dopo gli ultimi sbarchi”, 28 novembre 2012. www.savethechildren.it/IT/Tool/Press/ Single?id_press=533&year=2012; CNCA, “Lampedusa: inaccettabile la situazione in cui versano neonati, minorenni e donne”, (30 novembre 2012. www.cnca.it/comunicazioni/comunicati-stampa/1758-lampedusainaccettabile- la-situazione-in-cui-versano-neonati-minorenni-donne; Save the Children, “Lampedusa: situazione di nuovo al collasso”, 12 dicembre 2012 www.savethechildren.it/IT/Tool/Press/Single?id_ press=539&year=2012. 15 La normativa italiana prevede infatti che i minori non accompagnati non possano essere espulsi (art. 19, T.U. Immigrazione) né trattenuti in Centri per migranti adulti (art. 9, D.L. 92/2008 convertito in Legge 125/2008). 16 Si veda in proposito Save the Children, “Minori in arrivo via mare” op. cit. guente trasferimento degli stessi in Centri per adulti17. La maggior parte delle Strutture di Accoglienza Temporanea che erano state attivate dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in qualità di Soggetto attuatore del Piano per l’accoglienza dei MNA nell’ambito dell’Emergenza Nord Africa, sono state chiuse e i bambini e gli adolescenti sono stati trasferiti in comunità per minori; alcune (le più piccole) hanno chiesto, e in alcuni casi già ottenuto, l’accreditamento da parte della Regione. In alcune città persiste tuttavia una situazione di carattere emergenziale18. Con la chiusura dell’Emergenza Nord Africa19, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali è stato individuato quale amministrazione competente in via ordinaria, a partire dal 1 gennaio 2013, a coordinare le attività già di competenza del Soggetto attuatore per i minori stranieri non accompagnati, ma “fatte salve le competenze attribuite in via ordinaria ad altre amministrazioni”. Di conseguenza, diversamente da quanto avvenuto nel corso dell’Emergenza Nord Africa20, quanto concerne il collocamento dei MNA e la copertura degli oneri dell’accoglienza non viene deferito al livello centrale, ma resta in capo alle Amministrazioni Locali a vario titolo competenti (Questura, Prefettura, Comuni) con conseguen 17 Fonte: Save the Children. Sono stati 60 i minori non accompagnati che erano stati erroneamente identificati come adulti e trasferiti in Centri per adulti in Sicilia, Puglia e Calabria tra gennaio e fine settembre 2012, seguiti dall’Organizzazione nel riconoscimento dei loro diritti. 18 Si fa particolare riferimento alla situazione nella città di Roma dove vi sono strutture che hanno una capienza superiore ai 80 posti, attivate di propria iniziativa e senza alcuna legittimazione da parte del Comune, in cui non vengono garantiti standard di accoglienza adeguati e sussistono dubbi rispetto alla minore età dei migranti accolti. Si veda in proposito: Garante per l’infanzia e l’adolescenza della Regione Lazio e Save the Children, “Rapporto di monitoraggio delle strutture aperte in Lazio nell’ambito dell’emergenza Nord Africa”, maggio 2012. In merito a tale vicenda è attualmente in corso un’indagine giudiziaria. Inoltre, nonostante si tratti di migranti per i quali sia stata accertata in precedenza la minore età da una struttura ospedaliera pubblica, si sta provvedendo a una nuova valutazione dell’età da parte delle forze dell’ordine senza uno specifico ordine della magistratura. Fonte: Asgi e Save the Children. 19 Ordinanza di Protezione Civile n. 33 del 28 dicembre 2012. 20 Come descritto nel 5° Rapporto CRC, il Soggetto attuatore era responsabile del reperimento di posti in accoglienza sull’intero territorio nazionale qualora le Autorità di sbarco o rintraccio di MNA avessero rilevato indisponibilità di posti a livello distrettuale; fino al 31.12.2012 il Soggetto attuatore era autorizzato a contribuire al rimborso ai Comuni che hanno sostenuto o autorizzato spese per l’accoglienza di MNA rientranti nell’ambito dell’Emergenza Nord Africa fino a concorrenza della somma di 24.065.420,16 euro, destinata alla copertura finanziaria di tale accoglienza (art. 11, Ordinanza di Protezione Civile n. 24 del 9.11.2012). te aggravio di spesa a loro esclusivo carico. In proposito si rileva anche che se, da un lato, è stata sicuramente positiva e apprezzabile la creazione di un Fondo per i minori stranieri non accompagnati, occorre però rilevare come tale Fondo, oltre a non essere pluriennale, sia stato dotato di poche risorse per il 2012 e incerte per il 201321. Il Ministero dell’Interno mantiene, infine, la competenza, anche economica, rispetto all’accoglienza dei MNA richiedenti protezione internazionale22. Nel corso del 2012 non vi sono stati rilevati cambiamenti in materia di accertamento dell’età e di nomina del tutore, così come auspicato dal Gruppo CRC nel precedente Rapporto. Per quanto concerne l’accertamento dell’età si rileva, in particolare, con preoccupazione, non solo la mancata formale adozione a livello nazionale del c.d. Protocollo Ascone23, ma anche l’uso sempre più diffuso e sistematico dell’accertamento medico dell’età tramite radiografia del polso. Rispetto alla nomina dei tutori preoccupa invece non solo il ritardo nella nomina, con conseguenti gravi pregiudizi per l’esercizio dei diritti dei MNA specialmente se richiedenti protezione internazionale, ma anche l’inadeguatezza delle persone incaricate di svolgere tale incarico a causa della mancanza di formazione specifica24. 21 Il Fondo è stato istituito con Decreto Legge 95/2012, convertito con modificazioni, nella Legge 135/2012 e dotato di 5 milioni di euro per il 2012. La Legge 228/2012 (c.d. Legge di stabilità) ha incluso tale Fondo in un elenco di spese per le quali è previsto uno stanziamento complessivo di 16 milioni di euro che dovranno però essere ripartiti con decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Al momento della stesura del presente Rapporto non è pertanto possibile sapere né la cifra precisa dello stanziamento né quando verrà stabilita. 22 Il Ministero ha dichiarato di avere una disponibilità di 2.500.000 euro per il rimborso che i Comuni possono richiedere alle Prefetture per le spese sostenute per l’assistenza del minore richiedente asilo solo a partire dalla formalizzazione della domanda di protezione e fino all’inserimento in SPRAR (nota 1424 del 18.2.2013 del Capo Dip. Libertà Civili e Immigrazione – Ministero dell’Interno). 23 Si veda www.giustizia.it/giustizia/it/mg_16_1.wp?previsiousPage=m g_16&contentId=NEW54576. 24 Nonostante non vi sia un’indicazione normativa in tal senso, i Giudici Tutelari tendono a nominare come tutori dei MNA i Sindaci dei Comuni in cui i MNA si trovano. Nei casi in cui decidano di incaricare soggetti diversi dal Sindaco, la scelta ricade spesso su degli Avvocati. Come rilevato, in particolare, dall’Unione Nazionale Camere Minorili, le nomine sono riconducibili alla conoscenza personale dell’avvocato ed alla sua sensibilità; in altri casi i magistrati attingono agli elenchi dei difensori d’ufficio (per la materia penale) del Tribunale per i Minorenni. Gli addetti ai lavori, pertanto, lamentano la mancanza di “albi” e/o “elenchi” appositi riservati ai tutori e l’assenza di una formazione specifica degli stessi. Si rileva, invece, in positivo, il fatto che dopo un anno e mezzo dall’entrata in vigore della modifica alla norma sulla conversione del permesso di soggiorno al raggiungimento della maggiore età25 sono stati più di mille i MNA che hanno potuto restare regolarmente in Italia al compimento dei 18 anni: sono stati infatti 1.260 i pareri favorevoli emessi per la maggior parte (396) a favore di ragazzi del Bangladesh e dell’Albania (228), ma anche egiziani (168), tunisini (118) e kosovari (103). Le richieste di parere sono state avanzate principalmente da Comuni del Lazio (305) e dell’Emilia Romagna (260) e si sono basati principalmente (710) sulla necessità di far continuare un percorso scolastico avviato dai MNA26. Il Gruppo CRC raccomanda: 1. Al Governo e, in particolare, al Ministe- ro dell’Interno, al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali d’intesa con la Con- ferenza Stato-Regioni e Autonomie Locali, di cessare immediatamente le pratiche di respingimento collettivo dalle coste sicilia- ne e di riammissione verso la Grecia dai porti dell’Adriatico, garantendo l’accoglien- za dei minori stranieri non accompagnati in un sistema nazionale per la protezione e l’accoglienza dei minori stranieri non ac- compagnati, finanziato con uno specifico fondo pluriennale, che tenga conto delle disponibilità dei posti in accoglienza su tutto il territorio nazionale e che sia col- legato a meccanismi di monitoraggio degli standard di accoglienza volti anche ad evi- tare che i Comuni possano ricorrere all’uso di strutture inadeguate invocando presun- te emergenze e ricorrendo a decisioni non fondate su alcuna base giuridica; 2. Al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di concerto con il Ministero dell’Inter- no e d’intesa con la Conferenza Stato-Regio- ni, di adottare a livello nazionale procedure omogenee per l’accertamento dell’età basa- te su metodi di indagine multidisciplinari e a tal fine individuare le strutture idonee a svolgere tali accertamenti medici, chiaren- do che vi si deve ricorrere solo in caso di dubbio fondato sull’età e solo qualora non sia possibile determinare altrimenti l’età del soggetto, rispettando inoltre il divieto di ri- correre a una seconda valutazione dell’età senza un specifico e individuale ordine del- la magistratura; 3. Al Garante Nazionale per l’Infanzia e l’A- dolescenza di assicurare che entro la fine del 2013 il Parlamento, il Governo e il Mini- stero di Giustizia approvino una Legge che istituisca presso le sedi giudiziarie albi e/o elenchi riservati ai tutori volontari nonché la stipula di protocolli di intesa che li ren- dano operativi, e che preveda la formazio- ne inter-disciplinare dei tutori dei minori stranieri non accompagnati. 2. l’attuazIoNE DEl ProtoCollo oPzIoNalE alla CrC sul CoINvolGIMENto DEI MINorI NEI CoNflIttI arMatI IN ItalIa 70. Il Comitato esprime preoccupazione in merito alla mancata applicazione delle precedenti racco- mandazioni che prevedevano: (a) l’esplicita introduzione nella legislazione na- zionale del reato, del reclutamento e dell’u- tilizzo di individui sotto i 15 anni di età da parte di forze e gruppi armati (CRC/C/OPAC/ ITA/CO/1, par. 12); (b) la definizione del concetto di “partecipazione diretta” da parte delle leggi nazionali (CRC/C/ OPAC/ITA/CO/1, par. 11), in linea con gli articoli da 1 a 4 del Protocollo opzionale concernen- te il coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati. 71. Pur apprezzando l’allineamento con l’articolo 29 della Convezione, il Comitato lamenta l’assen- za, nei programmi delle quattro scuole militari operanti in Italia, di materie specifiche che ab- biano come oggetto i diritti umani, la Conven- zione e il Protocollo opzionale. Lamenta inoltre la mancata applicazione della precedente racco- mandazione relativa all’introduzione del divieto e della perseguibilità penale della vendita di armi di piccolo calibro e armi leggere a paesi in cui i 25 Art. 32 T.U. Immigrazione, come modificato dalla Legge 129/2011: un minore non accompagnato affidato o comunque sottoposto a tutela può restare regolarmente in Italia da maggiorenne se è arrivato in Italia da almeno tre anni e ha intrapreso un percorso di inserimento sociale di almeno due anni; in mancanza di questi requisiti, occorre un parere positivo da parte della DG Immigrazione. 26 Dati forniti dalla DG Immigrazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali al Gruppo CRC ai fini della stesura del presente Rapporto. minori sono coinvolti in conflitti armati (CRC/C/ OPAC/ITA/CO/1, par. 17). Il Comitato si rammarica inoltre per la mancanza, nel rapporto elaborato dall’Italia, di informazioni sulla riabilitazione e la reintegrazione sociale dei minori vittime dei crimini oggetto del Protocollo opzionale. 72. Ribadendo le proprie raccomandazioni pre- cedenti, il Comitato sollecita l’Italia affinché in- tensifichi l’impegno nell’applicazione del Proto- collo opzionale concernente il coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati e: (a) emendi la propria dichiarazione apposta al Protocollo opzionale sull’età minima per il reclutamento al fine di conformarsi alla legi- slazione nazionale che prevede un’età mini- ma di 18 anni; (b) emendi il Codice Penale vietando e perse- guendo in maniera esplicita il reclutamento e l’utilizzo, da parte di forze e gruppi armati, di individui al di sotto di 18 anni di età in conflitti armati; (c) vieti e persegua penalmente nella legisla- zione nazionale la vendita di armi di piccolo calibro e armi leggere a paesi in cui i minori sono coinvolti in conflitti armati; (d) includa il reclutamento e l’utilizzo di minori in conflitti armati tra i motivi previsti dalla le- gislazione nazionale per la concessione dello status di rifugiato; (e) ratifichi la Convenzione sulle munizioni a grappolo. CRC/C/ITA/CO/3-4, punti 70-71-72 minori sono coinvolti in conflitti armati (CRC/C/ OPAC/ITA/CO/1, par. 17). Il Comitato si rammarica inoltre per la mancanza, nel rapporto elaborato dall’Italia, di informazioni sulla riabilitazione e la reintegrazione sociale dei minori vittime dei crimini oggetto del Protocollo opzionale. 72. Ribadendo le proprie raccomandazioni pre- cedenti, il Comitato sollecita l’Italia affinché in- tensifichi l’impegno nell’applicazione del Proto- collo opzionale concernente il coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati e: (a) emendi la propria dichiarazione apposta al Protocollo opzionale sull’età minima per il reclutamento al fine di conformarsi alla legi- slazione nazionale che prevede un’età mini- ma di 18 anni; (b) emendi il Codice Penale vietando e perse- guendo in maniera esplicita il reclutamento e l’utilizzo, da parte di forze e gruppi armati, di individui al di sotto di 18 anni di età in conflitti armati; (c) vieti e persegua penalmente nella legisla- zione nazionale la vendita di armi di piccolo calibro e armi leggere a paesi in cui i minori sono coinvolti in conflitti armati; (d) includa il reclutamento e l’utilizzo di minori in conflitti armati tra i motivi previsti dalla le- gislazione nazionale per la concessione dello status di rifugiato; (e) ratifichi la Convenzione sulle munizioni a grappolo. CRC/C/ITA/CO/3-4, punti 70-71-72 L’Italia continua a disattendere gran parte delle raccomandazioni del Comitato ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza sull’attuazione del Protocollo Opzionale sul coinvolgimento dei minori nei conflitti armati27. Con riferimento alla vendita di armi, la Legge 185/199028 così come modificata dal decreto legislativo 22 giugno 2012 n.10529, che ne disciplina le esportazioni, le importazioni ed il transito, vieta all’Italia le esportazioni ai Paesi belligeranti e responsabili di accertate violazioni delle Convenzioni internazionali dei diritti umani, sottoposti ad embargo sulle armi da parte di ONU, Unione europea e Consiglio d’Europa. 27 Per leggere il testo del Protocollo, si veda il link: www.gruppocrc. net/PROTOCOLLI-OPZIONALI-ALLA-CRC-OPAC-e-OPSC. 28 Si veda www.governo.it/Presidenza/UCPMA/doc/legge185_90.pdf 29 Si veda www.difesa.it/Legislazione/Norme_in_rete/Pagine/ Anno2012.aspx Per garantire il rispetto dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, sarebbe particolarmente importante che tali ordigni non siano venduti a Paesi che utilizzano i minori nei conflitti armati. Secondo un recente Rapporto30 del Segretario Generale dell’ONU, l’Italia ha esportato armi anche ai Paesi che hanno reclutato o impiegato minori nei conflitti armati; in particolare, alla Colombia (consegne pari a 11 milioni di euro)31 che ha utilizzato o reclutato bambini per combattere. Inoltre, al Paese sudamericano sono stati concessi dal Ministero della Difesa nulla osta per la fornitura di servizi militari per un valore di 3 milioni di euro32. Si sottolinea, inoltre, che una larga parte delle armi leggere (pistole, fucili e loro parti ed accessori) sono considerate, dal punto di vista legale, “armi civili”, in quanto tali escluse dal campo di applicazione della Legge 185/1990 che prevede criteri più rigorosi, e sono invece regolamentate dalla Legge 110/197533, che non prevede nessuna misura di trasparenza e nessun controllo parlamentare. Sono da esaminare anche altre forme di aiuti militari, quali ad esempio l’addestramento effettuato dalle forze armate italiane a corpi di polizia di Paesi che utilizzano i minori in interventi armati34. Ad esempio, l’Italia sta partecipando alla missione dell’Unione europea EUTM per rafforzare il Governo Federale di Transizione (GFT) della Somalia con 101 militari nel 2013 (rispetto ai 22 del 2012). La proroga della partecipazione italiana alla missione militare è stata disposta dall’art.1 del Decreto Legge 28.12.2012 n. 22735, convertito nella Legge 12/2013. Tale sostegno non appare condivisibile, visto che il GFT è stato denunciato 30 “Children and armed conflict” pubblicato il 26 aprile 2012. Il Rapporto annuale, che copre il periodo dicembre 2011, è scaricabile su http://daccess-dds-ny.un.org/doc/UNDOC/GEN/N12/320/83/PDF/ N1232083.pdf?OpenElement 31 Presidenza del Consiglio dei Ministri, “Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali d’armamento nonché dell’esportazione e del transito dei prodotti ad alta tecnologia (anno 2011)”, www.senato.it/ leg/16/BGT/Schede_v3/docnonleg/22872.htm 32 Children and armed conflict”, Op. cit. 33 Si veda www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:197504- 18;110~art1 34 Ad esempio, i Carabinieri continuano ad addestrare la polizia in Afghanistan che secondo il Rapporto delle Nazioni Unite utilizza minori nei conflitti armati, www.carabinieri.it/Internet/Arma/Oggi/Missioni/ Oggi/ 35 Per leggere il Decreto Legge, si veda www.governo.it/backoffice/ allegati/70195-8359.pdf dal Segretario Generale ONU per l’ arruolamento e l’utilizzo dei minori in combattimento. Un analogo discorso vale per la missione ONU nel Sud Sudan, (UNMISS), Paese che utilizza, secondo il citato rapporto del Segretario Generale dell’ONU, i minori in combattimento. Per la persecuzione del crimine dell’impiego dei bambini-soldato nei conflitti, l’Italia con la Legge 237/201236, ha adottato le norme che consentono al nostro Paese di cooperare con il Tribunale Penale Internazionale (TPI). La legge attribuisce al Ministero della Giustizia ed alla Corte di Appello di Roma il ruolo, rispettivamente, di autorità amministrativa e di autorità giudiziaria per la cooperazione con il TPI. Infine, con riferimento alle munizioni a grappolo (cluster bomb), l’Italia ha ratificato, con la Legge 95/201137, la Convenzione di Oslo sulla messa al bando delle munizioni a grappolo, recependo l’apposita raccomandazione del Comitato ONU. Nel dicembre scorso la Commissione Finanze della Camera dei Deputati ha approvato, in sede legislativa, la norma che vieta il finanziamento da parte delle banche alle società che producono38 questo tipo di armi; purtroppo la fine della Legislatura ha impedito che il provvedimento diventasse Legge. È auspicabile che tale disposizione venga recepita dal nuovo Parlamento. La Cooperazione allo sviluppo italiana ha svolto un ruolo positivo nella battaglia contro l’uso di bambini soldato39, attraverso la redazione delle Linee guida della cooperazione sui minori40, che individuano anche “iniziative finaliz 36 Si veda www.camera.it/leg17/1050?appro=507&Legge+237% 2F2012+-+Adeguamento+allo+Statuto+della+Corte+penale+internazion ale 37 www.normattiva.it/atto/caricaDettaglioAtto?atto. dataPubblicazioneGazzetta=2011-07-04&atto.codiceRedazionale=011G 0135¤tPage=1. 38 Misure per contrastare il finanziamento delle imprese produttrici di mine antipersona, di munizioni e submunizioni a grappolo, http:// leg16.senato.it/leg/16/BGT/Schede_v3/Ddliter/35297.htm. 39 Le Osservazioni conclusive rivolte dal Comitato ONU sui diritti dell’infanzia all’Italia nel 2006 in merito all’applicazione dei due Protocolli opzionali alla Convenzione, tra cui quello sul coinvolgimento dei minori nei conflitti armati, citavano tra gli aspetti positivi “le attività di cooperazione internazionale dello Stato parte (...) finalizzate a prevenire il coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati e a fornire assistenza per il recupero dei minori vittime dei conflitti armati e dei minori combattenti” (punto 5): http://www.unicef.it/Allegati/Osservazioni_ conclusive_2006.pdf 40 www.cooperazioneallosviluppo.esteri.it/pdgcs/Documentazione/ PubblicazioniTrattati/2011-12-12_LineeGuidaMinori2012.pdf. zate al recupero e al reinserimento sociale dei minori ex combattenti e vittime dei conflitti”41. Il documento individua fra gli interventi prioritari la “prevenzione del coinvolgimento, coatto e non, dei Minori nei conflitti con particolare attenzione ai luoghi di reclutamento” ed il “supporto agli sforzi diretti a contrastare l’impunità delle violazioni dei diritti dei Minori commesse durante i conflitti, favorendo l’applicazione del principio di extraterritorialità nella persecuzione di tali crimini”, nonché il “sostegno alla ratifica/applicazione dei trattati internazionali inerenti i diritti dei minori nei processi di pace”. Recentemente la Cooperazione italiana ha realizzato alcuni interventi, consistenti in progetti per la smobilitazione ed il reinserimento nella vita civile dei minori ex combattenti, come avvenuto lo scorso gennaio con lo stanziamento di fondi per la cura e il reinserimento dei bambini soldato nell’est della Repubblica Democratica del Congo (DRC)42. Pertanto il Gruppo CRC raccomanda: 1. Al Governo di vigilare ed adoperarsi af- finché sia vietata ogni forma di aiuto mili- tare (ivi compresa l’esportazione di armi) ai Paesi che utilizzano i minori nei conflitti; 2. Al Parlamento di legiferare per specifi- care il concetto di “partecipazione diretta” dei minori di 18 anni ad un conflitto ar- mato; rendere più rigorosa la normativa in materia di esportazioni e transazioni di armamenti (Legge 185/1990) vietando e perseguendo penalmente le esportazio- ni verso Paesi che reclutano e/o utilizza- no bambini soldato; migliorare in termini di trasparenza e monitoraggio la Legge 110/1975 sull’esportazione di “armi ad uso civile”. 41 Ministero degli Affari Esteri, Direzione Generale Cooperazione allo Sviluppo, “Linee guida sui minori 2012” www.cooperazioneallosvilup- po.esteri.it/pdgcs/Documentazione/PubblicazioniTrattati/2011-12-12_LineeGuidaMinori2012. pdf. 42 Cfr Ministero degli Affari Esteri, cs “Invio di aiuti nella RDC”, 2 gennaio 2013: www.esteri.it/MAE/IT/Sala_Stampa/ArchivioNotizie/Comunicati/ 2013/01/20130102_congo.htm?LANG=IT 3. MINorI IN stato DI DEtENzIoNE o sottoPostI a MIsurE altErNatIvE 76. Il Comitato accoglie in maniera positiva l’en- fasi posta sulle misure alternative e la reintegra- zione nel sistema di giustizia minorile dell’Italia. Ciononostante, si dichiara preoccupato in merito alla mancata adozione del disegno di legge sul sistema carcerario minorile volto a diversificare ulteriormente la risposta da parte del sistema di giustizia minorile ai tagli di natura finanziaria che minacciano l’attuale sistema. A tale proposito, il Comitato esprime particolare preoccupazione in merito alle segnalazioni relative all’eccessivo ri- corso a misure detentive, alla prolungata custo- dia cautelare di minori e all’accesso inadeguato a istruzione e formazione da parte dei minori detenuti presso gli Istituti Penali Minorili (IPM). 77. Il Comitato esprime inoltre profonda preoc- cupazione in merito alle segnalazioni riguardanti il collocamento di minori presso Istituti Penali Minorili e centri di accoglienza sulla sola base della mancanza di documenti. L’aumento del nu- mero di minori stranieri e Rom fermati dalle au- torità giudiziarie durante il periodo di riferimento costituisce un ulteriore motivo di preoccupazio- ne, così come il fatto che tali minori godano delle pene sostitutive e delle misure alternative previste dalla legge in misura minore rispetto ai coetanei di nazionalità italiana. 78. Il Comitato raccomanda che l’Italia conformi pienamente il proprio sistema di giustizia mi- norile a quanto stabilito dalla Convenzione e, in particolare, dagli articoli 37, 39 e 40 e ad altri standard rilevanti, ivi comprese le Regole sugli standard minimi per l’amministrazione del- la giustizia minorile (Regole di Pechino), le Linee guida per la prevenzione della delinquenza mi- norile (Linee guida di Riyadh), le Regole per la protezione dei minori privati della loro libertà (Regole dell’Avana), le Linee guida per i bambini coinvolti nel sistema giudiziario penale e il com- mento generale n. 10 (2007) del Comitato sui diritti dell’infanzia in materia di giustizia mino- rile. In particolare, il Comitato sollecita lo Stato parte affinché: (a) adotti il disegno di legge sul sistema carce- rario minorile senza ingiustificate proroghe; (b) destini al sistema di giustizia minorile risor- se umane, tecniche e finanziarie adeguate, al fine di garantire pene sostitutive e altre misu- re alternative alla privazione della libertà, se- condo quanto raccomandato dal Gruppo di la- voro sulla detenzione arbitraria (A/HRC/10/21/ Add. 5, par. 116 e 122); (c) conduca un’analisi approfondita sulla nume- rosa presenza di minori stranieri e Rom nel sistema di giustizia minorile; (d) istituisca un sistema di monitoraggio indi- pendente al fine di effettuare visite regolari ai luoghi in cui i minori sono detenuti. (CRC/C/15/Add.198, punti 76-77-78 Il sistema italiano della giustizia minorile disattende alcune importanti prescrizioni della CRC43, delle Regole di Pechino sull’amministrazione della giustizia minorile e della Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti dei minori44. In particolare, l’adozione di una legge di ordinamento penitenziario minorile, da tempo sollecitata dal Comitato ONU sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, dal Consiglio d’Europa45 e dalla Corte Costituzionale italiana46, appare improcrastinabile. Al momento nessuno dei progetti di riforma elaborati ha potuto essere adottato47. Né ci si è mossi nella direzione, più volte auspicata dal Gruppo CRC, di creare un Osservatorio nazionale sulla condizione dei minori detenuti che veda la collaborazione di attori istituzionali, ONG, centri di ricerca. Si deve tuttavia valutare positivamente lo sforzo compiuto dal Dipartimento della Giustizia Minorile (DGM) per rendere disponibile sul suo sito internet un numero sempre maggiore di dati statistici e di analisi48. Riteniamo importante la specializzazione del Dipartimento, che in questi anni ha rischiato in più occasioni di essere rimessa in discussione. Manca un approccio “globale” alla questione penale minorile, benché le stesse istituzioni siano consapevoli del fatto che – com’è scritto nel III Piano biennale nazionale di azioni e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo 43 Artt. 2, 3, 6, 12, 37, 40 CRC. 44 Artt. 1, 10 Regole di Pechino; artt. 3-6 Convenzione Europea di Strasburgo sull’esercizio dei diritti dei minori (1996). 45 Comitato dei Ministri, REC (2003) 20, II, 5. 46 Corte Costituzionale, sentenze 125/1992, 109/1997, 403/1997,450/1998, 436/1999. 47 Nel 2008 il Dipartimento per la Giustizia Minorile (DGM) aveva steso una “Proposta di modifiche al D.P.R. 448/88 e al D.Lgs 272/89 in materia di sanzioni previste nella sentenza di condanna e al codice penale in materia di pene irrogabili ai soggetti che hanno commesso reati nella minore età”. Un gruppo di parlamentari, facendo propria questa proposta, aveva presentato un apposito Disegno di legge, il cui iter si è tuttavia interrotto (Disegno di legge n. 3912 presentato alla Camera dei Deputati il 29.11.2010). 48 Si veda www.giustiziaminorile.it/. dei soggetti in età evolutiva (PNI) – solo un simile approccio sia in grado di affrontare “i fattori di discriminazione multipla” che riguardano i minori che entrano nel circuito penale, “fra i quali la minore età, la condizione giuridica di autore di reato, l’esposizione al rischio di disagio psicologico e sociale”49. A tali fattori si devono aggiungere la forte selettività sociale del sistema penale minorile e la discriminazione cui vanno incontro, di fatto, i minori stranieri e figli di stranieri e i minori rom e sinti50. Si assiste infatti a una sovrarappresentazione di questi gruppi sociali nel sistema della giustizia penale minorile e, in particolare, all’interno degli Istituti Penali per i Minorenni (IPM). Questi ultimi tendono in parte a perdere centralità all’interno del circuito penale per i minorenni (come segnalato dal Piano Nazionale Infanzia e come testimoniano i dati pubblicati dal DGM51), ma proprio per questo essi accolgono in misura sempre maggiore minori che presentano particolari disagi – di ordine sociale, famigliare, psicologico – oltre a minori non italiani la cui sovrarappresentazione è, come si è detto, significativa, benché negli ultimi anni tenda a ridursi52. Anche la presenza di minori non condannati in via definitiva negli IPM sembra sia andata diminuendo. Sono tuttavia ancora numerosi i minori in attesa di primo giudizio e sottoposti a custodia cautelare53. Per quanto riguarda i minori stranieri è da segnalare che le denunce nei loro confronti producono l’avvio dell’azione penale più frequentemente di quelle sporte nei confronti degli 49 III Piano biennale nazionale di azioni e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva (III Piano Nazionale Infanzia) adottato con il DPR del 21 gennaio 2011, p. 111. 50 Oltre alle statistiche del DGM si può vedere G. Campesi, L. Re, G. Torrente, (a cura di), “Dietro le sbarre e oltre. Due ricerche sul carcere in Italia”, L’Harmattan, Torino 2009. Per i minori rom e sinti è da segnalare la difficoltà di reperire dati e analisi riguardanti la loro condizione, eppure le minori rom e sinti costituiscono la maggioranza delle minori detenute nel nostro Paese (cfr. sul punto III Piano Nazionale Infanzia, op. cit., pag. 112). 51 Si veda www.giustiziaminorile.it/statistica/index.html 52 Su 1.252 detenuti presenti negli IPM nell’anno 2012, 665 erano italiani e 587 stranieri Cfr. www.giustiziaminorile.it/statistica/dati_statistici/ DatiAggiornati/dati_aggiornati.pdf, p. 9. Segnaliamo ancora una volta la difficoltà di rilevare la sovrarappresentazione dei minori rom e sinti, che sono classificati ora come italiani, ora come stranieri, ora come apolidi. 53 Su 541 detenuti presenti negli IPM al 30/06/2012, 127 erano in attesa di primo di giudizio, cfr. www.giustiziaminorile.it/statistica/dati_ statistici/2012/IPM_1sem_2012.pdf, p.5. italiani54; sono condannati più spesso degli italiani; soffrono periodi di detenzione cautelare più lunghi; hanno minore accesso alle misure alternative alla detenzione, al perdono giudiziale e alla messa alla prova55, anche se per questi ultimi aspetti la situazione sembra migliorata negli ultimi anni; infine, la carenza di prospettive legali di permanenza sul territorio italiano vanifica qualsiasi percorso di inserimento sociale avviato mentre erano sottoposti alla detenzione o a misure cautelari. L’art. 18, comma 6 del D.lgs. 286/98, che consente la loro regolarizzazione al compimento della maggiore età, è ancora non pienamente applicato, benché si possa segnalare l’avvio di un nuovo indirizzo giurisprudenziale favorevole alla sua applicazione da parte di alcuni Tribunali per i Minorenni. Per rimediare alla discriminazione e rispondere ai disagi di cui spesso i minori che entrano nel circuito penale sono portatori, è auspicabile una maggiore specializzazione degli operatori – magistrati, educatori, psicologi, funzionari, agenti di polizia penitenziaria – nonché una migliore comunicazione e collaborazione fra questi, che consenta la costruzione di progetti mirati nell’interesse dei minori. Si segnala la positiva attivazione negli IPM di progetti formativi svolti in collaborazione con gli Enti Locali e le ONG. Sarebbe utile anche un più efficace intervento di coordinamento a livello nazionale, che consenta di offrire ai minori detenuti e sottoposti a misure alternative progetti coerenti di reinserimento sociale, anche tenendo conto del fatto che un numero consistente di loro è soggetto al trasferimento da un istituto all’altro56. Riteniamo necessaria una drastica riduzione del ricorso ai trasferimenti dei minori detenuti da IPM a IPM, poiché questo interrompe i percorsi formativi intrapresi e mette a rischio i legami sociali, familiari, lavorativi dei minori. Un’armonizzazione dell’offerta for 54 M. S Totaro, T. Pagliaroli, “I minori stranieri devianti: il quadro generale”, in I. Mastropasqua, T. Pagliaroli, M.S. Totaro, (a cura di), “I NUMERI pensati – Minori stranieri e Giustizia minorile in Italia), Dipartimento della Giustizia Minorile, Ufficio del capo del Dipartimento, Roma, 2008, p. 79, tabella 1. 55 M.S. Totaro, T. Pagliaroli, “L’analisi statistica delle misure applicate”, ivi, p. 174, tabella 5. 56 Cfr. i dati relativi ai singoli IPM, www.giustiziaminorile.it/statistica/ dati_statistici/2012/IPM_1sem_2012.pdf. mativa all’interno del circuito penale minorile a livello nazionale consentirebbe tuttavia di dare una maggiore continuità ai percorsi intrapresi dai minori che passano attraverso istituti diversi (comunità, IPM etc.). Attualmente l’offerta formativa e scolastica differisce molto da IPM a IPM e varia di anno in anno a seconda delle risorse economiche messe a disposizione dagli Enti nazionali e locali. Segnaliamo inoltre l’applicazione ancora soltanto sperimentale delle pratiche di mediazione penale. È auspicabile invece la diffusione di nuovi uffici di mediazione, attraverso la stipula di protocolli d’intesa, e l’avvio di un dibattito nazionale intorno all’utilità di valorizzare questo strumento, particolarmente adatto a perseguire gli scopi della giustizia minorile. Se è da valutare positivamente il sempre maggiore ricorso al collocamento dei minori, anche stranieri, nelle comunità, si deve tuttavia rilevare che queste sono ancora in numero insufficiente e sono dotate di scarse risorse. Esse presentano inoltre una inadeguata specializzazione che spesso le rende inadatte ad affrontare problemi particolari (tossicodipendenza, disagio psichico, etc.). Il tema della gestione del disturbo psichiatrico appare particolarmente trascurato. Esso è stato per la prima volta esplicitamente affrontato nelle Linee di Indirizzo del 200957, ma senza che siano state attivate le risorse necessarie per un’effettiva applicazione. Le criticità esistenti nell’ambito dei servizi per la salute mentale dell’età evolutiva58 sono amplificate dalla mancanza di una formazione e di un’organizzazione specifiche per l’accoglienza di minori del circuito penale, per quanto riguarda l’eventuale bisogno di ricovero, l’inserimento in comunità terapeutica e la presa in carico da parte dei servizi territoriali. Alla luce di tali osservazioni il Gruppo CRC reitera le raccomandazioni del 2012, in particolare: 1. Al Parlamento, l’adozione di una Leg- ge di ordinamento penitenziario minorile, coerente con la funzione che il nostro or- dinamento attribuisce alla pena in ambito minorile e finalizzata a ridurre il ricorso alla carcerazione e a trasformare il ruolo e il funzionamento degli IPM; 2. Al Governo e agli Enti Locali l’alloca- zione di maggiori risorse economiche e di qualificate risorse umane alla giustizia penale minorile, ai servizi sociali e alle co- munità; 3. Al Parlamento, al Governo e agli Enti Lo- cali l’adozione di specifiche policies e pro- grammi di intervento volti a rimediare alla discriminazione dei minori stranieri, rom, sinti e residenti nel Sud Italia. Nello spe- cifico per gli stranieri lo stanziamento di appositi fondi per la realizzazione dei pro- grammi di cui all’art. 18 comma 6 del T.U. 286/1998 (inserimento nel bando relativo al Fondo di cui all’art. 12 Legge 228/2003), nonché l’emanazione di una circolare che chiarisca la disciplina e ribadisca l’appli- cabilità a questa fattispecie del sistema di tutela sviluppato per la “protezione socia- le” delle vittime di violenza o grave sfrut- tamento (di cui ai primi commi del medesi- mo articolo), chiarendo anche che i minori in messa alla prova possono usufruire di tale permesso, al pari dei minori che han- no espiato una pena detentiva. Per i rom e i sinti: la predisposizione di formazioni specifiche per coloro che intervengono a tutti i livelli dell’amministrazione della giu- stizia e del controllo penale, allo scopo di promuovere la sensibilizzazione culturale e la consapevolezza dei pregiudizi nei loro confronti, nonché l’inserimento stabile di mediatori culturali nelle strutture della giustizia minorile. 57 Linee di indirizzo per l’assistenza ai minori sottoposti a provvedimento dell’autorità giudiziaria, Accordo in Conferenza Unificata, rep. atti 82 CU del 26 novembre 2009, www.statoregioni.it/Documenti/ DOC_024563_82%20cu.pdf 58 Si veda infra Capitolo V, paragrafo ”Salute mentale”. 4. lo sfruttaMENto ECoNoMICo: Il lavoro MINorIlE IN ItalIa In continuità con i precedenti Rapporti CRC, questo paragrafo tratterà la questione del lavoro minorile inteso come l’insieme di attività svolte dai minori di 16 anni, quindi illegali ai sensi della legge di accesso al lavoro, così come confermato dalla Legge Finanziaria 2007 (Legge 296/2006) che, a partire dall’A.S. 2007/2008, ha innalzato a 16 anni l’età dell’obbligo scolastico e portato a 10 gli anni di istruzione obbligatoria59. In base alla CRC, la persona di minore età ha il diritto ad essere protetta contro lo sfruttamento economico (art. 32 e ss.) e contro ogni altra forma di sfruttamento (schiavitù, lavoro forzato, prostituzione minorile, pornografia minorile, traffico di minori, reclutamento forzato). Il minorenne non può essere costretto a svolgere nessuna attività che comporti rischi o sia suscettibile di porre a repentaglio la sua educazione, nuocere alla sua salute o sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale o sociale. La Convenzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) n. 138 del 1973 riguardante l’età minima di ammissione all’impiego e la Convenzione OIL n. 182 del 1999 sulle peggiori forme di lavoro minorile – entrambe ratificate dall’Italia – completano il quadro normativo internazionale di riferimento60. 59 Per la stesura di questo paragrafo si è fatto riferimento al percorso di analisi condotto dall’Ires Cgil dalla fine degli anni ’90 ad oggi, che è consultabile nelle seguenti pubblicazioni: Teselli A., Paone G. (a cura di), “Lavoro e lavori minorili in Italia. L’inchiesta Cgil”, Ediesse, Roma, 2000; Megale A., Teselli A. “Lavori minorili in Italia. I casi di Milano, Roma e Napoli”, Ediesse, Roma, 2005; Megale A., Teselli A., “Lavori minorili e percorsi a rischio di esclusione sociale. Famiglie, istruzione, diritti”, Ediesse, Roma, 2006; Ires, Save the Children, “Minori al lavoro. Il caso dei minori migranti”, Ediesse, Roma, 2007. Si veda anche il documento “Il lavoro minorile in Italia e le problematiche ad esso connesse: una strategia condivisa”, 2007, a cura del Coordinamento PIDIDA. 60 A livello internazionale, gli approcci rispetto al lavoro minorile sono sostanzialmente riconducibili alla distinzione tra “child work” e “child labour”, ove il primo è traducibile in lavoro non lesivo, ovvero un’attività lavorativa leggera, non pericolosa né pregiudizievole, che si affianca alla frequenza scolastica e che non interferisce con la crescita del bambino (consentendogli ad esempio di contribuire all’economia familiare), mentre il secondo è riconducibile a situazioni di sfruttamento caratterizzate da un’attività lavorativa pesante e suscettibile di pregiudicare lo sviluppo fisico, psichico e morale del minore. Sul piano internazionale, la comparazione degli studi quantitativi condotti sul lavoro minorile è complessa, perché variano le definizioni del fenomeno, l’età della popolazione di riferimento e le metodologie utilizzate. Dal 2000 l’UNICEF porta avanti il programma congiunto UCW – Understanding Children’s Work insieme a OIL e Banca Mondiale per sviluppare nuovi indicatori comuni per la misurazione e il monitoraggio del lavoro minorile. Il sito web di riferimento è www.ucw-project.org/. Nel nostro Paese la questione del dimensionamento del fenomeno è ancora controversa; anche per questo, nella Relazione tematica sul lavoro minorile presentata nel 2009 nell’ambito dell’iniziativa interistituzionale “Il lavoro che cambia” promossa da CNEL, Camera dei Deputati e Senato della Repubblica61, si raccomanda di implementare un Sistema di statistiche sul lavoro minorile “che preveda indagini a valenza nazionale e a cadenza periodica sulle diverse componenti del lavoro minorile nel Paese”, dal momento che “il bisogno conoscitivo sul fenomeno è ampio, ma i metodi e le fonti di informazione ancora non sono in grado di tenere conto di un fenomeno così articolato”62. Nonostante le sollecitazioni provenienti da vari soggetti socio-istituzionali, è però ancora assente un monitoraggio istituzionale del fenomeno, così come sono ferme iniziative istituzionali di prevenzione e contrasto63. La necessità di avere informazioni periodiche e analitiche sul lavoro minorile è ancor più stringente se si considera il suo legame con altri fenomeni che negli ultimi anni, a causa della crisi socio-economica in corso, stanno assumendo caratteri e dimensioni rilevanti. Primo fra tutti quello della povertà infantile: in Italia la percentuale dei minorenni a rischio povertà supera di 5 punti la media europea, posizionandosi al 32,3%64. Le statistiche mettono in luce come diversi fattori incidano su questa: la composizione del nucleo familiare in cui i bambini vivono, la situazione lavorativa, il livello d’istruzione e le origini dei loro genitori65. 61 La relazione, dal titolo “Il Lavoro minorile: esperienze e problematiche di stima”, è a cura di Giuliana Coccia e Alessandra Righi ed è disponibile sul sito del Cnel al seguente indirizzo: www.portalecnel.it/ Portale/IndLavrapportiFinali.nsf/vwCapitoli?OpenView&Count=40. 62 Relazione, op. cit., p. 27. 63 In merito si ricorda che, al di là della Carta di impegni contro lo sfruttamento del lavoro minorile sottoscritta dalle istituzioni e dalle parti sociali più di 10 anni fa (nel 1998), il Tavolo di coordinamento presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali non ha mai individuato interventi concreti attraverso uno specifico coinvolgimento delle istituzioni pubbliche, nazionali e locali, delle parti sociali e delle organizzazioni della società civile. Inoltre, da parte del Ministero, non sono stati ancora conclusi l’aggiornamento e la sottoscrizione della nuova Carta di impegni contro lo sfruttamento del lavoro minorile, comprensiva di un Piano d’Azione contro le forme peggiori di lavoro minorile secondo quanto previsto dalla Convenzione ILO n. 182. 64 Eurostat, Statistics in focus, 4/2013, Febbraio 2013 http://epp.eurostat. ec.europa.eu/cache/ITY_PUBLIC/3-26022013-AP/EN/3-26022013AP- EN.PDF 65 Per approfondimento si veda infra, capitolo V, paragrafo “Bambini e adolescenti in condizioni di povertà in Italia”. L’UNICEF Innocenti Report Card n.11 del 2013 continua a collocare l’Italia in una posizione di svantaggio rispetto agli altri Paesi avanzati, con una percentuale di bambini che vivono in famiglie con reddito inferiore al 50% della mediana nazionale che resta superiore al 15% (in un range che va da un valore al di sotto del 5% della Finlandia al massimo della Romania con quasi il 25%)66. Alcune indagini sul lavoro minorile67 hanno raccolto una serie di informazioni sulla condizione abitativa, sull’utilizzo di beni di consumo primari e secondari e sullo status professionale dei genitori, che hanno messo a fuoco, seppure in forma indiretta, alcuni indici di disagio socio-economico delle famiglie in cui vivono minori che lavorano. Se, quindi, da una parte le analisi collocano l’Italia tra i Paesi economicamente sviluppati ma con un tasso elevato di povertà infantile, dall’altra il sotto-target dei minori di 15 anni che lavorano, esaminato nelle indagini, sembrerebbe appartenere per una parte rilevante a quel 15% dei minori stimati dall’Unicef come gruppo a rischio di povertà infantile; una povertà che si esprime principalmente sul versante del benessere economico, calcolato però sia sulla base delle condizioni reddituali familiari che nello stesso tempo come disponibilità di strumenti e risorse culturali. In tal senso, il lavoro precoce rappresenterebbe una misura non solo della povertà materiale infantile in senso stretto, quanto di una combinazione generale di scarsità di mezzi economici e di beni culturali, che può tradursi nel tempo, in una situazione di svantaggio sociale, cognitivo e relazionale difficilmente colmabile, il cui esito può essere spesso rappresentato dal circuito dei lavori poveri adulti. Il processo di mobilità sociale inter- generazionale sarebbe influenzato da meccanismi che tendono a riprodurre sui destini individuali lo squilibrio delle posizioni di partenza68. Un altro fenomeno strettamente connesso al lavoro minorile e alle condizioni di svantaggio 66 UNICEF Innocenti, Report Card n. 11, 2013, “Il benessere dei bambini nei Paesi ricchi”, disponibile su www.unicef.it/doc/4691/pubblicazioni/ report-card-11-il-benessere-dei-bambini-nei-paesi-ricchi.htm 67 Si vedano pubblicazioni citate dell’Ires. 68 Sulla questione della mobilità sociale tra generazioni, cfr., tra gli altri, Checchi D. (a cura di), “Immobilità diffusa”, Il Mulino, Bologna, 2010. ad esso associate è quello della dispersione scolastica e dell’insuccesso formativo69. Come noto l’Italia è tra i fanalini di coda nell’UE27 per quanto riguarda i tassi di abbandono degli studi post obbligo e di mancata acquisizione di un titolo di studio secondario; così come sul versante dell’acquisizione di alcune competenze chiave i risultati forniti dalle ultime indagini internazionali indicano per i 15enni studenti italiani generalmente un livello più basso rispetto alla media OCSE. In molti casi le esperienze di lavoro minorile, anche se non portano nell’immediato ad un abbandono della scuola in età dell’obbligo, rappresentano una causa/ effetto dell’insuccesso formativo nei percorsi secondari di istruzione e formazione. Le informazioni principali riguardanti il lavoro minorile nel nostro Paese, così come evidenziato nel precedente Rapporto CRC, sono state ricostruite in sintesi sulla base delle varie indagini citate, tenendo presente che questo fenomeno, nei Paesi cosiddetti avanzati, è variamente articolato e va ricondotto a numerose e spesso assai differenti esperienze70: il fenomeno è presente e diffuso non solo nelle zone più arretrate del Paese, ma anche in quelle cosiddette avanzate e le stime disponibili sui minori con meno di 15 anni sono molto differenti tra loro71; le esperienze di lavoro sono spesso associate alla frequenza scolastica, ma altrettanto frequentemente a discapito della qualità del percorso formativo: i minori che lavorano tendono ad avere un rapporto più incostante con la scuola, ad accumulare episodi di insuccesso, a non prevedere un progetto di investimento sulla propria istruzione e formazione anche a livello superiore; 69 Per approfondimento si veda infra, Capitolo VI, paragrafo “La dispersione scolastico formativa”. 70 Cfr. Centro nazionale di documentazione ed analisi per l’infanzia e l’adolescenza, per conto dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia e del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, “L’eccezionale quotidiano. Rapporto sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia”, dattiloscritto, 2006, p. 327. 71 A titolo esemplificativo si citano le due stime più recenti: a) ISTAT, 2002: circa 144.000 tra coloro che hanno meno di 15 anni; b) Ires Cgil, 2005: 460.000-500.000 tra i 10-14enni, compresi i minori immigrati. Da sottolineare, infine, che secondo uno studio ISTAT del 2005, “L’istruzione della popolazione al 2001”, dati definiti del Censimento, circa il 4% dei minori di età compresa tra i 6 ed i 14 anni non sono iscritti ad un corso regolare di studi, ovvero 183.631 minori. Pertanto il Gruppo CRC raccomanda: 1. Al Ministero del Lavoro e delle Politi- che Sociali, di incaricare l’ISTAT, così come anche sollecitato da altri soggetti istitu- zionali, di intraprendere un monitoraggio del lavoro minorile, attraverso l’implemen- tazione di un Sistema statistico del lavoro minorile; 2. Al Ministero del Lavoro e delle Politi- che Sociali, di attivare strumenti operativi di promozione di policy ed interventi sul tema, attraverso attività di concertazione tra le istituzioni pubbliche – nazionali e locali, le parti sociali e le organizzazioni della società civile; 3. Al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di riconvocare il Tavolo di coordi- namento tra Governo e parti sociali per il contrasto dello sfruttamento del lavoro minorile, in modo da concludere l’aggior- namento e la sottoscrizione della nuova Carta di impegni contro lo sfruttamento del lavoro minorile, comprensiva di un Piano d’Azione contro le forme peggiori di lavoro minorile secondo quanto previsto dalla Convenzione ILO n. 182, prevedendo strumenti idonei a garantirne un monito- raggio e la piena attuazione. 5. Il CoNsuMo DI DroGhE E alCol Pertanto il Gruppo CRC raccomanda: 1. Al Ministero del Lavoro e delle Politi- che Sociali, di incaricare l’ISTAT, così come anche sollecitato da altri soggetti istitu- zionali, di intraprendere un monitoraggio del lavoro minorile, attraverso l’implemen- tazione di un Sistema statistico del lavoro minorile; 2. Al Ministero del Lavoro e delle Politi- che Sociali, di attivare strumenti operativi di promozione di policy ed interventi sul tema, attraverso attività di concertazione tra le istituzioni pubbliche – nazionali e locali, le parti sociali e le organizzazioni della società civile; 3. Al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di riconvocare il Tavolo di coordi- namento tra Governo e parti sociali per il contrasto dello sfruttamento del lavoro minorile, in modo da concludere l’aggior- namento e la sottoscrizione della nuova Carta di impegni contro lo sfruttamento del lavoro minorile, comprensiva di un Piano d’Azione contro le forme peggiori di lavoro minorile secondo quanto previsto dalla Convenzione ILO n. 182, prevedendo strumenti idonei a garantirne un monito- raggio e la piena attuazione. 5. Il CoNsuMo DI DroGhE E alCol tra I MINorI 54. Il Comitato, riferendosi al proprio Commen- to generale n. 4, raccomanda che l’Italia adotti le opportune misure per eliminare l’uso di dro- ghe illecite da parte dei minori, attraverso pro- grammi e campagne di comunicazione, attività didattiche sulle competenze esistenziali e la for- mazione di insegnanti, operatori sociali e altre figure rilevanti. Devono essere inclusi program- mi sulla promozione di stili di vita sani tra gli adolescenti per impedire l’uso di alcol e tabacco e sull’applicazione di norme sulla pubblicizza- zione di tali prodotti presso i minori. Il Comitato invita lo Stato parte a presentare le informazioni su tali attività e dati sull’uso di droghe illecite da parte dei minori nel prossimo rapporto perio- dico al Comitato. CRC/C/ITA/CO/3-4, 31 ottobre 2011, punto 54 Il consumo delle sostanze psicoattive, illegali e legali, mostra, nel corso del 2012, alcune leggere variazioni, accentuando, tra i minori, la problematica dell’abuso, ascrivibile in particolare a maggiori difficoltà e disagi esperiti da alcuni sottogruppi specifici. Il consumo di sostanze psicoattive illegali La sostanza psicoattiva illegale maggiormente diffusa rimane la cannabis, il cui consumo, di cui si sottolineano i particolari rischi in età evolutiva, rimane stabile pur evidenziandosi un leggero aumento75. Gli studenti tra i 15 e 19 anni che dichiarano di averne fatto uso nell’ultimo mese sono il 12,9% (uno studente su otto), la metà dei quali consuma occasionalmente o saltuariamente (una o due volte al mese) rispetto a un ragazzo consumatore su cinque e a una ragazza consumatrice su dieci che ne fanno un uso pressoché quotidiano76. Dalle stesse indagini si evidenziano dati contraddittori sul consumo di stimolanti: pur nel più generale trend di leggera contrazione dell’assunzione di cocaina e allucinogeni tra la popolazione generale, tra i 16-17 anni non si verifica nessuna diminuzione, registrando invece un aumento del consumo tra gli studenti che dichiarano di averla assunta negli ultimi 30 giorni, che è indice non solo del consumo, ma della sua tendenziale problematicità, soprattutto se ad essere assunte sono la cocaina basata e il crack. Il consumo di cocaina rilevato negli ultimi 30 giorni nella popolazione studentesca 15-19 anni rimane dell’1,1% (di cui il 70% “tira” una o due volte, mentre l’8,5% ne fa un uso quasi quotidiano, con un aumento del 2,9% rispetto all’anno precedente) 77. Si segnala un notevole aumento del consumo di Ketamina (4,11% versus 1,92% dell’anno precedente, in base al dato ricavato dalle 75 Relazione annuale al Parlamento 2012, Sull’uso di sostanze stupefacenti e sulle tossicodipendenze in Italia, curata dal Dipartimento delle Politiche antidroga ai sensi dell’art. 131 del D.P.R. 309/1990, agosto 2012, disponibile su www.politicheantidroga.it/progetti-e-ricerca/ relazioni-al-parlamento/relazione-annuale-2012/presentazione.aspx 76 Osservatorio sulle droghe di Lisbona, Indagine Espad (European School Survey Project on Alcohol and Other Drugs) 2012. 77 Relazione annuale al Parlamento, op. cit. analisi delle acque reflue)78, da collocarsi sia all’esterno e che all’interno di un mercato di psicofarmaci senza prescrizione medica che, per quanto riguarda sedativi e tranquillanti, contempla un uso del 12% nelle adolescenti femmine e dell’8% negli adolescenti maschi79. Rispetto all’uso di eroina “nel 2012 la contrazione dei consumi sembra essere accompagnata da un aumento della frequenza di assunzione e dell’uso regolare”80. Accanto alla diminuzione degli utilizzatori per via endovenosa, si registra un aumento dell’eroina fumata e delle forme di dipendenza che ne derivano, come emerge anche dalle nuove richieste di trattamento da parte giovanile presso i servizi (dei 33.679 nuovi utenti del 2011, lo 0,3%? ha meno di 15 anni e il 7,5% tra i 15 e 19 anni)81. In generale l’abuso, il consumo problematico e la dipendenza sembrano concentrarsi in alcune fasce specifiche di minori utilizzatori, su cui convergono povertà economico-sociali, sofferenze psichiche individuali e difficoltà d’ordine relazionale. Quattro sembrano i profili dei gruppi minorili più a rischio: 1) minori in cui l’abuso si associa con disturbi della condotta (in prevalenza maschi), disturbi del comportamento alimentare (in prevalenza femmine), o con altre forme di sofferenza psichica, in un difficile percorso di individuazione personale, in cui i comportamenti di “controdipendenza” assumono un marcato aspetto involutivo e di complicanza; 2) minori figli di persone alcoldipendenti e tossicodipendenti; 3) minori appartenenti a nuclei familiari multiproblematici, spesso collocati in contesti degradati, in cui al rischio del consumo si associa spesso il rischio di “arruolamento” nello spaccio. I minori ristretti negli istituti di pena con diagnosi di “abuso di sostanze psicoattive illegali” erano 860 nel 2010, per la grande maggioranza di nazionalità italiana82; 4) minori stranieri non accompagnati che intraprendono percorsi come “pusher” o minori stranieri di se 78 Ibidem 79 Osservatorio sulle droghe di Lisbona, op.cit. 80 Relazione annuale al Parlamento 2012, op. cit. 81 Relazione annuale al Parlamento 2012, op. cit. 82 Rilevazioni del Dipartimento della Giustizia Minorile ed elaborate dall’Ufficio I del capo dipartimento – servizio statistica, citato in Relazione annuale al Parlamento 2012. conda generazione in aperto conflitto con la famiglia riconducibili ai gruppi 1 e 3. In termini di intervento preventivo, più che le campagne di sensibilizzazione d’ordine generale, si rivelano più efficaci le iniziative di prevenzione selettiva e indicata, già conosciute come “prevenzione secondaria”, in grado di formulare proposte di coinvolgimento attivo dei gruppi a rischio, in cui sono già presenti pratiche di policonsumo e abuso, oltre a esperienze di marginalità spesso altamente stigmatizzate. le sostanze psicoattive legali: alcol e tabacco Alcol e tabacco risultano essere le sostanze psicoattive più consumate dai minorenni. Anche per questo motivo la legislazione italiana ha introdotto con la Legge 186/2012, a partire dal primo gennaio 2013, il divieto di vendere alcol e tabacco ai minori di anni 18. Alcol, tabacco e cannabis costituiscono la triade di sostanze più diffuse tra la popolazione adulta generale e, di conseguenza, anche tra i minorenni. Per quanto riguarda l’alcol, le più recenti indagini Multiscopo ISTAT-ISS83, pur riscontrando in generale una diminuzione dei consumi, segnalano l’aumento tra i giovani (14-24 anni) del consumo di bevande alcoliche fuori pasto. La progressiva contaminazione dello stile del bere anglosassone con quello mediterraneo si evidenzia anche con l’aumentata preferenza dei giovani italiani (14-24 anni) per la birra seguita da aperitivi e superalcolici84. A livello europeo, la percentuale dei giovani italiani che consumano alcol almeno una volta alla settimana, risulta essere tra le più elevate85. Lo studio Espad86 rileva che se l’85,5% tra gli studenti 15-19enni ha consumato alcol almeno una volta nella vita, il 79,9% lo ha fatto nell’ultimo anno e il 59,1% nell’ultimo mese. Rispetto a questi ultimi, l’86,4% ha consumato 83 Istat, Indagine Multiscopo sulle Famiglie-Aspetti della vita Quotidiana. Anno 2011, su www.istat.it 84 Doxa (Osservatorio permanente sui giovani e alcol): www.alcol.net (sezione pubblicazioni). 85 HBSC (Health Behaviour in School-aged Children): www.hbsc.org 86 Osservatorio sulle droghe di Lisbona, Indagine Espad, op. cit. da 1 a 9 volte (in maniera saltuaria); l’8,5% dalle 10 alle 19 volte (più regolarmente) e il 5% 20 o più volte (quotidianamente). Ma se i dati relativi ai consumatori di bevande alcoliche mostrano percentuali più elevate per i giovani italiani rispetto ai coetanei di altri Paesi europei, per quanto riguarda invece i consumi eccessivi e gli episodi di ubriachezza tutte le ricerche concordano nel mostrare un’incidenza molto meno elevata tra gli adolescenti italiani e, in generale, di tutta l’area mediterranea, rispetto ai coetanei del Centro e del Nord Europa: tra i 15enni intervistati nell’ambito dell’ultima indagine HBSC, il 14% delle ragazze e il 19% dei ragazzi italiani affermano di essersi ubriacati due o più volte nel corso della propria vita rispetto alla media europea del 29% per le femmine e del 34% per i maschi87. Rispetto al “Binge drinking”, l’abbuffata alcolica di cinque-sei bicchieri di bevande alcoliche fuori pasto e in un arco di tempo relativamente breve, i dati non appaiono invece concordi: se ISTAT-ISS 2012 rileva una diminuzione del binge drinking tra i giovanissimi, contro un lieve aumento della fascia di età 18-24 anni, la Doxa, riportando il dato complessivo della fascia di età 13-24 anni, sottolinea un aumento dal 10,4% al 14,5% che ha interessato in modo significativo i 20-24enni ma anche i giovanissimi di 13-15 anni. Per quanto riguarda il tabacco, le rilevazioni annuali e biennali fornite dall’ESPAD e dall’EMCCDA88, relative all’assunzione di tabacco tra gli studenti adolescenti di 15-16 anni, evidenziano come il 36% dichiari di aver fumato nell’ultimo mese, dietro solo all’Austria (45%) e Francia (38%) per quanto riguarda i paesi dell’Europa occidentale (nell’Est Europa si fuma di più). Il confronto con la rilevazione di 5 anni prima è significativo, non tanto per la “buona notizia” della leggera flessione (dal 39% al 36%), confermata anche dall’indagine Doxa 2012 per conto dell’Osservatorio fumo e alcol dell’ISS (il consumo quotidiano di tabacco nella po 87 Beccaria F., “Alcol e giovani. Riflettere prima dell’uso”, Giunti-Gruppo Abele, Firenze, 2013 88 EMCDDA, “Annual report on the state of the drugs problem in Europe”, Lisbon, November 2012, www.emcdda.europa.eu/events/2012/ annual-report polazione generale con più di 15 anni cala da 22,7% nel 2011 al 20,8% nel 2012: in pratica fuma 1 italiano su 5), quanto per la “cattiva notizia” dell’inversione di prevalenza tra consumo maschile e femminile (74% m. e 34% f. nel 2007 versus 36% m. e 37% f. nel 2011). Rispetto all’età di inizio, l’esordio si colloca per il 44,8% tra 14 e 17 anni, per il 37,3% tra 18 e 21 anni; l’inizio precoce (prima dei 14 anni) riguarda il 6% dei maschi e il 3,7% delle femmine (ISTAT 2006). Per quanto riguarda le iniziative di prevenzione relative alle “droghe” legali si pongono come prioritari interventi multi-livello: da una più stringente regolamentazione della pubblicità a un maggiore rigore nei controlli, agli interventi diretti ai giovani a rischio e più esposti alle esperienze di abuso, con iniziative che mirino: a) all’intercettazione precoce dell’uso problematico; b) al posticipo dell’età di esordio; c) alle iniziative di prevenzione selettiva e indicata; d) alla riduzione della frequenza del consumo quotidiano. l’allarme del gioco d’azzardo Accanto ai consumi e alla dipendenza da sostanze psicoattive legali e illegali stanno aumentando le cosiddette dipendenze comportamentali, tra cui quella da gioco d’azzardo89. Nell’introduzione alla Relazione al Parlamento del 2012, il Ministro per la Cooperazione Internazionale e l’Integrazione sottolinea che “si stanno diffondendo forme di dipendenza legate al gioco d’azzardo anche tra la popolazione studentesca…”. Si stima che l’impennata dell’offerta di gioco d’azzardo nel corso del primo decennio del 2000, avvenuta in un regime di progressiva deregulation rispetto alla norma del codice penale che pur lo vieta espressamente (e che ha portato un fatturato complessivo del settore di 70 miliardi, di cui 9 all’erario dello Stato)90, si stima abbia indotto dipendenza in almeno il 2% dei giocatori (tra cui alcune migliaia di minorenni)91. 89 Si veda anche infra, Capitolo VI, paragrafo “Il diritto al gioco”. 90 Poto D., “Azzardopoli – Quando il gioco si fa duro, le mafie iniziano a giocare”, I quaderni di Libera, 2012. 91 Ricerca nazionale sulle abitudini del gioco d’azzardo a cura dell’Associazione “Centro sociale Papa Giovanni XXXIII”, coordinata dal “Conagga”, novembre 2011. Una recente indagine92 sulla diffusione del gioco d’azzardo nell’infanzia (7-11 anni), mette in rilievo la precocità della diffusione del fenomeno tra i bambini: uno su quattro ne risulta in qualche modo coinvolto. Risulta che il gioco prediletto dai bambini è il Gratta e Vinci, seguito dalla altre lotterie e dal Bingo, ma il 7,8% dei bambini ha giocato a video-poker e il 6,9% alle slot machines. La stessa indagine stima che per gli adolescenti (12-16 anni) il canale del gioco a soldi on-line coinvolga il 12% dei ragazzi, mentre più del doppio (27%) è “preso” dai giochi d’azzardo non on-line. Le scommesse sportive on-line coinvolgono un giocatore adolescente su cinque, ma il dato raggiunge il 44,6% se comprende anche chi vi gioca qualche volta o raramente, una percentuale pressoché analoga rispetto a coloro che invece dichiarano di non avervi mai giocato. Nell’indagine vengono evidenziati i sintomi di un comportamento che diventa mano a mano compulsivo e i segnali di un gioco che si fa problematico: capita infatti al 24,9% dei ragazzi di perdere molti soldi, mentre il 25,2% sente di frequente l’esigenza di giocare. Il 16,4% tende a giocare tutti i soldi che ha a disposizione, il 15,1% ha sviluppato l’abitudine di prender soldi in casa o dove capita, e infine il 13% è diventato solito chiedere denaro in prestito ad amici e parenti. Pertanto il Gruppo CRC raccomanda: 1. Al Governo e al Parlamento di emanare una legislazione più restrittiva in merito alla pubblicità delle bevande alcoliche, e di mutare radicalmente l’insieme dell’at- tuale normativa in deroga al divieto del gioco d’azzardo, allo scopo di limitare l’at- tuale proliferazione dell’offerta; 2. Alle Regioni, le Asl e gli Enti Locali di sostenere le iniziative di prevenzione, in particolare, come suggerito dall’OMS, di non sacrificare al contenimento e alla ri- duzione della spesa pubblica, sia l’orga- nicità dei piani “trasversali” di promozio- ne alla salute, che necessitano di essere riprogrammati nelle loro triennalità, sia 92 Eurispes e Telefono Azzurro “Indagine conoscitiva sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia”, 2012. gli interventi selettivi e indicati sui gruppi più esposti ai pericoli dell’abuso delle so- stanze psicoattive, che hanno lo scopo di fungere da fattore protettivo, contenendo i rischi e intercettando precocemente le si- tuazioni più problematiche. gli interventi selettivi e indicati sui gruppi più esposti ai pericoli dell’abuso delle so- stanze psicoattive, che hanno lo scopo di fungere da fattore protettivo, contenendo i rischi e intercettando precocemente le si- tuazioni più problematiche. 6. Il turIsMo sEssualE a DaNNo DI MINorI Rispetto ai precedenti Rapporti CRC, la situazione resta sostanzialmente immutata. Le Organizzazioni Non Governative che operano nei cosiddetti paesi di “destinazione” continuano a rilevare la presenza di italiani. A causa della crisi economica mondiale, si registra un decremento dei flussi turistici in generale e di conseguenza un decremento di viaggi finalizzati a consumare sesso con minori all’estero, o che ne creano l’opportunità. Quanto all’applicazione della Legge 269/1998, l’unica forma di monitoraggio sono le relazioni prodotte annualmente dal Dipartimento delle Pari Opportunità, a cura dell’Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile. Tuttavia, la stesura della relazione finale non è il prodotto di un’analisi condotta attraverso uno scambio tra Istituzioni, bensì di uno scambio di informazioni fornite in gran parte da alcune delle Associazioni impegnate nella tutela dei minori dall’abuso e dallo sfruttamento sessuale a fini commerciali. Ulteriori verifiche sullo stato di attuazione della legge sono effettuate in ambito turistico, contesto diverso dalla tutela dei diritti dell’infanzia; verifiche condotte dalle Associazioni di categoria del settore turistico in collaborazione con ONG. L’assenza di qualsiasi verifica istituzionale comporta che anche nel 2012 non sia stata erogata alcuna sanzione, ma ciò non certifica che tutto il materiale prodotto risponda alle specifiche di legge. Prosegue l’attività di formazione, sempre a cura del privato sociale93, presso l’Istituto Diplomatico e per specifiche categorie di profes 93 “Alla formazione tra rappresentati (diplomatici, consolari e degli Istituti di Cultura all’estero) italiani in partenza per 33 Paesi, che ECPAT definisce “a rischio” causa l’alto tasso di turisti sessuali italiani. Paesi come la Thailandia o la Cambogia, Brasile e Repubblica Dominicana, Kenya e Nigeria, Romania e Moldavia. sionisti (avvocati, magistrati, operatori di vario livello del settore turistico, scuole primarie e secondarie, università). Le campagne di sensibilizzazione ed il lavoro di analisi sul fenomeno sembrano aver ritrovato una nuova spinta, pur trattandosi di contesti internazionali ed europei. Soprattutto per quanto concerne l’ambito europeo, a dicembre 2011 il Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato una direttiva (92/2011) per invitare gli Stati Membri e tutti gli attori sociali ad assumere iniziative concrete contro lo sfruttamento sessuale dei minori. La direttiva cita anche lo sfruttamento sessuale dei minori nel turismo94. I grandi eventi internazionali sono divenuti un’altra occasione per porre attenzione sul problema dello sfruttamento sessuale nei viaggi e nel turismo. In previsione della prossima Coppa del Mondo di calcio (Brasile 2012) e delle Olimpiadi (Brasile 2016) sono state intraprese iniziative di sensibilizzazione sulla problematica. Iniziative sia finanziate dall’Unione europea, che autonomamente realizzate da Associazioni95. Tuttavia, in un contesto prettamente internazionale, continuano a mancare campagne di sensibilizzazione e di informazione da realiz 94 Direttiva 2011/92/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011 relativa alla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, e che sostituisce la decisione quadro 2004/68/GAI del Consiglio 95 La Commissione europea ha finanziato il Progetto “Safe Host”. Il progetto ha una durata di 12 mesi, a partire da dicembre 2012. L’obiettivo è quello di favorire l’istituzione del tavolo di dialogo sociale europeo del turismo, incoraggiando gli scambi e le sinergie tra gli attori sociali di tutta la filiera, a partire dalla condivisione di azioni per la lotta allo sfruttamento sessuale dei minori nel turismo e l’attuazione della Direttiva 2011/92/UE sul tema. Per maggiori informazioni si veda www.filcams.cgil.it/info.nsf/7f7215633bfbdc72c1257 aca005b9ff7/$file/2012%2001%2018%20SAFE%20HOST%20presentazione% 20Guglielmi_ENG.pdf?OpenElement; L’Unione europea ha co-finanziato il progetto “Don’t Look Away – be aware & report the sexual exploitation of children in travel and tourism!”, commonly called “Don’t Look Away”. Il progetto ha una durata di 3 anni, a partire da novembre 2012. L’obiettivo è quello di favorire la protezione dei bambini nei Paesi del Sud del mondo dallo sfruttamento sessuale a fini commerciali perpetrato anche da turisti, abbassando quindi, il livello di tolleranza sociale nei confronti delle violazioni dei diritti dei bambini. Per maggiori informazioni si veda http://stopchildsextourism. ch/web/. Si veda infine anche il Progetto “Un altro viaggio è possibile” realizzato da Demetra Onlus, in collaborazione con ECPAT-Italia e Fiab. Il progetto durerà fino al 2014 e ha coinvolto, nel 2012, Italia e Brasile, a seguire Germania, Portogallo, Inghilterra, Francia e Spagna. L’obiettivo è quello di sensibilizzare sullo sfruttamento sessuale dei bambini da parte di stranieri, in vista dei mondiali 2014, che si terranno in Brasile www.fiab-onlus.it/altroviaggio.htm zare nei Paesi dove maggiormente è presente questo fenomeno e nei quali si continua a rilevare la presenza di turiste/i italiane/i. Tale attività di sensibilizzazione e di informazione avrebbe lo scopo di promuovere presso le/i turiste/i italiane/i comportamenti e atteggiamenti corretti e consapevoli rispetto al fenomeno del turismo sessuale con minori e presso i Paesi di destinazione svolgerebbe un’azione di prevenzione primaria per i minori e le loro famiglie. L’impegno dell’industria turistica, comprese le industrie firmatarie del Codice di Condotta, sì è notevolmente ridotto. Nel 2008, The Code96 ha introdotto nuove regole sia per quanto riguarda l’adesione che l’attuazione dello stesso. L’Italia, avendo introdotto il Codice di Condotta nel CCNL del turismo già nel 2003, non riesce a trovare una modalità per far coesistere i due codici. Prosegue l’attività di cooperazione internazionale per la sensibilizzazione e costruzione di reti di turismo responsabile in Paesi colpiti dal turismo sessuale97. A completamento del percorso intrapreso nel 2010, il Consiglio di Roma Capitale ha introdotto nel bilancio lo stanziamento di fondi per una campagna di sensibilizzazione presso gli aeroporti romani98 in collaborazione con un’associazione del Terzo Settore. Pertanto il Gruppo CRC raccomanda: 1. Al Ministero degli Affari Esteri, al Mini- stero della Giustizia e al Ministero dell’In- terno, come già raccomandato nei pre- cedenti Rapporti CRC, di adoperarsi per garantire una maggiore cooperazione tra l’Italia e i principali Paesi di destinazione, attraverso la stipula di protocolli d’intesa che facilitino l’attività investigativa e dun- que l’applicazione del principio di extrater- ritorialità, previsto dalla Legge 269/1998 e per attivare campagne di sensibilizzazione e di informazione sia in Italia sia presso i Paesi di destinazione più frequenti. A tal fine è auspicabile la stipula di protocolli d’intesa con i Governi che coinvolgano gli stakeholders locali; 2. Al Ministero della Giustizia, nella piena accezione del principio di extraterritoriali- tà, di sollecitare la procedibilità d’ufficio per il reato di cui all’art. 609 quater (atti sessuali con minorenni) nei confronti di re- ati commessi all’estero; 3. Al Ministero dello Sviluppo Economico di prevedere dei moduli formativi, all’interno della formazione continuata, per gli opera- tori del settore turistico ed alberghiero che illustrino il problema e forniscano strumen- ti per l’attivazione di misure di contrasto. 7. la PEDoPorNoGrafIa 75. Il Comitato raccomanda vivamente che l’Ita- lia: (a) armonizzi la legislazione nazionale con il Pro- tocollo opzionale sulla vendita dei bambini, la prostituzione dei bambini e la pornogra- fia rappresentante bambini, introducendo, in particolare, una definizione del concetto di pornografia minorile all’interno del proprio Codice Penale; (b) […]; (c) provveda all’identificazione e alla protezione delle vittime, anche attraverso la formazione specialistica e il potenziamento delle risorse assegnate all’Unità di analisi del materiale pe- dopornografico; (d) garantisca il funzionamento efficace dell’Os- servatorio per il contrasto della pedofilia e pornografia minorile nominando i rispettivi membri e rendendo funzionale il data base volto al monitoraggio di tali reati. CRC/C/ITA/CO/3-4, 31 ottobre 2011, punto 75 L’abuso sessuale dei minori online rappresenta una particolare declinazione dell’abuso sessuale per il modo attraverso cui si sviluppa, l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Possiamo riassumere le varie forme in cui si esplica secondo due tipologie 96 Organizzazione Non Governativa con sede negli Stati Uniti. www. thecode.org principali: 97 La diffusione del turismo responsabile come strumento per preveni a) la produzione, la distribuzione, il download re lo sfruttamento sessuale è promossa da AITR (Associazione Italiana Turismo Responsabile), attraverso iniziative e progetti che realizzano i e la visualizzazione del materiale pedoporsoci in partnership (ONG ed organizzatori di viaggi). nografico e dell’abuso (sia immagini statiche 98 31 ottobre 2012. che video), che prevede un ruolo “passivo” dei minori vittime; b) la sollecitazione online o via cellulare – da parte di un adulto – di bambini e adolescen ti per la produzione di materiale; le sessioni in chat – anche con l’ausilio della webcam – a scopo sessuale o altra attività sessuale online, in cui sono coinvolti minori, sempre sollecitati da un adulto; l’adescamento di minori online con l’obiettivo di ottenere un incontro offline a scopo sessuale. Il coinvolgimento online in attività sessuali spesso prevede un ruolo “attivo” da parte dei minori coinvolti. Nel 2012, l’Italia ha finalmente ratificato con la Legge 172/2012 la Convenzione di Lanzarote, come raccomandato dal Gruppo CRC nel 5° Rapporto CRC. La ratifica ha portato ad una serie di modifiche e norme aggiuntive alla legislazione vigente, tra cui si segnalano: l’introduzione del nuovo reato di “adescamento di minorenni” (art. 609 undecies c.p.) e di “istigazione a pratiche di pedofilia e pedopornografia99, di prostituzione minorile, pornografia minorile, detenzione di materiale pornografico” (art. 414 bis); la previsione “dell’impossibilità di appellarsi all’ignoranza dell’età della persona offesa, minore di anni 18, nei delitti di […] pornografia minorile, detenzione di materiale pedopornografico, […] adescamento di minorenne e corruzione di minorenne”; l’opportunità per i minori vittime di “essere assistiti in ogni fase del procedimento giudiziario dal supporto emotivo e psicologico di operatori, di gruppi, fondazioni, associazioni o organizzazioni non governative di comprovata esperienza nella cura e sostegno alle vittime e iscritte in un apposito elenco dei soggetti legittimati a operare in tal senso, con il consenso del minore e ammessi dall’Autorità Giudiziaria che procede”; l’estensione “dell’accesso al gratuito patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito previsti dalla legge, per i minori vittima di […] pornografia, […] corruzione e adescamento a scopo sessuale”; l’introduzione 99 Individuato nella condotta di chi, con qualsiasi mezzo e con qualsiasi forma di espressione, pubblicamente istiga a commettere, in danno di minorenni, uno o più delitti (anche pornografia virtuale), iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile, violenza sessuale, atti sessuali con minorenne, corruzione di minorenne. del “trattamento psicologico per i condannati per reati sessuali in danno di minori”; l’introduzione della definizione di pornografia minorile ispirata a quella contenuta nel Protocollo opzionale alla CRC sulla vendita di bambini, la prostituzione minorile e la pedopornografia minorile: “per pornografia minorile si intende ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali.” Ad oggi, le diverse strutture preposte si stanno adeguando alle nuove misure introdotte. È prematuro valutare l’impatto di tali innovazioni, ma ci riserviamo di monitorarne l’applicazione nel corso del prossimo anno anche in virtù della nuova Direttiva europea sullo sfruttamento e abuso sessuale dei minori entrata in vigore nel dicembre 2011. L’Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile – istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ai sensi dell’articolo 20 della Legge 38/2006 – è l’organo competente ad acquisire e monitorare i dati e le informazioni relative alle attività, svolte da tutte le pubbliche amministrazioni, per la prevenzione e la repressione della pedofilia. A tale fine la legge ha autorizzato l’istituzione, presso l’Osservatorio, di una banca dati per raccogliere, con l’apporto delle Amministrazioni centrali, tutte le informazioni utili per effettuare una mappatura del territorio e il monitoraggio del fenomeno. Secondo le informazioni pervenute dal Dipartimento Pari Opportunità (DPO) “l’elemento fortemente innovativo di questo nuovo strumento sarà rappresentato dal cambio di prospettiva rispetto ai sistemi informativi già esistenti: si tratterà infatti di spostare il focus di attenzione dagli autori del reato e dal reato stesso al minore vittima, facendo di esso il principale soggetto di analisi”. “Al momento, si è scelto di inserire all’interno del PSN 20142016 la progettualità relativa alla realizzazione della banca dati dell’Osservatorio, sotto forma di studio progettuale (STU), con l’obiettivo di dar vita successivamente ad una fonte informativa di statistiche derivate o rielaborazioni”. Tuttavia, come lamentato anche nei precedenti Rapporti CRC, tale banca dati, a distanza di 7 anni dalla data di entrata in vigore della Legge, non è ancora disponibile ed operativa. In merito alla richiesta di informazioni sui fondi destinati all’Osservatorio – che nel 2006 ammontavano a 1.500.000 euro, nel 2007 e 2008 a 750.000 euro, anche se nel 2008 la Legge finanziaria aveva messo a disposizione dell’Osservatorio 6.000.000 euro, il Gruppo CRC ha ricevuto un riscontro da parte del DPO, che si riporta di seguito.100 101 In merito a tali spese, colpisce il fatto che a dal DPO, “in data 20 dicembre 2012 è stata trasmessa alle componenti del Comitato Interministeriale di Coordinamento per la Lotta alla Pedofilia (C.I.C.Lo.Pe.) e dell’Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile, la proposta di macrostruttura per il periodo 2013-2015.” Ad oggi tale piano non è ancora stato pubblicato. Parte del fenomeno della pedopornografia su Internet non è connesso ad aspetti commerciali. In alcuni casi come testimoniano le immagini presenti in Rete, gli adolescenti utilizzano ampiamente le immagini, le producono Riassunto costi Euro L’Avviso pubblico 1/2011 per la concessione di contributi per il sostegno a progetti pilota per il trattamento di minori vittime di abuso e sfruttamento sessuale, previsto nella Direttiva generale per l’azione amministrativa e la gestione per l’anno 2011 del Ministro pro tempore per le Pari Opportunità. 2,8 mil L’evento lancio della Campagna del Consiglio d’Europa per combattere la violenza sessuale sui minori, organizzato a Roma, il 29 e 30 Novembre 2010, e ospitato dal Ministro pro tempore per le Pari Opportunità. 190.146,04 Diffusione materiale illustrativo Campagna di comunicazione Coe “One in five”. 19.637,64 Il finanziamento per un triennio del Servizio Emergenza Infanzia 114 a partire da maggio 2010. 4,5 mil Il finanziamento della campagna di comunicazione “114: la Linea che divide i minori dalla violenza”, per la promozione del Servizio Emergenza Infanzia 114. 152.469,00 La Conferenza internazionale “Il ruolo della cooperazione internazionale nel combattere la violenza sessuale sui minori” svoltosi a Roma il 29-30 novembre 2012 presso la sede del Ministero degli Affari Esteri. L’evento, organizzato d’intesa con il Consiglio d’Europa ed il Ministero degli Affari Esteri, ha risposto alla finalità di promuovere l’implementazione della Convenzione di Lanzarote a livello internazionale. 3.811,00 La realizzazione di un portale web dell’Osservatorio per il contrasto alla pedofilia. 100 2.528.603,93101 + 341.382,35 Banca dati. 94.800,00 più IVA fronte di un finanziamento di oltre 10 milioni di euro (di cui quasi 3 milioni investiti per la realizzazione del portale web), la banca dati non sia stata ancora attivata. In merito al Piano biennale nazionale di prevenzione e contrasto dell’abuso e dello sfruttamento sessuale, secondo quanto comunicato 100Il Dipartimento, nell’ambito di quanto previsto nel Contratto Quadro 4/2007 per l’affidamento della progettazione, realizzazione e gestione di servizi di siti web e conduzione sistemi – “Sistema Pubblico di Connettività – SPC”, ha commissionato lo sviluppo del Portale dell’Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile che è stato messo in linea all’indirizzo www.osservatoriopedofilia. gov.it 101 Sviluppo e progettazione aderendo alla Convenzione Quadro Consip 4/2007, più l’hosting riferito all’2012-2013 utilizzando la Convenzione SPC multi fornitore); o partecipano in modo attivo alla loro produzione, sia tra di loro che con la partecipazione di soggetti adulti. È indubbio che tra questi ultimi possono celarsi anche potenziali abusanti, interessati non solamente allo scambio di materiale, ma anche alla ricerca di contatto diretto con bambini e adolescenti. In questo caso, assicurare l’acquisizione di competenze digitali adeguate rappresenta uno strumento di prevenzione essenziale, che l’Agenda Digitale Italiana e la corrispondente Agenzia in carico della sua applicazione, dovrebbero considerare come una delle priorità, in linea con quanto avviene in sede europea, sottolineando il ruolo fondamentale svolto della scuola. 6orapportodiaggiornamento2012-2013143 i diritti dell’infanzia importante, inoltre, investire sulla formazione degli operatori socio-sanitari, degli educatori, degli insegnanti, per introdurre nei programmi di formazione e aggiornamento elementi che consentano di conoscere meglio questi feno- meni e le loro implicazioni, sia in termini pre- ventivi che di presa in carico delle vittime. In particolare, è necessario un approfondimento delle dinamiche dell’abuso on line che con- sentano valutazioni appropriate e programmi terapeutici, nello specifico programmi terapeu- tici per le vittime preadolescenti e adolescenti, che spesso non riconoscono il loro ruolo di vittime, e di sostegno alle famiglie per gestire l’impatto dell’abuso stesso. È importante realizzare reti di protezione e collaborazioni fra enti e istituzioni (Servizi- Socio-Sanitari, Polizia Postale, Magistratura), per definire percorsi condivisi e prassi di presa in carico del fenomeno che garantiscano inter- venti tempestivi e rispettosi delle vittime per evitare vittimizzazioni secondarie. Sempre in termini di prevenzione, è urgente porre l’attenzione anche sugli abusanti, o po- tenziali tali, i quali, oltre a scontare una giusta pena, devono avere una possibilità di recupero per evitare il rischio di recidiva, così come il rischio di una escalation del crimine. È infat- ti oramai consolidato che la fruizione passiva delle immagini pedopornografiche attraverso la Rete è espressione di un interesse che, se alimentato, può portare all’uso della violenza. Secondo i dati forniti dal Centro Nazionale per il Contrasto della Pedopornografia su Internet (C.N.C.P.O.), istituito dalla Legge 38/2006 in seno alla Polizia Postale e delle Comunicazio- ni102, la detenzione e la diffusione di materiale pedopornografico, rappresenta uno tra i reati più contestati e diffusi nel nostro Paese. 102Per maggiori informazioni sul Centro si vedano i precedenti Rap- porti CRC www.gruppocrc.net/MINORI-IN-SITUAZIONE-DI-SFRUTTAMEN- TO-Sfruttamento-e-abuso-SESSUALE DATI attività C.N.C.P.O. Anno 2012 (dati aggiornati al 30 novembre 2012) Attività di contrasto Arresti 78 Denunce 327 Identificazione di minori vittime di abusi 27 Identificazione di minori adescati 37 Attività di prevenzione Siti monitorati 24.610 Nuovi siti inseriti in black list 461 Totale siti in black list 1.486 L’identificazione delle vittime rimane un pro- blema centrale: nel corso degli ultimi anni sono stati fatti passi avanti, così come evidenziato dai dati forniti dal Centro, ma riteniamo essen- ziale assicurare un follow-up degli interventi per individuare punti di forza e di debolezza delle strategie sinora perseguite. Pertanto il Gruppo CRC raccomanda: 1. Al Dipartimento Pari Opportunità di mo- nitorare e supportare l’attività dell’Osser- vatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile affinchè sia ef- fettivamente operativo; 2. All’Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile di rendere operativa la banca dati in relazio- ne al fenomeno dell’abuso sessuale dei minori; 3. All’Osservatorio per il contrasto del- la pedofilia e della pornografia minorile di adottare entro il 2013 il Piano bienna- le nazionale di prevenzione e contrasto dell’abuso e dello sfruttamento sessuale dei minori 2013-2015, che dovrebbe conte- nere azioni in merito al trattamento degli abusanti, la formazione degli operatori, e l’implementazione delle reti. 143 i diritti dell’infanzia importante, inoltre, investire sulla formazione degli operatori socio-sanitari, degli educatori, degli insegnanti, per introdurre nei programmi di formazione e aggiornamento elementi che consentano di conoscere meglio questi feno- meni e le loro implicazioni, sia in termini pre- ventivi che di presa in carico delle vittime. In particolare, è necessario un approfondimento delle dinamiche dell’abuso on line che con- sentano valutazioni appropriate e programmi terapeutici, nello specifico programmi terapeu- tici per le vittime preadolescenti e adolescenti, che spesso non riconoscono il loro ruolo di vittime, e di sostegno alle famiglie per gestire l’impatto dell’abuso stesso. È importante realizzare reti di protezione e collaborazioni fra enti e istituzioni (Servizi- Socio-Sanitari, Polizia Postale, Magistratura), per definire percorsi condivisi e prassi di presa in carico del fenomeno che garantiscano inter- venti tempestivi e rispettosi delle vittime per evitare vittimizzazioni secondarie. Sempre in termini di prevenzione, è urgente porre l’attenzione anche sugli abusanti, o po- tenziali tali, i quali, oltre a scontare una giusta pena, devono avere una possibilità di recupero per evitare il rischio di recidiva, così come il rischio di una escalation del crimine. È infat- ti oramai consolidato che la fruizione passiva delle immagini pedopornografiche attraverso la Rete è espressione di un interesse che, se alimentato, può portare all’uso della violenza. Secondo i dati forniti dal Centro Nazionale per il Contrasto della Pedopornografia su Internet (C.N.C.P.O.), istituito dalla Legge 38/2006 in seno alla Polizia Postale e delle Comunicazio- ni102, la detenzione e la diffusione di materiale pedopornografico, rappresenta uno tra i reati più contestati e diffusi nel nostro Paese. 102Per maggiori informazioni sul Centro si vedano i precedenti Rap- porti CRC www.gruppocrc.net/MINORI-IN-SITUAZIONE-DI-SFRUTTAMEN- TO-Sfruttamento-e-abuso-SESSUALE DATI attività C.N.C.P.O. Anno 2012 (dati aggiornati al 30 novembre 2012) Attività di contrasto Arresti 78 Denunce 327 Identificazione di minori vittime di abusi 27 Identificazione di minori adescati 37 Attività di prevenzione Siti monitorati 24.610 Nuovi siti inseriti in black list 461 Totale siti in black list 1.486 L’identificazione delle vittime rimane un pro- blema centrale: nel corso degli ultimi anni sono stati fatti passi avanti, così come evidenziato dai dati forniti dal Centro, ma riteniamo essen- ziale assicurare un follow-up degli interventi per individuare punti di forza e di debolezza delle strategie sinora perseguite. Pertanto il Gruppo CRC raccomanda: 1. Al Dipartimento Pari Opportunità di mo- nitorare e supportare l’attività dell’Osser- vatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile affinchè sia ef- fettivamente operativo; 2. All’Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile di rendere operativa la banca dati in relazio- ne al fenomeno dell’abuso sessuale dei minori; 3. All’Osservatorio per il contrasto del- la pedofilia e della pornografia minorile di adottare entro il 2013 il Piano bienna- le nazionale di prevenzione e contrasto dell’abuso e dello sfruttamento sessuale dei minori 2013-2015, che dovrebbe conte- nere azioni in merito al trattamento degli abusanti, la formazione degli operatori, e l’implementazione delle reti. 8. Il fENoMENo DElla ProstItuzIoNE MINorIlE IN ItalIa 75. Il Comitato raccomanda vivamente che lo Stato parte: (b) elabori e implementi una strategia per la prevenzione dello sfruttamento e degli abusi sessuali, ponendo l’accento sui gruppi di mi- nori più vulnerabili, tra cui i minori rom; (e) riorganizzi l’Osservatorio sulla prostituzione e sui fenomeni delittuosi ad essa connessi o ne affidi il mandato e le attività ad un organismo esistente al fine di garantire il monitoraggio della prostituzione infantile e dell’abuso di minori. CRC/C/ITA/CO/3-4, 31 ottobre 2011, punto75 Non è facile fornire delle cifre sulla portata del fenomeno della prostituzione minorile sulle strade italiane, né rappresentarne le esperienze di vita. Dalla fine degli anni 90 si è lavorato per inquadrare la tematica in termini quantitativi, e di analizzarne la consistenza e le dimensioni. Tali significativi tentativi hanno contribuito all’individuazione di elementi importanti per fare maggior luce in un fenomeno articolato e al contempo sfuggente, ed hanno offerto degli orientamenti sui quali impostare il lavoro successivo a favore dei minori che si prostituiscono in Italia. È dunque opportuno ragionare sulla necessità di strutturare competenze di identificazione di tali vittime da parte degli operatori di strada unitamente ai servizi preposti per la tutela dei minori. I dati ufficiali del fenomeno sono quelli elaborati dal Dipartimento per le Pari Opportunità, concernenti gli inserimenti di vittime di tratta (che includono una parte considerevole delle minori che si prostituiscono) in programmi di protezione sociale ai sensi dell’art. 18 del T.U. sull’immigrazione straniera n.286/98 e dell’art.13 della Legge 228/2000 sulla tratta di persone. Le ricerche realizzate sulla prostituzione minorile in Italia non sono state molte, ma senza dubbio nell’ultimo decennio ce n’è stata qualcuna di grande rilievo103. La ricerca condotta nel 103Unicri-Cooperazione Italiana-Associazione Parsec, “La tratta delle minorenni nigeriane in Italia. I dati, i racconti, i servizi sociali”, Roma 2010. 2011 da alcune associazioni del Gruppo CRC104 evidenzia come quasi tutte le organizzazioni che si occupano di tratta e di prostituzione abbiano riscontro di casi di minori (sia nella rilevazione in strada, che nell’indoor e nella presa in carico). Tale elemento è validato anche da organizzazioni che non lavorano direttamente sulla prostituzione minorile ma sui minori stranieri in genere. Il 60% degli operatori intervistati ritiene che ci sia un 10% di minori all’interno del mondo della prostituzione in Italia, mentre il restante 40% si spinge ben oltre tale percentuale. Il 67% degli intervistati ritiene che il fenomeno della tratta e prostituzione minorile sia stabile, mentre il 22% degli operatori rileva una crescita del fenomeno e addirittura l’11% una forte crescita. Se si vogliono fare alcune approssimazioni quantitative del fenomeno della prostituzione minorile, ci sono alcune variabili che vanno tenute in considerazione: le presenze in strada delle persone che si prostituiscono, la prostituzione indoor (con una presenza di minori stimabile anch’essa almeno sul 10% del totale105), l’aumento dell’immigrazione minorile in questi ultimi anni e in particolare in quello da poco terminato. Volendo soffermarsi sulle fenomenologie emergenti della prostituzione minorile va innanzitutto stigmatizzato il fatto che la prostituzione minorile si sviluppa a partire da una situazione di tratta a fini di sfruttamento sessuale. In secondo luogo c’è una forte presenza della prostituzione minorile maschile, anche se non del tutto strutturata e cristallizzata: in alcuni periodi le presenze appaiono massicce, in altri si verificano sparizioni totali. Evidentemente c’è uno spostamento, una modalità quasi di assestamento della prostituzione minorile maschile nelle grandi città, che comunque è fortemente presente. La prostituzione maschile coinvolge in parte significativa, a detta degli operatori intervistati, le comunità rom, andrebbe quindi sviluppata un’azione fortemente correlata con le organizzazioni rom che possono fare da ponte e da mediazione sociale con i gruppi di 104Dossier “I piccoli schiavi invisibili” a cura di Save the Children in collaborazione con l’Associazione On the Road, consultabile su http:// images.savethechildren.it/IT/f/img_pubblicazioni/img153_b.pdf 105Fonte: Stima dell’Associazione On the Road, sulla base dei riscontri delle unità di strada e dei propri operatori. ragazzi che si prostituiscono particolarmente nelle grandi città italiane (da Roma a Napoli e a Milano). Altro elemento da tenere presente è quello che si potrebbe definire come una sorta di “multi-problematicità”: molti minori, cioè, presentano una serie di problemi articolati tra di loro: ad esempio, le ragazze che usano sostanze (anche se magari non tossicodipendenti) e contemporaneamente si prostituiscono. C’è poi il “multi-target” minorile: minori non accompagnati, che allo stesso tempo vivono problemi di prostituzione minorile e una situazione di doppia diagnosi, di psichiatria. La prostituzione minorile non è, insomma, un fenomeno univoco, ma altamente diversificato e complesso, che va affrontato con apertura ed elasticità. Le minorenni rumene, in alcuni casi anche molto giovani, in Italia, sono quelle più spesso vittime di prostituzione: di frequente sono vittime di tratta a fini di sfruttamento sessuale e rappresentano circa il 30% delle prostitute106. Altra nazionalità fortemente rappresentata è quella nigeriana. Negli ultimi dati del Dipartimento per le Pari Opportunità la presa in carico delle ragazze nigeriane è in forte crescita: sono le più inserite nei programmi di protezione sociale. Occorre senza dubbio realizzare, a loro sostegno, azioni diversificate e correlate (interventi di cooperazione internazionale Italia- Nigeria e di mediazione interculturale, progetti- pilota di inclusione sociale di donne nigeriane che si prostituiscono), soprattutto a beneficio delle minori che si prostituiscono, che sono in forte aumento107. Altro fenomeno che si evidenzia è l’ipotetica presenza di minori tra la prostituzione Rom, fuori e dentro i campi, come è emerso dal monitoraggio effettuato da una delle associazioni del Gruppo CRC in collaborazione con il Comune di Torino (2012)108. In definitiva va preso atto che le minori sono, tra le vittime, le più vulnerabili in assoluto e ciò è tipico della delicata fascia d’età evolutiva 106Fonte: Stima dell’Associazione On the Road, sulla base dei riscontri delle unità di strada e dei propri operatori. 107Fonte: Stima dell’Associazione On the Road, sulla base dei riscontri delle unità di strada e dei propri operatori. 108Gruppo Abele, per maggiori informazioni si veda www.gruppoabele. org in cui si trovano. La paura e la conseguente maggiore aggressività nei confronti delle figure adulte può essere un segnale. Talvolta queste ragazze manifestano inizialmente meccanismi difensivi alla relazione d’aiuto (maggiore aggressività e oppositività ), che con il tempo si trasformano in graduale apertura verso una relazione di fiducia. Vi sono infatti caratteristiche cruciali legati alle condizioni di vita e di sfruttamento, ad esempio il maggiore controllo esercitato dagli sfruttatori verso le minori cosa che determina, molto spesso, la difficoltà delle unità di strada di costruire un contatto organico con loro in strada, cosi come il legame morboso che unisce la ragazza allo sfruttatore che abusa della vulnerabilità della vittima, innescando un rapporto di dipendenza materiale, psicologica e sentimentale nei suoi confronti. Nel complesso, occorre evidenziare che i percorsi di tutela e di inclusione sociale per le minori vittime di tratta ai fini di sfruttamento sessuale abbiano la caratteristica di essere specifici per loro, per chi non raggiunge la maggiore età. Se si intende intervenire a tutela dei minori che si prostituiscono, appare necessario “convertire” le azioni messe in campo negli ultimi anni: non solo interventi di riduzione del rischio e del danno, accoglienza e presa in carico, inclusione socio-lavorativa, ma anche interventi educativi. Per i minori che si prostituiscono in strada diventa cioè fondamentale attivare e sviluppare azioni di sostegno educativo nella stessa strada o azioni di animazione di strada. Si tratterebbe, peraltro, di una strategia senza dubbio cogente al nostro target group, perché spesso in strada ci sarebbero occasioni ed opportunità di mettere in atto pratiche di tipo educativo e animativo (teatro e arte di strada, clownerie, eventi di rigenerazione urbana nelle aree di prostituzione) proprio con le minori, che per l’età e il recente arrivo in strada sono predisposte a prendere parte ad un percorso virtuoso di tipo educativo-animativo. Tutto ciò “falsificherebbe” anche il teorema che in strada non sarebbero possibili interventi diversi da quelli della cosiddetta “riduzione del danno” meccanicistica109, incentrati sulla mera distribuzione di kit sanitari e preservativi. Parimenti, se si vogliono porre in essere strategie di accoglienza e presa in carico di minori (all’interno di programmi di protezione sociale, ai sensi dell’art.18 del decreto legislativo n.286/98) occorre strutturare modelli di accoglienza diversificati e modellati attorno al nostro target group (ci riferiamo a minori di età, tra i 12 e i 16 anni, dunque in una fase di crescita e di sviluppo, avendo però alle spalle, nel proprio Paese di origine, un vissuto minorile e adolescenziale ben differente da quello tipico del mondo occidentale110). Riteniamo vada rivista totalmente, per questo, la progettualità odierna di presa in carico ed accoglienza di minori che vengono inserite in maniera indifferenziata, senza una particolare attenzione nei loro confronti o comunque senza individuare una strategia di accoglienza più congrua ed armonica alla loro crescita. Diventa ad esempio molto importante, per l’inserimento di minori vittime di tratta ai fini di sfruttamento sessuale, riavviare e rivitalizzare l’istituto dell’affidamento familiare111, che attualmente non è certo al centro delle politiche dell’accoglienza di minori in situazione di “criticità”. Pertanto il Gruppo CRC raccomanda: 1. Al Dipartimento Pari Opportunità di pre- vedere, all’interno dei programmi di Prote- zione sociale, azioni specifiche per mino- ri vittime di tratta ai fini di sfruttamento sessuale e di formazione continua degli operatori e liberare maggiori risorse a fa- vore del monitoraggio del fenomeno con interventi specifici nell’ambito del lavoro di strada e delll’indoor in cui sono coin- volte molte minori; 2. Al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di promuovere un’azione specifica per affidamenti familiari per minori vittime di tratta ai fini di sfruttamento sessuale; 3. Ai Ministeri competenti in materia di dare centralità al lavoro di rete fra tutti gli attori posti in gioco che devono sempre tenere conto del principio del “Superiore Interesse del Minore” sancito dalla CRC, in cui si afferma il dovere da parte di ogni Stato di proteggere i minori prevenendo e contrastando ogni forma di sfruttamento pregiudizievole per il loro benessere. 9. abuso, sfruttaMENto sEssualE E MaltrattaMENto DEI MINorI 44. Il Comitato ribadisce le sue precedenti preoc- cupazioni e le osservazioni conclusive (CRC/C/15/ Add. 198, parr. 37 e 38) e, richiamando l’atten- zione al Commento generale n. 13 (2011), racco- manda che lo Stato parte: (a) consideri prioritaria l’eliminazione di tutte le forme di violenza contro i bambini, anche at- traverso l’applicazione delle raccomandazio- ni dello studio ONU sulla violenza contro i bambini (A/61/299), tenendo conto del risul- tato e delle raccomandazioni della Consulta- zione regionale per l’Europa e l’Asia Centrale (svoltasi a Lubiana, in Slovenia, nei giorni 5-7 luglio 2005), e prestando particolare at- tenzione agli aspetti legati al genere; (b) fornisca informazioni in merito all’applicazio- ne da parte dello Stato parte delle racco- mandazioni del succitato studio nel prossi- mo rapporto periodico, in particolare quelle messe in evidenza dal Rappresentante spe- ciale del Segretario Generale sulla violenza contro i bambini, nello specifico: (i) lo sviluppo di una strategia generale na- zionale per impedire e affrontare tutte le forme di violenza e di maltrattamento con- tro i bambini; (ii) l’introduzione di un esplicito divieto giuri- dico nazionale di tutte le forme di violen- za contro i bambini in tutte le situazioni; (iii) il consolidamento di un sistema naziona- le di raccolta, analisi e distribuzione dei dati e di un’agenda di ricerca sulla violen- za e il maltrattamento contro i bambini. CRC/C/ITA/CO/3-4, punto 44 L’attuazione di efficaci strategie di contrasto a tutte le forme di violenza e di maltrattamento contro i bambini non può prescindere da una conoscenza del fenomeno che si basi su dati 109Riteniamo che la riduzione del danno sia una metodologia molto più ampia ed articolata (con la centralità della peer education, della creazione di eventi, dell’accompagnamento ai servizi territoriali), rispetto alla “semplice” distribuzione di prodotti. 110 Lutte G., “Quando gli adolescenti sono adulti”, Ega, Torino, 1986. 111 Si veda infra Capitolo IV, paragrafo “Affidamenti familiari”. quantitativi e qualitativi attendibili. In assenza tuttora di un sistema di monitoraggio nazionale dei casi di maltrattamento, come più volte richiesto dal Comitato ONU e dall’esperto indipendente delle Nazioni Unite sulla violenza sui minori, abbiamo a disposizione solo statistiche parziali, che si basano su dati centrati sulla dimensione giudiziaria. Nel periodo 2006-2010 sono cresciute del 6% le denunce di violenza sessuale in danno ai minori e del 25% le denunce di atti sessuali con minorenni112. Secondo i dati dell’Ufficio di Statistica del Ministero dell’Interno, sulla base delle denunce di reato effettuate, nel 2011 sono stati 10.985 i bambini vittime di violenze sessuali, sfruttamento prostituzione, percosse e minacce. Si tratta di un dato sicuramente sottostimato, considerato che i casi denunciati si attestano a meno del 10%. Non abbiamo dati sul numero di minorenni coinvolti né su altri tipi di violenza quali il maltrattamento fisico, psicologico e la violenza assistita113. Nella percezione degli operatori dei servizi preposti, ci troviamo però di fronte a un fenomeno ingravescente in termini quantitativi e qualitativi, che è purtroppo ancora significativamente sommerso, come conferma la prima indagine pilota realizzata in Italia sul tema della conoscenza e capacità di riconoscere il maltrattamento sui bambini da parte dei medici di famiglia e pediatri114. Dei 259 intervistati che hanno risposto all’indagine, su una totalità di 1170 medici interpellati presenti sul territorio milanese, il 65,63% afferma di aver sospettato casi di maltrattamento e/o abuso, ma solo il 51,49% di averlo poi segnalato. Emerge, inoltre, una forte confusione tra le diverse fattispecie in cui si declinano le patologie delle cure, che pure sono la forma più diffusa di maltrattamento di cui sono vittime i bambini. Infatti, 112 ISTAT, 2012. 113 Dipartimento per le politiche della famiglia – Ministero del lavoro e delle politiche sociali- Centro Nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza, “Rapporto di sintesi sugli esiti del monitoraggio del III Piano biennale nazionale e di azioni e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva”, adottato con il DPR del 21 gennaio 2011, (www.minori.it/sites/default/ files/rapporto_monitoraggio_piano_infanzia.pdf 114 Si tratta della ricerca “Come riconoscono il maltrattamento sui bambini i medici di Milano?” condotta da Terre des Hommes e dallo Sportello Bambino Abusato e Maltrattato/ Clinica Mangiagalli di Milano, sulla percezione e rilevazione della violenza sui bambini da parte dei medici di famiglia e dei pediatri (2013). dei 318 casi diagnosticati dai medici che hanno risposto, ben 175 riguardavano la patologia delle cure; tuttavia, ben la metà degli operatori confonde ipercura con discuria, non riconoscendone i segnali in modo corretto115. Nell’attuale ciclo economico negativo, i servizi sono sempre più impegnati a utilizzare strategie di fronteggiamento emergenziali per la protezione di bambini vittime di grave trascuratezza e maltrattamento, stante lo smantellamento dei servizi di accompagnamento e di prevenzione. Conseguentemente, le azioni di prevenzione primaria e secondaria, pur presenti a livello locale, restano, in assenza di un piano nazionale, difficilmente valutabili sul piano dei riscontri di esito, e quindi scarsamente confrontabili tra di loro, replicabili e generalizzabili. Se resta difficile misurare il beneficio di tali azioni, in termini di modifica degli equilibri tra i fattori di rischio e i fattori di protezione, per il verificarsi del maltrattamento in danno ai minori, bisogna segnalare che resta anche del tutto non quantificato il danno derivante dalla mancata attuazione di azioni preventive efficaci. Facendo però riferimento alle ricerche prodotte dall’Organizzazione Mondiale della Sanitàº116 e da numerosi centri di ricerca mondiali117 sull’impatto che cure e interventi riabilitativi a favore dei bambini maltrattati hanno sui bilanci pubblici nei diversi settori, sappiamo che proteggere i bambini dopo che il maltrattamento è avvenuto genera costi molto rilevanti, mentre prevenire, cioè intervenire prima che la violenza si verifichi, comporta a medio e lungo termine un sostanziale risparmio di spesa. Prevenire la violenza sui bambini è, dunque, necessario non soltanto per una questione di civiltà e di diritti, di benessere dell’infanzia, 115 Sempre all’interno della stessa indagine emerge che il 50,19% dei medici colloca erroneamente la sindrome di Munchausen by proxy nell’ambito della discuria, identificando di contro quest’ultima, in una serie di comportamenti che sono, invece, propri dell’ipercura. 116 WHO, “The economic dimensions of interpersonal violence”, 2004. WHO, “Manual for estimating the economic costs of injuries due to interpersonal and self-directed violence”, 2008. 117 Si citano, ad esempio, la ricerca del Governo australiano, “The Cost of Domestic Violence to the Australian Economy”, 2004; Prevent Child Abuse America, “Total Estimated Cost of Child Abuse and Neglect in the United States”, Chicago, 2007 (stimati 33 miliardi di dollari di costi diretti e 103 miliardi di dollari di costi indiretti); Law Commission of Canada, “The Economic Cost of Child Abuse in Canada”, 2005. ma anche per una ragione economica118. In tempi di crisi economica e di tagli alle risorse dedicate al welfare, il mancato investimento sulla prevenzione primaria e secondaria rischia di trasformarsi in un boomerang. Per quanto riguarda la cura e la riabilitazione delle vittime, gli interventi di assistenza e recupero psicoterapeutico delle stesse sono inserite a pieno titolo tra le prestazioni sanitarie garantite dal SSN a livello di assistenza territoriale, ambulatoriale e domiciliare (DPCM 14 febbraio 2001). Mancano però ancora le definizioni dei livelli essenziali delle prestazioni sociali che devono essere garantiti a livello nazionale, dei requisiti minimi nazionali dei servizi preposti, delle procedure operative specifiche di presa in carico delle varie tipologie di maltrattamento. Il fatto che solo alcune Regioni abbiano adottato linee guida per intervenire su queste situazioni, rende il panorama molto composito a livello nazionale e il diritto alla cura da parte delle piccole vittime non sempre rispettato, in termini sia di qualità degli interventi sia di fruibilità degli stessi. A questo si deve aggiungere che la cura di queste delicate situazioni implica la presenza di interventi multidimensionali integrati, posti in essere da operatori e servizi altamente specializzati, il che presuppone inevitabilmente formazione e aggiornamento costanti e di elevata qualità. Il rischio è che le nuove forme di violenza di cui i bambini sono vittime, ad esempio i sempre più frequenti coinvolgimenti in situazioni di separazione conflittuale dei genitori o di abuso sessuale on line, siano poco rilevate dagli operatori, che possono avere anche scarsi strumenti per intervenire. Anche se non mancano esperienze di eccellenza, l’assenza di procedure e metodologie condivise rende difficile il confronto tra esperienze diverse e la realizzazione di ricerche di esito di ampio respiro, per verificare nel tempo la condizione clinica, sociale, educativa dei bambini vittime di maltrattamento e abuso sessuale che hanno usufruito di interventi di protezione e di presa incarico da parte dei servizi. 118 Si Segnala a questo proposito lo Studio nazionale “Ma quanto costa risparmiare sui bambini? Impatto della mancata prevenzione della violenza sui bambini sulla spesa pubblica”, promosso da Terres des Hommes e CISMAI con l’Università Luigi Bocconi (in corso). Sul piano giudiziario, purtroppo è ancora molto frequente che, nel caso di reati intrafamiliari, la persona offesa minore non sia adeguatamente rappresentata nel processo attraverso la nomina di un curatore speciale, nonostante esistano disposizioni di legge sufficientemente chiare. Inoltre risulta ancora carente, nella pratica, il raccordo tra l’Autorità Giudiziaria penale, inquirente e giudicante, e l’Autorità Giudiziaria minorile competente per gli interventi a tutela del minore vittima di reati. Appare pertanto importante un maggiore impegno nella formazione degli operatori della giustizia. Vanno inoltre sostenuti e implementati i progetti che sensibilizzino le nuove generazioni sul tema della violenza assistita. La rilevazione del fenomeno della violenza assistita appare, infatti, molto difficile, poiché chi la subisce generalmente non si considera vittima. Esiste una percezione del comportamento violento come “legittimo” o comunque come tollerabile119. Si ritiene importante anche favorire campagne di sensibilizzazione al fine di diffondere e segnalare l’esistenza di servizi a cui rivolgersi in caso di violenza. Secondo una ricerca commissionata dalla Regione Piemonte nel 2010, nessun ragazzo/a incontrati durante il progetto, la maggior parte dei quali frequentanti il primo o il secondo anno di scuola secondaria di secondo grado, ha dichiarato di conoscere i servizi utili in caso di violenza diretta o assistita. Questo vuol dire che non avrebbe potuto rivolgersi ad essi per chiedere e ricevere aiuto120. Inoltre sembra necessario incentivare la ricerca sui fattori di rischio alla condizione di abusante, considerando i recenti dati che individuano abusanti sempre più giovani, anche adolescenti, ed anche di genere femminile121. Nel campo della formazione degli operatori sui temi del maltrattamento e dell’abuso sessua 119 Kane J., DG Giustizia, libertà e sicurezza, ProgrammaDaphne – “Prevenire l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei bambini”, Bruxelles 2007. 120Si veda www.regione.piemonte.it/europa/fse/moveup/index.htm. 121 Riser D.K., Pegram S.E., Farley J.P., “Adolescent and young adult male sex offenders: understanding the role of recidivism”, J Child Sex Abus. 2013 Jan; 22(1):9-31. Tsopelas C., Tsetsou S., Douzenis A., “Review on female sexual offenders: findings about profile and personality”, Int J Law Psychiatry. 2011 Mar-Apr;34(2):122-6. World Health Organization, “Preventing Child Maltreatment, A guide to talking action and generative evidence”, 2006. le, nei termini della rilevazione, segnalazione e cura, rileviamo il persistere di esperienze discontinue, cui si aggiunge negli ultimi anni la drastica riduzione delle risorse economiche, che colpisce i servizi non solo nei termini di diminuzione degli operatori ma anche di mancanza di aggiornamento del personale qualificato. Inoltre sappiamo che un’azione davvero efficace di prevenzione del maltrattamento non può non prevedere anche progetti di sensibilizzazione da parte di tutti gli operatori che a diverso titolo entrano in contatto con i bambini, primi tra tutti gli insegnanti. Anche a questo livello le iniziative sono frammentarie, legate a singole realtà territoriali, prive di continuità nel tempo. La già citata indagine condotta sui pediatri conferma anche questo punto: nel 75,59% dei casi i medici milanesi affermano di non aver mai partecipato ad un corso di formazione sul maltrattamento e nel 89,05% dichiara di sentire il bisogno di essere aggiornato su questo tema. Sul piano culturale, l’attenzione al genere, la cui scarsa presenza si configura come un fattore di rischio per abusi e maltrattamenti in danno ai minori, resta un obiettivo da raggiungere. La continua proposta della figura della donna come un bene di consumo o di possesso e la legittimazione di una cultura sessista, si costituiscono come terreno fertile per i numerosi episodi di violenza contro le donne. I dati relativi al fenomeno del femminicidio in Italia, raccolti dalle associazioni, parlano di 120 casi di donne uccise nel 2012 e nel nostro Paese la violenza domestica è la prima causa di morte per le donne tra i 16 e i 44 anni, secondo quanto comunicato da Rashida Manjoo, la relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne122. Questi aspetti sono preoccupanti anche per le ricadute che hanno in termini di esposizione e coinvolgimento dei minori a situazioni di violenza familiare, mancata protezione da parte di madri incapaci di proteggere se stesse, possibile assunzione di modelli di comportamento violenti che rischiano di essere ulteriormente replicati. 122Tratto da: L’Onu: in Italia ormai è “femminicidio” | Informare per Resistere www.informarexresistere.fr/2012/03/05/lonu-in-italia-ormai-efemminicidio/# ixzz2Mwju92Ls Ancora sul piano culturale, va segnalato che persiste da parte dei mezzi di informazione, un atteggiamento spesso spregiudicato e non rispettoso del superiore interesse del minore in relazione a fatti di cui bambini e adolescenti sono vittime. Immagini che violano la privacy dei minori, presentazioni delle vicende che li riguardano in termini parziali e fuorvianti, assoluzioni e condanne sommarie degli adulti coinvolti, non aiutano l’opinione pubblica a confrontarsi in maniera equilibrata con fenomeni gravi quali l’allontanamento dei minori dalle famiglie d’origine. Va inoltre segnalato, a fronte di prese di posizione semplificatorie, il rischio di delegittimazione dei servizi preposti alla tutela, nonché degli stessi organismi giudiziari, che contribuiscono a rendere ancora più difficile la realizzazione della collaborazione tra operatori e famiglie in difficoltà, che deve essere perseguita anche nelle situazioni più difficili. Un ulteriore problema rilevato riguarda la tutela del minore vittima di abuso dopo il termine dell’istruttoria per il procedimento giudiziario; in buona parte dei casi, in attesa delle varie fasi processuali, o al termine di una breve pena, si verifica il problema della convivenza nella stessa località della vittima e dell’abusante, con aggravio delle difficoltà nel percorso di recupero. Il solo vincolo della diffida all’avvicinamento non pare essere sempre garanzia di tranquillità. Va infine segnalata una forma di violenza contro i minori che è presente in Italia e che riguarda tutte le forme di coinvolgimento e reclutamento dei ragazzi nelle organizzazioni criminali, spesso di stampo mafioso. “Crescere in un territorio infettato delle mafie significa dover fare i conti fin da piccoli con un sistema economico, politico e sociale profondamente alterato dalle sue fondamenta… Si viene a creare così un’evidente contiguità tra criminalità organizzata e criminalità minorile… Dal 1 gennaio 2010 al 31 marzo 2011, 128 minori/giovani adulti erano stati denunciati per reati associativi – 51 per associazione a delinquere, 12 per associazione di tipo mafioso, 72 per traffico di stupefacenti – nella maggior parte dei casi di nazionalità italiana, di genere maschile, re sidenti nel Sud e nelle Isole. Oltre ai minori direttamente coinvolti a diversi livelli nell’attività criminale, preoccupa il fenomeno dei cosiddetti “ragazzi alone”, che pur non essendo imputati, né appartenendo a famiglie mafiose, “sono lambiti dall’alone mafioso”. Ragazzi che vivono un’adesione immaginaria e simbolica alla mafia, “una sorta di affinità elettiva, che li rende pronti a mettersi a servizio e a compiacere famiglie mafiose, al fine di essere beneficiati un giorno da un accoglimento nella famiglia d’onore”123. Anche in questo ambito non risultano purtroppo essere in atto, al di là di lodevoli iniziative isolate, organiche strategie di contrasto al fenomeno, che richiedono ampi coinvolgimenti istituzionali e molteplici livelli di intervento. Il Gruppo CRC raccomanda: 1. Al Parlamento, al Governo e alle Regio- ni di adempiere alle richieste dell’ONU e delle Organizzazioni di protezione dell’in- fanzia varando un sistema informativo di monitoraggio sul maltrattamento dei bam- bini in Italia; 2. Al Parlamento e al Governo di recepire al più presto la direttiva europea 2011/92/ UE del 13 dicembre 2011 e di prevedere, fornendo peraltro le adeguate risorse fi- nanziarie, specifiche strategie e misure di creazione e rafforzamento dei servizi di prevenzione e protezione dei bambini dal- la violenza e dallo sfruttamento sessuale, garantendo su tutto il territorio nazionale il diritto a cure tempestive, di alto livello qualitativo e di durata congrua alla gravità del problema. 3. Al Parlamento e al Ministero della Giu- stizia di prevedere specifiche misure legi- slative e operative per gli operatori della comunicazione, al fine di garantire la di- gnità dei minori con particolare attenzione al genere e il pieno rispetto della privacy dei bambini coinvolti in procedimenti civili o penali e la tutela degli operatori impe- gnati nelle azioni di protezione e cura. 123Cfr Save the Children Italia, “Atlante dell’infanzia a rischio” 2012 atlante.savethechildren.it/pdf/Atlante_infanzia_2012.pdf 10. MINorI DI MINoraNza EtNIChE: I MINorI roM, sINtI E CaMMINaNtI 80. Il Comitato ONU raccomanda che l’Italia: (a) sospenda lo stato di emergenza in relazione agli insediamenti delle comunità nomadi e le ordinanze del 30 maggio 2008; (b) elabori e adotti, con la partecipazione delle comunità interessate, un piano di azione a livello nazionale che promuova la reale inte- grazione sociale della comunità Rom in Ita- lia, tenendo conto della delicata situazione dei minori, in particolare in termini di salute e istruzione; (c) destini risorse umane, tecniche e finanziarie adeguate, al fine di garantire il miglioramen- to sostenibile delle condizioni socio-econo- miche dei minori Rom; (d) adotti misure adeguate per contrastare prati- che dannose quali i matrimoni precoci; (e) elabori linee guida incisive e fornisca ai fun- zionari pubblici la formazione adeguata al fine di migliorare la comprensione della cul- tura Rom e prevenire una percezione stere- otipata e discriminatoria dei minori apparte- nenti a tale etnia;(f) ratifichi la Carta europea delle lingue regionali e minoritarie CRC/C/ITA/CO/3-4, 31 ottobre 2011, punto 80 In Italia si stima una presenza di rom, sinti e camminanti tra i 130.000 e i 170.000. Si tratta di circa lo 0,25% della popolazione italiana, una delle percentuali più basse d’Europa124. Molti sono minori125. Circa la metà sono cittadini italiani; il 20-25% proviene da altri Stati dell’UE (per lo più dalla Romania) e il resto da paesi non UE (soprattutto ex Jugoslavia). Tra quanti non hanno il permesso di soggiorno molti sono apolidi di fatto: molti minori rom, pur essendo nati e cresciuti in Italia (ciò vale almeno per 15.000 di loro)126, non sono citta 124Cfr. Consiglio d’Europa, Roma and Travellers, Number of Roma and Travellers in Europe, July 2008. 125Secondo le stime di Opera Nomadi il 60% ha meno di 18 anni e di questi il 30% ha meno di 5 anni, il 47% ha dai 6 ai 14 anni e il 23% tra i 15 e i 18 anni. La percentuale dei minori rom e sinti al di sotto dei 16 anni (45%) è tre volte superiore rispetto alla media nazionale (15%) per lo stesso gruppo di età. Cfr. Commissione Straordinaria per la tutela e la promozione dei Diritti Umani del Senato della Repubblica, Rapporto Conclusivo dell’indagine sulla condizione di rom, sinti e camminanti in Italia, 9 febbraio 2011, pp. 17-18 e p. 45. 126 Ivi, p. 23. dini italiani127; ma allo stesso tempo, proprio per essere nati e cresciuti in Italia, difficilmente ottengono lo status di cittadino del paese di origine dei propri genitori. Questa condizione di apolidia de facto non sempre è sufficiente a ottenere il riconoscimento dello status di apolide de jure, in quanto l’attuale normativa rende difficile accedere sia all’accertamento in via amministrativa che a quello in via giudiziaria e nella valutazione delle domande spesso sono adottati criteri molto restrittivi. Nonostante alcune buone prassi, l’Italia è tuttora oggetto di numerose critiche da parte delle istituzioni internazionali128. La politica dei campi nomadi, con poche eccezioni, non esiste in altri Paesi europei. La precarietà delle condizioni abitative e l’emarginazione fisica e sociale precludono il pieno godimento dei diritti dei minori rom e sinti, inclusi quelli all’istruzione e alla salute. A tutt’oggi continuano gli sgomberi e i trasferimenti forzati delle comunità rom dagli insediamenti “abusivi” in cui vivono129. Nella maggior parte dei casi chi subisce lo sgombero non riceve alcuna sistemazione alloggiativa alternativa130. Tra le persone sgomberate vi è un’alta presenza di minori, costretti ad abbandonare in pochissimo tempo la propria casa e le proprie cose e a interrompere la frequenza scolastica. Secondo le informazioni raccolte da una delle associazioni del Gruppo CRC131, in alcuni casi alle donne rom sgomberate sarebbe stata imposta la sottoscrizione di 127Ai sensi dell’art. 4 della legge n. 92 del 5 febbraio 1992, la cittadinanza italiana viene concessa solamente a chi, nato sul suolo italiano, risieda ininterrottamente in Italia fino al compimento del diciottesimo anno di età e ne faccia richiesta entro un anno dal raggiungimento della maggiore età. Uno degli ostacoli maggiori è la dimostrazione della residenza legale continuativa, ad esempio perché la pubblica amministrazione nega il diritto all’iscrizione anagrafica a chi pone la roulotte su un terreno di sua proprietà o a chi abita in un campo abusivo. 128European Roma Rights Center, Il paese dei campi. La segregazione razziale dei Rom in Italia, Carta, Roma 2000. 129Soltanto nella città di Roma dal 31 luglio 2009 alla fine di marzo del 2013 sono stati effettuati 515 sgomberi di campi informali per un costo stimato di euro 7.000.000. Cfr. Associazione 21 luglio, Rapporto divulgativo sul piano degli sgomberi del Comune di Roma, 24 agosto2012. 130Il Comitato per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale ha “deplorato gli sgomberi mirati delle comunità rom e sinte che hanno avuto luogo a partire dal 2008 sulla base della dichiarazione dell’emergenza nomadi” rilevando come “a seguito degli sgomberi forzati molte famiglie rom o sinte si siano ritrovate senzatetto”. CERD, Osservazioni conclusive per l’Italia, 9 marzo 2012. 131 Associazione 21 Luglio. un documento in cui si legge: “Confermo che sono stata informata che se non sarò in grado di garantire ai miei figli un luogo di dimora salubre e sicuro [...] la Pubblica Autorità, ai sensi dell’art. 403 del Codice Civile, dovrà intervenire a mezzo degli organi di protezione dell’infanzia per il loro immediato collocamento in luogo sicuro...”132. Una ricerca condotta nel 2011 a Bari, Napoli, Roma, Bolzano e Milano, indica che i rom e i sinti sono il 10,4% dei bambini residenti nelle case famiglia visitate, laddove i rom e i sinti sono solo lo 0,2% della popolazione totale. La ricerca rileva che i rom sono spesso considerati incapaci di fare i genitori e raramente sono intraprese azioni mirate a incoraggiare il reinserimento del bambino nella propria famiglia133. Pochissimi sono i minori rom e sinti scolarizzati, soprattutto tra gli stranieri. Secondo una recente stima, sarebbero almeno 20.000 i rom sotto i dodici anni, per lo più romeni e jugoslavi, che evadono l’obbligo scolastico e si stima che “i restanti coetanei Rom e Sinti siano in un generalizzato ritardo didattico di non meno di tre anni”134. Gli alunni rom, sinti e camminanti iscritti a scuola sono diminuiti: gli iscritti nell’anno scolastico 2011/2012 sono 11.899, il numero più basso degli ultimi cinque anni135. Ciò dipende anche da condizioni oggettive come la lontananza fisica dei “campi” dalle scuole, il collegamento affidato a scuolabus “speciali” riservati ai minori rom che, per raggiungere tutti i campi, spesso accompagnano i bambini a scuola con grande ritardo e li prelevano con notevole anticipo e le discriminazioni di cui sono vittime i minori rom e sinti a scuola136. 132Alcuni minori rom sarebbero stati sottratti alle loro famiglie e collocati in strutture socio-assistenziali del Comune di Roma. Associazione 21 luglio, Rapporto divulgativo sul piano degli sgomberi del Comune di Roma, cit., p. 2. 133Osservazione, La tutela dei diritti dei bambini rom nel sistema italiano di protezione dei minori, Marotta e Cafiero editori, Napoli 2013, p. 19. 134 Commissione Straordinaria per la promozione e la tutela dei Diritti Umani, Rapporto Conclusivo dell’indagine sulla condizione di rom, sinti e camminanti in Italia, cit., p. 61. 135Cfr. Comunicato stampa Miur-Fondazione ISMU del 14.3.2013 sul Rapporto nazionale sugli alunni con cittadinanza non italiana, Anno scolastico 2011/2012. 136Sulla condizione dei minori rom a Roma cfr. Associazione 21, Rom(a) Underground, Libro bianco sulla condizione dell’infanzia rom a Roma. Le condizioni di disagio ed emarginazione favoriscono il coinvolgimento dei minori in attività illegali, ma è altrettanto vero che si assiste a una sovrarappresentazione dei minori di origine rom nel sistema della giustizia minorile137. In Italia i giovani rom e sinti sono sottoposti alla detenzione – soprattutto in custodia cautelare – molto più frequentemente dei loro coetanei italiani. In attuazione della Comunicazione 173/2011138 della Commissione al Parlamento europeo nella quale si chiede agli Stati membri di adoperarsi con misure concrete e specifiche per l’attuazione concreta dei diritti della comunità rom, in Italia è stata elaborata la “Strategia nazionale di inclusione dei rom, sinti e caminanti”, approvata il 24 febbraio 2012 dal Consiglio dei Ministri139. Obiettivo generale è “promuovere la parità di trattamento e l’inclusione economica e sociale delle comunità rom, sinti e camminanti nella società, assicurare un miglioramento duraturo e sostenibile delle loro condizioni di vita, renderne effettiva e permanente la responsabilizzazione, la partecipazione al proprio sviluppo sociale, l’esercizio e il pieno godimento dei diritti di cittadinanza garantiti dalla Costituzione Italiana e dalle Convenzioni internazionali”140. In particolare per i minori, si afferma che, al fine di elaborare un intervento efficace a favore dei minori rom e sinti, “è auspicabile un approccio globale, che non separi artificiosamente i temi della scolarizzazione, delle soluzioni abitative in ambienti decorosi, della valorizzazione delle specificità culturali, della salute, del tempo libero e dell’integrazione degli adulti di riferimento”º141. Uno dei punti della strategia riguarda la riconversione dei fondi destinati alla gestione del- l’”emergenza nomadi”, ma non ancora impegnati (circa 15 milioni di euro), per progetti di inclusione sociale che assicurino il diritto all’al 137L. Basilio, Dal campo al carcere: la ghettizzazione dei minori rom e sinti in Italia, in G. Campesi, L. Re, G. Torrente, a cura di, Dietro le sbarre e oltre. Due ricerche sul carcere in Italia, L’Harmattan Italia, Torino 2009. 138http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:52011 DC0173:it:NOT. 139www.interno.gov.it/mininterno/export/sites/default/it/assets/files/ 22/0251_STRATEGIA_ITALIANA_ROM_PER_MESSA_ON_LINE.pdf 140Ibidem, p.23 141 Ibidem, p. 56. loggio, al lavoro, all’istruzione e alla salute per la popolazione rom in Italia142. Pertanto, il Gruppo CRC raccomanda: 1. Al Ministero dell’Interno e Ministero per la Cooperazione Internazionale e l’Integra- zione di assicurare l’attuazione e il monito- raggio della Strategia Nazionale d’inclusio- ne dei rom, in particolare abbandonando l’approccio emergenziale, prevalentemente sorretto dalla logica della sicurezza e del controllo, e destinando le risorse econo- miche legate alla dichiarazione dello stato di emergenza in favore di interventi di in- clusione sociale di medio-lungo periodo; 2. Al Governo e agli Enti Locali di perse- guire il definitivo superamento dei “campi nomadi” attraverso una politica abitativa tesa all’integrazione; 3. Al Ministero dell’Interno di risolvere, di concerto con Prefetture, Questure, Rappre- sentanze diplomatiche, la questione degli “apolidi di fatto” attraverso la concessione della cittadinanza italiana o favorendo co- munque la loro regolarizzazione. 142In tal senso, è importante sottolineare che alcuni giorni prima della consegna da parte Governo italiano alla Commissione europea della Strategia nazionale di inclusione dei rom, sinti e camminanti sarebbe stato presentato dal Governo il ricorso contro la sentenza n.6050 del Consiglio di Stato del 16 novembre 2011 che ha annullato il D.P.C.M. 21/5/2008 dichiarativo dello stato di “emergenza nomadi. Il 26 marzo 2013 è iniziato l’iter della Corte di Cassazione che emanerà la sua decisione entro 60 giorni. Pubblicazioni del Gruppo CrC: I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, la prospettiva del Terzo settore. Rapporto Supplementare alle Nazioni Unite del Gruppo CRC, novembre 2001; The Rights of Children in Italy, perspectives in the third sector – Supplementary Report to the United Nations, October 2002, disponibile anche su www.crin.org; Monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, Guida pratica per il Terzo settore, dicembre 2004; I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, 1° Rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, anno 2004-2005, maggio 2005; Supplementary Report on the implementation of the Optional Protocols on the CRC in Italy, May 2005, disponibile anche su www.crin.org; I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, 2° Rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, anno 2005-2006, maggio 2006; I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, 3° Rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, anno 2006-2007, maggio 2007; I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, 4° Rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, anno 2007-2008, maggio 2008. I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, 2° Rapporto Supplementare alle Nazioni Unite sul monitoraggio Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, 20 Novembre 2009; Children’s rights in Italy, 2nd Supplementary Report to the Implementation on the Convention on the Rights of the Child, September 2010; Outcome Document, 6th Regional Meeting of NGOs Children’s Rights Coalitions in Europe, Florence, 20th – 22nd October 2010; Schede di aggiornamento 2° Rapporto Supplementare alle Nazioni Unite sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, Maggio 2011; Guida pratica al monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza – 2° Edizione, Novembre 2011; I diritti dell’infanzia e dell’dolescenza in Italia, 5° Rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, anno 2011-2012, maggio 2012. Tutte le pubblicazioni del Gruppo CRC sono disponibili sul sito www.gruppocrc.net 6orapportodiaggiornamento2012-2013 Note Note Note Note Note Note I I l Gruppo di Lavoro per la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adole- scenza (Gruppo CRC) è un network aperto ai soggetti del Terzo Settore che da tempo si occupano attivamente della promozione e tutela dei diritti del- l’infanzia e dell’adolescenza in Italia. Costituito nel dicembre 2000, il Gruppo CRC in questi anni di lavoro ha pubblicato due Rapporti Supplementari alle Nazioni Unite sull’attuazione della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (CRC), partecipando alle relative ses- sioni dedicate all’Italia dal Comitato ONU e ha realizzato sei Rapporti di monitorag- gio annuali. Obiettivo del Gruppo CRC è garantire un sistema di monitoraggio indipendente, permanente, condiviso ed aggiornato sull’applicazione della CRC e dei suoi Proto- colli Opzionali e realizzare eventuali e connesse azioni di advocacy. Tale obiettivo viene perseguito principalmente attraverso la pubblicazione dei Rap- porti di aggiornamento annuali (Rapporti CRC), in cui le associazioni cercano di am- pliare progressivamente il proprio angolo di osservazione, garantendo al contempo un aggiornamento puntuale sulle questioni già affrontate. Il Comitato Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza ha pubblicato il 7 ottobre 2011 le proprie Osservazioni Conclusive rivolte all’Italia. Tale pubblicazione ha segnato l’inizio del nuovo ciclo di monitoraggio della CRC che si concluderà con l’esame dell’Italia da parte del Comitato ONU nel 2017. Il presente Rapporto prende come punto di partenza della propria analisi le suddette Raccomandazioni del Comitato ONU. www.gruppocrc.net